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I like, le indulgenze e la vendita dell’inutile

di Cinzia Bosso e Emanuele Davide Ruffino

Non è certamente un fenomeno recente quello di riuscire a vendere qualcosa di inesistente o inutile, ma certamente la realtà virtuale, affermatasi con i sistemi informatici, ne ha accresciuto enormemente le potenzialità, obbligando a rivedere le regole del mercato e non solo.


I mercati delle preferenze

Se pubblicare o caricare foto e video sui social network è facile ed immediato, acquisire visibilità e notorietà comporta maggiori difficoltà, tant’è che più soggetti, che non riescono a raggiungere i livelli di celebrità desiderata, sono disposti a sacrifici, anche economici, pur di ottenerla. Il web marketing, settore dalle potenzialità ancora inesplorate, nasce proprio per offrire una maggiore diffusione della propria immagine o del proprio prodotto attraverso interventi mirati ad acquisire like e followers in gran quantità, trovando soggetti disposti a venderli, indipendentemente dall’oggetto trattato (e senza neanche leggerli).

L'engagement, inteso come coinvolgimento emotivo che un utente sente nei confronti di un prodotto, un brand o di un'azienda, cessa così di essere un atteggiamento spontaneo, per diventare esso stesso oggetto di compravendita. E la cosa non è di per sé negativa se serve a far uscire dall’anonimato attività che altrimenti rischierebbero di rimanere sconosciute ai più.

Tecnicamente, un contenuto o un account genera un engagement calcolato in rapporto alla sequenza di commenti, condivisioni, like e interazioni che riesce a provocare. Un messaggio quindi non vien più giudicato per il suo valore intrinseco, ma in funzione della capacità di condivisione generata, dove a prevalere è la capacità dell'emittente di indurre il destinatario ad adottare un determinato comportamento. Quando un soggetto non riesce ad entrare in contatto con il vasto pubblico o la coorte desiderata, si possono cioè adottare strategie volte a incoraggiare un interessamento, non importa se reale, perché ciò che conta e che si possa dimostrare un interessamento od un accondiscendenza.


La vendita dell’effimero

L’atteggiamento di "abituale od occasionale comprensione e benevolenza” corrisponde al concetto di “indulgenza” che nella storia ha generato un comportamento non certo etico di remissione delle pene temporali. Anche in quel caso non si capiva bene che cosa si vendesse (una conferma della cancellazione parziale o plenaria già disposta con la confessione o un intercessione della Chiesa, quale ministra della redenzione, che autoritativamente poteva dispensare), ma soprattutto non vi era troppa corrispondenza tra il sentimento del soggetto e quanto richiesto. Sia i like che le indulgenza possono però trovare nel “prezzo” un passaggio per la valorizzazione del presunto bene di scambio (che può anche non esistere e la cosa affascina da sempre gli economisti).

Decisamente le regole di mercato sono messe a dura prova: l’attenzione all’oggetto della trattativa non è il giudizio di apprezzamento (questo sì, oggetto di grande interesse per il marketing) ma la sua manifestazione espressa (così come nelle indulgenze, il sentimento sottostante non era vincolante per concludere l’operazione).

I nuovi mercati a disposizione di tutti, o quasi

Ci sono imprese che si sono specializzate nell’offrire programmi di compiacimento volte a permettere anche al singolo utente di ricavarne profitto per ogni like o condivisione o di predisporre sondaggi dove si prevede piccole ricompense ai partecipanti: il sondaggio è reale e statisticamente corretto, ma la scelta del campione può essere significativamente influenzata.

A teorizzare il problema sono stati, tra gli altri, Akerlof, Spence e Stiglitz (premi Nobel per l’Economia), sottolineando come le interazione fra qualità eterogenee di prodotti offerti sul mercato e l'asimmetria informativa che caratterizza ormai tutti gli attori coinvolti (in primis i consumatori), inducano a uno sfasamento delle regole tradizionali del mercato, offrendo spazi a raggiri e situazioni in cui diventa possibile approfittare delle non conoscenze altrui.

Se la fake news può essere ricondotta ad una logica manichea del vero-falso, la popolarità sui social è di per sé un bene effimero che può essere intaccato da comportamenti opportunistici, difficili da individuare. La tentazione di comperare e vendere like diventa così un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, ma rischia di generare un senso diffuso di sfiducia e di preoccupazione verso ogni notizia di cui si viene a conoscenza e verso ogni indagine di carattere sociale dove manca la controprova offerta dal mercato.

Comprare il consenso può risultare conveniente nel momento di immissione di un prodotto/servizio sul mercato, affinché questi assumano subito un’immagine positiva e poi, nel proseguo del ciclo produttivo, per mantenere alto il gradimento, per cui è inevitabile che le imprese prestino grande attenzione al fenomeno.

Il processo di imitazione, presente in ogni interazione sociale, sul web risulta virale trattandosi di meccanismi spesso automatici, fino al punto di rendere complesso avanzare critiche. I siti che propongono l’acquisto/vendita di like o altre interazioni trovano sempre più spazio, ma c’è da chiedersi se la loro funzione non renda ancora più ingarbugliato il mercato, sfalsandone le regole e, prima ancora, inficiando la capacità di giudizio.

Quanti, nella nostra società, sarebbero disposti a vendere i propri like (si parla apertamente di Paid to Like, ossia di marketing PTL) e quante sono le possibilità di rilevare le manipolazioni dei giudizi sul valore di un’immagine o di un parere apparso sui social? Nonostante gli avvertimenti prodotti dai messaggi voluti dal Governo per fronteggiare le notizie false che possono distrarre e manipolare il parere di molti cittadini, occorrerà prestare attenzione anche alle fake news di massa, ciò quelle prodotte più o meno consapevolmente da milioni di utilizzatori dei social, indotti in comportamenti singolarmente inefficaci, ma che aggregati possono distorcere la verità.


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