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Come eravamo... dalle colonie Olivetti alle Frattocchie, 1960

Aggiornamento: 18 ore fa

di Giancarlo Quagliotti*


Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4419842
Wikipedia. Di I, Sailko, CC BY 2.5

Sono stato un bambino Olivetti, come altri centinaia nel Canavese. Sin dalla prima infanzia la “Ditta”, come veniva definita nel comune linguaggio in città, si occupava di noi e rappresentava un significativo sollievo per le famiglie, specie per quelle numerose come la mia. Ho un nitido ricordo di quando mio padre mi “depositava” all’asilo Olivetti, uno dei tanti capolavori dell’architettura presenti in città, grazie alla visione di Adriano Olivetti, ben prima delle 7.30, ora di inizio del lavoro di mio padre, il quale poi passava a “ritirarmi” dopo le 18.00 a conclusione della sua giornata di lavoro. Per tutto quel tempo le assistenti si occupavano di noi: mangiavamo, fatto assai importante negli anni di guerra, e in quelli immediatamente successivi, ci facevano giocare e avevano cura della nostra pulizia e salute. In età scolastica, sempre attraverso il “Fondo Burzio”, l’ente che si occupava dell’assistenza ai dipendenti, finimmo, io e mio fratello Paolo, in collegio a Cavaglià, dai salesiani. Paolo vi resterà per otto anni, io scappai due volte mentre facevo la seconda elementare, sempre riacciuffato da mio fratello (aveva tre anni più di me) mandato dai salesiani a ricuperarmi. Scappai ancora in terza elementare e a questo punto i miei genitori vennero a prendermi, anche su sollecitazione degli stessi salesiani.

Quasi tutti noi bambini e ragazzi figli dei dipendenti della Ditta, nati negli anni della guerra o subito dopo, abbiamo visto e conosciuto la montagna e il mare per la prima volta grazie alle colonie Olivetti. Le nostre vacanze scolastiche, prima e dopo, la parentesi della Colonia Olivetti, si svolgevano ai laghi, il bellissimo lago Sirio nel quale ci bagnavamo sorvegliati dalla mamma o il più modesto San Michele, frequentato poi in età più tarda. I laghi venivano raggiunti camminando per 30/40 minuti (abitavamo al centro di Ivrea) con mamma e noi caricati di fardelli indispensabili per portare tutto l’occorrente (cibo, bevande, asciugamani, ecc. ecc.). Anche la passeggiata faceva parte della vacanza per gli scherzi che ci facevamo tra ragazzi, formandosi cammin facendo delle piccole comitive. Quando papà aveva le ferie ci permettevamo tutta la famiglia (sei persone) di passare una giornata al lago di Viverone, raggiungibile da Ivrea in meno di mezzora con in pullman di linea.

Le Colonie Olivetti ci emozionavano sin dai preparativi: le visite mediche per decidere se destinarci al mare o in montagna, la preparazione del corredo e della valigia, il viaggio in pullman se destinati a Saint Jacques di Champoluc o in treno se si doveva raggiungere Marina di Massa, sede anche di altre colonie aziendali e di associazioni. Poi, crescendo, ho partecipato anche al pre-campeggio, destinato ai ragazzi con più di 14 anni - sempre a Saint Jacques – e al campeggio a Marina di Ravenna, destinato a ragazzi oltre i 18 anni, alcuni già dipendenti Olivetti.

Alla Olivetti ICO venni assunto a settembre del 1960, compiuti i diciotto anni ed essendo milite esente, come manovale comune, l’inizio della “carriera” degli operai. A ottobre decisi di iscrivermi alla FGCI. Sulla mia decisione influirono le discussioni politiche che si facevano in famiglia, dove tutti votavano (o voteranno) PCI. Mio nonno Passera fu tra i fondatori del PCI a Caluso - comune sciolto d’autorità dal prefetto in quanto era a guida socialista - e mia mamma sin da bambino mi parlava di lui con ammirazione e mi raccontava di qualche disavventura avuta durante il fascismo. La mamma fu attiva nei Gruppi di Difesa della Donna e membro della ricostituita Commissione Interna della Rossari e Varzi nel 1945. Mio padre, operaio alla Olivetti, orfano della Prima Guerra Mondiale, fu riconosciuto partigiano combattente, per la sua militanza nelle SAP garibaldine.

