"Evitiamo che la vita democratica si ammali"
- Piera Egidi Bouchard
- 6 lug
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 7 lug
Quarta edizione della Scuola per la Democrazia a Torre Pellice
di Piera Egidi Bouchard

La cittadina di Torre Pellice non è solo quella tradizionalmente chiamata “la piccola Ginevra”, perché sede della più antica chiesa riformata, la valdese, ma anche perché è centro di moltissime iniziative culturali, tra cui a luglio “La Torre di libri”, che vede autori e pubblico a confronto nelle piazze assolate e negli spazi della “Galleria Scroppo”, sempre decorati con pannelli di mostre di artisti contemporanei, e inoltre l’importante “Scuola per la democrazia” (2-6 luglio), che quest’anno è arrivata alla quarta edizione. Vi partecipano in particolare studenti che abbiano terminato le scuole superiori o siano iscritti all’università o giovani impegnati nel sociale, ma anche insegnanti. L’iniziativa si sviluppa su due assi: laboratori esclusivi per studenti (che sono ospitati dalla Scuola per quanto riguarda vitto e alloggio) e conferenze pubbliche che si svolgono nell’aula sinodale, aperte a tutti e a tutte.
E’ stata inaugurata il 2 luglio con i saluti istituzionali della moderatora Alessandra Trotta, della sindaca Maurizia Allisio e della storica Bruna Peyrot, presidente della Fondazione Centro culturale valdese.
L’apertura dei lavori, il 2 luglio – quest’anno intitolati alle “culture per la democrazia “– è stata contrassegnata dalla prolusione di Marco Bouchard, magistrato, autore di molti saggi - in particolare su “Offesa e riparazione”, sulla “Giustizia riparativa” e il recente “La vergogna del giusto e dell’ingiusto”- attuale presidente onorario della “Rete Dafne Italia”, che ha la finalità di dare ascolto e sostegno alle persone che hanno subito le conseguenze di un reato: “L’obiettivo è di offrire, nell’immediato, una soluzione concreta alla domanda di giustizia, offrendo un sostegno sia ai vissuti materiali sia ai bisogni materiali.”
Il 3 luglio il tema era “Le culture dell’ambiente”, molto sentito dalle giovani generazioni, con una lezione di Adriano Favole (Università di Torino) che ha parlato della relazione tra cultura e natura, e l’introduzione di Davide Rosso, direttore della Fondazione Centro culturale valdese.
Il 4 luglio ha visto protagonista sulle “Culture della cittadinanza” il costituzionalista Francesco Pallante -sempre molto seguito a Torre, dove viene spesso invitato a presentare i suoi libri - che ha parlato di diritti/doveri, di cittadinanza, uguaglianza, di istruzione e politica, insieme alla storica Bruna Peyrot; ha moderato Roberto Canu, presidente del Collegio valdese.
Molto atteso l’argomento del 5 luglio “Culture delle religioni e delle fedi”, introdotto da Alessia Passarelli, preside del Liceo valdese, che ha illustrato i dati dell’analfabetismo religioso in Italia, per cui non siamo in grado di comprendere i riferimenti nell’arte e in letteratura, e si determina una preoccupante crescita di stereotipi rispetto alle “religioni altre”. Il ruolo della conoscenza delle religioni, invece, è importante per la crescita di una società inclusiva. Perciò da 30 anni al Liceo si insegna storia delle religioni, invece di quella confessionale.
Alessandro Saggioro, storico delle religioni all’Università La Sapienza, ha analizzato le parole democrazia e pace (che, come possibilità di realizzazione dei diritti, si sovrappone a democrazia), e si è chiesto quale è il ruolo delle religioni nella costruzione di culture di pace. Storicamente esse hanno fallito, e questo è il compito della politica, non delle religioni. Se però oltre al dialogo ci sono azioni di solidarietà, collaborazione, ospitalità, ci può essere un ruolo positivo, testimoniato a Roma da un’iniziativa – “I dialoghi della pace” - portata avanti con il coinvolgimento dei politici del territorio. La soluzione dell’analfabetismo religioso è la scuola, che può trasmettere l’educazione alla cittadinanza.
Ilaria Valenzi, giurista della Federazione Chiese Evangeliche in Italia e docente alla Sapienza, ha illustrato, attraverso vari autori, le trasformazioni recenti della democrazia americana, in particolare dagli anni ’80, quando la destra religiosa diventa politica (e determina l’elezione di Reagan). Successivamente s’impone un fondamentalismo cristiano di tipo nazionalista (i discorsi di Bush dopo l’11 settembre, sempre più millenaristi). Vengono proposti emendamenti alla Costituzione- che prevede la separazione Stato/Chiese - in cui il popolo americano è considerato eletto da Dio, in una concezione religiosa della politica che lo ritiene destinato all’esportazione della libertà e della democrazia. Con Capitol Hill assistiamo a un mutamento politico e culturale della democrazia americana, in cui lo storico modello di separazione Stato/Chiese non regge più: il diritto di libertà religiosa non è un diritto per tutti di professare la propria fede, ma diviene la fondazione di una nuova politica dello Stato (la questione dell’aborto è il segno di ciò). Fondalmentalmente non si pone il problema di evangelizzare, ma di federare confessioni diverse con uno stesso obiettivo, con missione di guerra culturale.
