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Guerre e minacce: assuefazione pericolosa e contagiosa

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi



Tante sono le guerre in essere tra nazioni, ma a preoccupare, e a far notizia, sono soprattutto le minacce di escalation, come se la guerra fosse solo il preambolo per rendere più credibile la pressione da esercitare sugli avversari. La preoccupazione è più manifesta nelle democrazie che si avvicinano ad un momento elettorale (per una strana congiunzione, praticamente tutte, durante il 2024), in quanto si deve rendere conto alle rispettive popolazioni dei sacrifici e delle spese cui si andrebbe incontro di fronte ad un’espansione dei conflitti e ciò spinge verso risposte isolazioniste. Su questo sicuramente fanno leva chi oggi esterna minacce: dalle provocazioni inquietanti della Corea del Nord (all'abituale lancio di missili ora si sono aggiunti i cannoneggiamenti con proiettili veri), a quelle dei gruppi estremisti, qua e là per il mondo, finanziati da grandi potenze.

 Per antonomasia, alcune guerre occupano molto spazio sui mass media, ma spesso per la sensazionalità o la novità della notizia: nel 2022 (e nel 2023 la situazione è notoriamente peggiorata) secondo il Peace Research Institute Oslo (PRIO) i conflitti armati attivi tra Stati erano 55, con oltre 237 mila morti; solo in Sudan muoiono in media 20.00 persone all’anno, provocando 7milioni di sfollati. Ma se la guerra si protrae a lungo, si crea una specie di assuefazione per cui ci vuole un evento ancora più tragico dei precedenti per renderlo di attualità e su questa logica probabilmente si muovono alcuni gruppi. Rende più una minaccia che non l'inasprimento dello scontro armato che, oltre la perdita di vite umane, costa.


La nuova "rivoluzione" culturale in Cina

Anche chi non deve andare alle urne (o la fa in modo farlocco) si ritrova a dover affrontare problemi di consenso sempre più difficili da gestire con i carri armati o con gli incidenti e gli avvelenamenti degli oppositori. È di questi giorni la notizia che il governo cinese ha varato una Legge per "rafforzare l'unità nazionale", imponendo che l'amore per la nazione e per il Partito comunista al potere sia parte essenziale dello studio e della vita quotidiana di tutti, dai bambini più piccoli ai lavoratori e ai professionisti di tutti i settori. Una seconda rivoluzione culturale, per alcuni versi, ma con la speranza che che diversamente da quella avviata nel 1966 da Mao Zedong per riprendersi il potere, che gli era stato insidiato dalla stessa classe dirigente del suo partito, non porti allo stesso numero di morti (secondo le stime da qualche centinaia di migliaia, secondo altre 20 milioni di persone). La nuova strategia tende a creare un’ "educazione nazionalista" allo scopo di sostenere la Cina, di "unificare i pensieri" e di "raccogliere la forza del popolo per la grande causa della costruzione di un Paese forte e del ringiovanimento nazionale".


La protesta delle madri russe

In Russia l’angoscia delle famiglie per i figli al fronte ucraino impegnati in quell’operazione militare speciale (proibito parlare di guerra) ha portato alcune mamme e mogli ad effettuare “l'unica azione pacifica ancora non vietata per legge”: portare un fiore rosso vicino alla fiamma del Milite Ignoto, proprio sotto le mura del Cremlino per avere notizie dei loro cari impegnati nei combattimenti. Una iniziativa che ha alcuni punti di contatto con le manifestazioni delle madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires, per chiedere notizie dei loro cari desaparecidos. Ora, le madri russe si sono impegnate a ripetere il gesto ogni sabato del 2024. Nel mentre, la giornalista Zoya Konovalova, 48 anni, responsabile della divisione Internet della compagnia televisiva e radiofonica statale russa di Krasnodar "Kuban" è stata ritrovata morta in una casa a Krasnodar. Avvelenata. Anche a queste notizie siamo purtroppo abituati.

 

Provocazioni a getto continuo

Sono invece ben note le difficoltà dei regimi democratici attuali di prendere decisioni che vadano al di là dell’ultimo sondaggio. Prospettare una escalation sicuramente tocca la nostra sensibilità e, secondo gli esperti della propaganda di alcuni gruppi, forse ci induce a cambiare idea, riproponendo, in miscellanea internazionale, la strategia del terrore per condizionare il voto popolare.

Nei discorsi di inizio anno, le provocazioni sono continuate, anzi si sono alzate di tono, ponendo un problema di come affrontare le votazioni in Europa e in America, senza che nessuno le possa influire. Non si possono certo attuare forme di censura (che non funzionano neanche in Iran, dove la repressione è assoluta), ma non si possono nascondere i pericoli che corrono i nostri sistemi. Con tutti i difetti rilevati, le democrazie possono far germogliare nel proprio grembo nuove energie e nuove soluzioni, ma non possiamo neanche dimenticarci che le lotte tra Atene (democratica, sebbene non nel senso moderno del termine) e Sparta (oligarchica) hanno portato, dopo 30 anni di guerre, alla vittoria di questi ultimi, anche se la storia ricorderà per sempre gli insegnamenti e l’evoluzione del pensiero ateniese che sono il fondamento del nostro modo d’interpretare la società. 

Va però ricordato che, nonostante la forte rivalità fra le due città-stato, queste seppero trovare momenti di alleanza per affrontare il nemico comune (l'Impero persiano di Dario e Serse) e si spera che, a distanza di millenni, l’Occidente sappia affrontare i pericoli che mettono in difficoltà la ricerca di sempre più elevate forme di civiltà.




 

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