La FGCI di Ivrea era costituita nella sua quasi totalità da studenti universitari tanto appassionati nelle discussioni politiche e ideologiche, quanto assenti nel lavoro pratico. Incominciai a frequentare il circolo e, soprattutto i compagni di fabbrica. Il segretario della sezione di Ivrea era un compagno operaio della Olivetti, consigliere comunale. Funzionario di Zona era Mario Zucca, mandato da Torino. Fu Zucca a sollecitarmi a “prendere in mano” il circolo della FGCI, di cui divenni presto segretario. Con l’aiuto di mio fratello Paolo, anche lui operaio, e con l’impegno dei nuovi iscritti in maggioranza giovani operai, conducemmo una campagna di reclutamento che ci consentì in pochi mesi di superare i 100 iscritti e di iniziare a svolgere una attività verso le piccole fabbriche e in città. L’attività di reclutamento fu anche facilitata a Ivrea, come in tutta Italia, dalla forte adesione ai valori dell’antifascismo della stragrande maggioranza dei cittadini, rilanciati con forza tra i giovani a seguito dagli eventi del luglio 1960 contro il governo Tambroni, che videro una forte mobilitazione giovanile.

La mia prima vacanza, fuori dal perimetro Olivetti e famigliare, avvenne grazie al mio impegno politico. Nell’estate del 1961 Mario Zucca e Sante Bajardi mi proposero di partecipare, durante il periodo delle ferie, ad un corso politico di formazione dedicato ai giovani operai che si sarebbe svolto alla Frattocchie, la mitica scuola quadri del partito. Non si trattava di una vacanza studio, ma quasi. Accettai con entusiasmo e la mamma e papa furono d’accordo, tanto da lasciarmi a disposizione per le spese il mio “premio ferie” percepito dalla Olivetti.

Per me fu tutto “una prima volta”. Il punto più lontano a cui ero arrivato fino ad allora (escludendo le vacanze Olivetti) era Torino, che avevo incominciato a frequentare in virtù della mia cooptazione nel Comitato Federale della FGCI e delle riunioni per giovani operai che si svolgevano alla domenica mattina. Ricevetti le relative istruzioni per il viaggio, in particolare il modo con cui, giunto a Roma, avrei dovuto muovermi per arrivare nei pressi di Piazza San Giovanni dove avrei preso il trenino per i Castelli Romani, dove si trovavano le Frattocchie. Giunto alla fermata, vidi che si stava spontaneamente costituendo un gruppetto di giovani già impegnati in una vivace discussione. Mi avvicinai a loro e fu facile capire che erano giovani operai comunisti che arrivavano da Milano, Padova, Novara, Bolzano e altre località per la mia stessa ragione. Ci salutammo con l’entusiasmo della nostra gioventù e dei nostri convincimenti. In attesa della partenza, iniziammo a intonare le nostre canzoni: L’internazionale, Avanti popolo, la Guardia rossa, Fischia il vento.

In breve tempo attorno a noi, tra quanti aspettavano il nostro stesso trenino, iniziarono discussioni tra chi si dichiarava d’accordo e chi dissentiva. Alcune signore si dimostrarono particolarmente indignate chiedendoci se non ci vergognavamo di cantare simili canzoni e di dichiararci comunisti. Rispondemmo per le rime. Si alzarono ulteriormente i toni quando esse, con tono ostile, ci rinfacciarono di guadagnare molto di più dei loro figli laureati che lavoravano nei ministeri. Al che io affermai con la perentorietà dei miei giovani anni: ”se vogliono guadagnare di più facciano come noi: si organizzino in un sindacato e inizino a lottare. Lamentarsi non serve.” Al che una di queste “gran dame” esclamo: “i nostri figli non sono dei villani, sono istruiti e non seguono i demagoghi rossi”. Al che la reazione di noi giovani stava per degenerare, ma per fortuna il trenino partì.


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Giunti alle Frattocchie la prima cosa che mi impressionò fu l’ambiente in cui la scuola era collocata in grandi spazi verdi, altro che il collegio dei salesiani con cortili tutti sterrati dove era regola sbucciarci le ginocchia giocando al pallone. Poi vidi che c’era una casa un po’ discosta verso la quale tutti guardavano con curiosità e, a bassa voce, un compagno mi sussurrò: “quella è la casa dove viene a riposare e a scrivere Togliatti”. Seppi poi che era vero, ma intanto alcuni “studenti” vennero ospitati nella casa “di Togliatti”.

