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Giustizia riparativa: buone intenzioni, ma prive di concreta ricaduta sociale

di Mauro Nebiolo Vietti


La recente riforma, che introduce il concetto di mediazione tra la parte offesa e l’autore del reato, rappresenta un interessante tentativo di alzare l’asticella della giustizia “intelligente” aiutando il reo a condividere e comprendere la riprovazione sociale nei confronti del suo operato, ma, nel momento in cui ciò avviene, otterremo un risultato socialmente significativo soltanto se il soggetto avrà la concreta possibilità di reinserirsi nel tessuto sociale.[1]

Per valutare la portata della riforma occorre inserirla in un quadro più ampio; l’ordinamento sociale (inteso come gruppo organizzato che si è dato delle regole) non è un concetto, ma un essere giuridicamente vivente che ha, come fine prevalente, la propria autoconservazione e che, per preservarsi, ha la capacità di adattarsi alle situazioni più svariate.

Facciamo un esempio per dare concretezza al concetto; quando sotto la spinta delle organizzazioni terroristiche di destra e di sinistra, dai Nar alle Brigate Rosse e Prima Linea ed altre sigle minori, l’ordinamento sociale si è trovato in oggettiva difficoltà, ha prodotto una legge scellerata cosiddetta dei pentiti; l’autore di reati, per quanto feroci e gravi, che avesse confessato ed indicato i complici avrebbe goduto del perdono giudiziale, di una nuova identità e di un nuovo lavoro. Sarebbe impensabile giustificare una legge così iniqua se non la si riporta ad un organismo (l’ordinamento sociale) che non persegue fini connotati da nobiltà di intenti, ma solo quello di preservare se stesso.

La legge sui pentiti è efficacemente utilizzata anche per la lotta alla mafia ed il regime duro del 41 bis non è certo un’applicazione delle teorie di Voltaire, ma piuttosto dei metodi detentivi praticati fin dal Medioevo, e malgrado tutto ciò tutto ciò l’ordinamento sociale non mostra alcun segno né di imbarazzo, né di possibile ripensamento, perché considera il rischio mafia come pericoloso per la sua sopravvivenza.

In altre parole, una legge è con la elle maiuscola se giustifica protezione ed adeguamento e quindi la conservazione dell’ordinamento sociale; in questo contesto si cala la riforma Cartabia che, introducendo lo strumento della giustizia riparativa, potrebbe da un lato ridurre il contenzioso penale, ma dall’altro, prestarsi ad un utilizzo scorretto. In una terza ipotesi, quella più significativa, il meccanismo di giustizia riparativo potrebbe risultare monca di un elemento essenziale.

Vediamo le tre situazioni: nel primo caso si tratta di un meccanismo che potrebbe essere efficace per reati minori (rapporti di vicinato, reati minorili, comportamenti che, più che una tendenza a delinquere, denotano uno stato di insicurezza; si tratta di una serie di reati ove è possibile prevedere un recupero totale del reo perché la strumentazione predisposta dalla normativa lo consente).

Con la prassi vi saranno soggetti che utilizzeranno le procedure della giustizia riparativa non per gli scopi istituzionali, ma per acquisirne i vantaggi con l’intenzione di rientrare al più presto negli ambienti da cui la giustizia li ha prelevati. Si tratta di un effetto scontato che non desta preoccupazione più di tanto perché si è pienamente coscienti che qualcuno, come in tutte le situazioni analoghe, utilizzerà la riforma soltanto per avvantaggiarsene.

Ma il gruppo più numeroso sarà quello che utilizzerà le procedure della giustizia riparativa per riaccreditarsi socialmente senza riuscire nell’intento perché la legge è incompleta; immaginiamo uno spacciatore di droga (non importa se immigrato o se indigeno) che ha accettato il lavoro più umile del ciclo (quello che vende le bustine) perché non ha altre possibilità. Ammettiamo che lo Stato lo riabiliti e che lui ci creda, ma dopo come potrà sopravvivere se a valle manca un meccanismo che lo segua nella prima fase di reinserimento; qui la legge non prevede collegamenti e senza la presa in carico per i primi passi, la giustizia riabilitativa dovremo limitarla alle liti condominiali o ad altre ipotesi equivalenti con l’effetto che l’ordinamento sociale non ne trarrà un beneficio significativo. In altre parole potremo dire di essere portatori di una riforma apparentemente avanzata, ma priva di effetti nella sua ricaduta sociale.



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