Dalle lettere di Ingrid Bergman a Trump, mala tempora currunt
- Menandro
- 6 lug
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di Menandro

Le prime lettere del presidente americano sono arrivate e non parlano d'amore. Una volta contenevano parole pregne di significati romantici. E facevano sognare. Adesso sono amare e non disdegnano minacce neppure così velate nel reclamare l'aumento dei dazi. Questo Trump nella sua prepotenza nega i sogni e presto toglierà anche il sonno.
Chi non ricorda la passione che da una lettera irrompe tra Roberto Rossellini e Ingrid Bergman? Lei scrive affascinata al regista principe del Neorealismo, all'autore di Roma città aperta e Paisà, proponendosi come attrice. Anni dopo racconterà: "Quando vidi Paisà dopo Roma, città aperta pensai: 'Tanta forza drammatica in un film può per una sola volta essere il risultato di un caso fortunato, ma non può essere per due volte'. Io devo fare un film con quest'uomo". Ingrid è bellissima come lo può essere una svedese con sangue tedesco. Scrive a Rossellini di saper parlare anche l'inglese, mentre in italiano sa dire, e lo rimarca civettuola, soltanto "ti amo".
E' il 1948. Rossellini, che vive al fondo del capolinea con la grande Anna Magnani, dopo il matrimonio che ha lasciato spazio a una profonda amicizia con Marcella De Marchis, brucia di passione per lei, Ingrid, che a sua volta ha un marito, che non cita, come se non esistesse. I due si conquisteranno in America e la loro storia d'amore fa il giro del mondo per proseguire sul set di Stromboli, dove un regista innamoratissimo desidera soltanto che lo sia altrettanto la sua attrice.
Chi vuole conquistare oggi Trump con le sue lettere pretenziose? Attrici brave e famose? Dubitiamo. Le cronache giudiziarie raccontano altro del suo rapporto con signore e signorine. Lui vuole soldi per la sua America First. Le agenzie battono che le sue lettere con i nuovi dazi sono giunte a destinazione di Giappone e Corea del Sud. Ai due Paesi asiatici è riservato il 25 per cento. Si mormora che andrà peggio al Myanmar, devastato dal clima e dalla dittatura: 40 per cento. Più del Sudafrica che paga anche un doppio dazio: quello di essere patria dell'odiato Musk.
Seoul non protesta. Non può. Le basi militari a stelle e strisce sono dappertutto e ricordano che esiste il 38° parallelo oltre il quale i fratellastri del nord sono sempre tentati di lanciare i loro missili. A Tokio si consolano con le arie di Madama Butterfly. I dazi di Trump non potranno mai cancellare il fascino di quella bellissima storia d'amore, mentre alla fonda le cannoniere dell'ammiraglio americano Perry sono pronte ad uccidere l'ultimo samurai. Lo vendica l'alcol, perché Perry muore di cirrosi epatica, ma i giapponesi giurano di non avere augurato male ad alcuno.
Lo sottoscrive anche Yukio Mishima, che nella sua stoica visione del passato sacrifica la vita per la sua Patria. Chissà che cosa avrebbe scritto al presidente americano l'uomo del seppuku? Forse gli avrebbe ricordato che, come in Lo specchio degli inganni, se nel passato "bastò una nave a mutare ogni cosa", non è detto che la sua lettera farà la stessa cosa.













































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