Tra gli insegnanti trovai Beppe Pensati, allora responsabile della Federazione di Torino per il lavoro operaio, che seguiva uno dei gruppi di studio che si sarebbe costituito subito dopo la prima lezione, che si teneva nella sala conferenza in cui troneggiava il quadro di Guttuso “La battaglia di Ponte Milvio”. Mi venne poi detto “che il quadro valeva milioni e che Guttuso lo aveva regalato alla scuola”.

Per me era tutto interessante e, devo dire, la stessa impressione faceva nei compagni. La scuola funzionava così. Si teneva una lezione da parte di uno degli insegnanti (Gruppi, Gensini, Giacchetti, Barca) e poi si formavano i gruppi di studio e di discussione, preceduti dallo studio individuale su dispense distribuite dalla scuola. A termine delle discussioni seguivano i consigli di lettura per quando saremmo tornati a casa.

Terminato l’impegno scolastico, verso le 17 e in attesa della cena, dopo la quale le discussioni continuavano tra gruppi che si formavano spontaneamente, eravamo liberi di uscire e di recarci nei vari paesi che erano vicini alla scuola. Fu così che inizia a conoscere i Castelli Romani, che avrò poi modi di meglio visitare durante il mio impegno nella FGCI nazionale. Alla domenica ci spingevamo più lontano verso Castel Gandolfo, residenza del Papa e il lago, raggiungibile con una bella passeggiata attraverso le colline.

Per me fu di particolare interesse conoscere gli altri ragazzi e operai più anziani di noi, mandati anch’essi a seguire un corso loro dedicato. Scoprii così la realtà di una Italia divisa non solo tra Nord e Sud, ma anche dentro il mitico Nord. Il confronto tra i nostri salari e i loro era abissale. Io, assunto da pochi mesi, guadagnavo netti sessanta mila lire al mese. Operai tessili del padovano specializzati dichiaravano di arrivare a 40 mila lire al mese, circa la metà di quanto guadagnava mio padre. Ancora più rilevanti erano le disparità verso le donne e verso i lavoratori del Sud. Questa realtà rendeva con chiarezza l’urgenza della “questione meridionale” esplicitataci in una delle lezioni. Altre riguardavano la “Lotta per la pace” e “La via italiana al socialismo” e non mancarono riflessioni sulla condizione operaia (su questo tema fu per me importante il contributo di Pensati) e sull’ormai imminente avvio della stagione delle lotte contrattuali, che avrebbero dovuto conseguire il risultato di cambiare profondamente i rapporti in fabbrica (e in effetti così sarà con le lotte degli anni 1962/1963 per i rinnovi contrattuali delle più importanti categorie).

Fu la mia prima vacanza da giovane adulto (si direbbe oggi). Furono due settimane intense sotto ogni profilo: politico, culturale e anche emozionale per le tante novità che tutte insieme mi si presentarono in quel breve tempo. Ritornato a Ivrea fui “interrogato” su come fosse la scuola e di cosa avevamo discusso dai compagni della FGCI e anche da alcuni compagni operai interessati a conoscere meglio certi aspetti della vita di partito.

Seppi poi che sul mio impegno fu espresso un giudizio positivo, che credo contribuì, insieme al mio impegno in fabbrica e nel circolo, a far decidere al partito di proporre, di lì a pochi mesi, il mio nome quale nuovo segretario a settembre del 1960 provinciale della FGCI. Ci vorranno ancora alcune estati prima che con Carmen e nostro figlio Luca potessimo permetterci le prime vacanze al mare in campeggio, scelta che compimmo su suggerimento di compagni dell’apparato che facevano da tempo le loro vacanze così.


*Giancarlo Quagliotti, classe 1942, fino al marzo del 2025 ha diretto la presidenza dell'Associazione consiglieri del Comune di Torino. Funzionario e dirigente del Pci, è stato capogruppo del partito in consiglio comune di Torino a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta nelle giunte Novelli. Ed è di questa esperienza che sarà testimone oggi pomeriggio alle 18 alla Festa de l'Unità di Torino in un dibattito che prende spunto dalla presentazione del libro "Giunte rosse. Genova, Milano, Torino 1975-1990" di Giorgio Bigatti, cui partecipano Sergio Scamuzzi, Eleonora Artesio, Giorgio Ardito e Michele Ruggiero.

 


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