E l’Europa? La relatrice ha ricordato il dibattito anni fa sull’inserire le radici cristiane nella Costituzione. Cosa era successo? Sia la secolarizzazione che il confronto con l’Islam, hanno determinato un’alleanza politica non di fede, ma culturale: cosa contrapporre all’Islam? Il cristianesimo o l’illuminismo? Il passato cristiano dell’Europa diventa un’arma delle destre europee: il problema oggi è come sottrarre tale patrimonio a questa “retorica vendicativa”. Una soluzione può essere quella proposta dallo studioso Luigi Ferraioli, che notando come la sovranità statale sia un ostacolo alla pace, propone un “costituzionalismo globale”, una “costituzione della Terra”, fondata in particolare sulla tutela dell’ambiente e i diritti umani. Bisogna ricominciare a discutere su cos’è la laicità dello Stato – ha concluso la relatrice – il separatismo estremo non è il nostro, dobbiamo porci il modello di una laicità inclusiva che deve interagire con le comunità religiose.
A conclusione, il 6 luglio, c’è stata una fitta tavola rotonda su “Culture per la democrazia”, presieduta da Davide Rosso, direttore della Fondazione Centro culturale valdese e introdotta dalla teologa Elisabetta Ribet, che ha citato il teologo Jacques Ellul in quanto critico della sacralizzazione del sistema tecnico, le cui conseguenze etiche sono che l’iperbole sui valori dell’efficienza e sull’individuo scartano la gratuità: l’individuo non vede altro che se stesso, e si passa dalla comunità alla comunity, una serie di individui. Cosa possono fare le fedi? Decostruire le retoriche, riappropriarsi di termini-chiave (giustizia, popolo, vita, promesse). Bisogna mettere da parte l’etica dell’efficienza. Ellul propone l’etica della non-potenza, come è stato il messaggio di Gesù.
Valdo Spini, presidente della Fondazione Rosselli, ha sottolineato che bisogna ricostruire comunità solidali nella sfera politica, nei partiti: la democrazia ha bisogno della politica, ed è questa che si è atrofizzata come partecipazione. Si è verificata un’inversione della rappresentanza, perché i “perdenti della globalizzazione” si sono riuniti a destra. I sovranismi e i populismi hanno messo in crisi le culture tradizionali. Abbiamo bisogno di un riformismo radicale dei valori, sull’esempio di Matteotti che si dedicava alle leghe contadine e operaie. I partiti si devono occupare dei riders, ad esempio, riprendere un’alleanza coi lavoratori, i “perdenti” della globalizzazione, ora a destra.
Michele Vellano, ordinario di diritto dell’Unione Europea (Università di Torino), ha illustrato i trattati fondativi dell’Unione, sottolineando le parole chiave contenute come culture, religioni, diversità, linguaggi (24 lingue diverse con 27 paesi): una grande ricchezza, un antidoto in epoca di sovranismi e nazionalismi. Ed è l’Europa a finanziare l’Erasmus, straordinaria possibilità di incontro culturale e di apprendimento tra i giovani.
Alessandro Giacone, storico delle Istituzioni (Università di Bologna) ha illustrato le culture politiche dei fondatori dell’Europa, periodizzando tre fasi e i relativi protagonisti: gli anni dal ‘48 al ’50; gli anni ’80 - fino ai primi ’90; gli anni del Trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009), che ha esteso i poteri del Parlamento, ponendolo su un piano di parità con il Consiglio, con il potere di approvare insieme al Consiglio l’intero bilancio dell’UE, dandogli l’influenza per determinare la direzione politica dell’Europa, e rispecchiando i risultati delle elezioni europee. Tre sono le culture politiche dei protagonisti di queste fasi: popolare, socialista, liberale. Ma certamente non è l’Europa di Spinelli, che la voleva federalista.
Lo storico Umberto Gentiloni (Università La Sapienza) si è soffermato sulla odierna crisi della democrazia: il mondo del dopo ’45 è finito, il sovranismo è una riverniciatura del nazionalismo, Trump ha sconquassato ulteriormente un mondo senza regole, che torna alla libertà del più forte (anche a livello degli individui). Inoltre non si è abbastanza considerata l’importanza della rivoluzione tecnologico/digitale degli ultimi 30 anni, paragonabile all’invenzione della scrittura, del torchio a stampa, che ha influenzato fortemente le forme di esercizio della democrazia: viviamo nel tempo delle informazioni, che sono la ricchezza dei nuovi potenti e esercitano anche un controllo sui nostri comportamenti.
Stefano Tallia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, ha ripreso il tema dell’informazione, elencando paesi, come Siria e Israele, dove ai giornalisti viene impedita la presenza, e non possono vedere in prima persona e “raccontare”: questo è un problema che riguarda l’opinione pubblica e la democrazia. C’è un imbarbarimento: la guerra del Vietnam la potevi raccontare dalle due parti, ma purtroppo oggi l’attenzione dell’opinione pubblica è molto bassa, e i conflitti d’interesse si sono moltiplicati. C’è un diritto all’informazione e c’è anche un diritto alla presunzione d’innocenza, ed è necessaria l’assunzione di una responsabilità collettiva, perché quando l’informazione è limitata o inquinata, ad ammalarsi è la democrazia.













































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