Castel D’Azzano, il rischio non può essere una scusante
- Nicola Rossiello
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Aggiornamento: 2 giorni fa
di Nicola Rossiello

Domani, venerdì 17 alle 16, si svolgeranno nella Basilica di Santa Giustina a Padova i funerali di Stato dei carabinieri morti a Castel D'Azzano, in provincia di Verona. Alla cerimonia funebre parteciperà il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Ed è stato anticipato che sarà impiantato uno schermo gigante all'esterno della Basilica per dare la possibilità di poter partecipare al rito religioso anche a quanti non potranno trovare posto all'interno.
Davide Bernardello, 36 anni. Valerio Daprà, 56 anni. Marco Piffari, 56 anni, sono tre carabinieri, tre padri, tre lavoratori dell'Arma che hanno perso la vita tragicamente martedì scorso. L’esplosione nel casolare di Castel d’Azzano non è solo una notizia di cronaca nera, ma un pugno allo stomaco che costringe all'ennesima verità scomoda della dimensione della salute e sicurezza sul lavoro delle forze di polizia. Siamo in presenza di norme e di deroghe al Testo Unico sulla Sicurezza, che per le Forze di Polizia valgono legittimamente solo in presenza di eventi non prevedibili e operazioni di emergenza improvvisa.
Tuttavia in questo caso specifico, gli elementi di prevedibilità sembrano purtroppo esserci stati. I precedenti tentativi di resistenza con il gas in quella proprietà erano un dato noto, un campanello d'allarme che avrebbe dovuto stimolare ad effettuare una valutazione dei rischi accurata. Questo rimane il nucleo centrale della questione: la pianificazione di un'operazione di questa portata può prescindere da una analisi concreta delle minacce, in questo caso, più che ipotetiche?
La disperazione che porta una persona a trasformare la propria casa in una trappola mortale è un aspetto non trascurabile. Nulla può giustificare un gesto criminale omicida, ma una società matura ha il dovere di chiedersi quali fratture sociali ed economiche possano spingere un individuo a una tale scelta.
«Il rischio è parte del mestiere», ci sentiamo spesso dire dai nostri datori di lavoro delle forze di polizia, ed è una parte di verità che non può diventare un alibi. Non può essere la risposta quando tre vite vengono spezzate. Il miglior tributo a Davide, Valerio e Marco non sarà solo un monumento, ma una riforma coraggiosa che integri definitivamente la tutela della del lavoratore di Polizia, a partire da una valutazione dei rischi che non ammetta deroghe quando il pericolo è, come in questo caso, prevedibile.
Basta con la retorica dell'ennesima fatalità. La memoria di questi caduti non può essere solo un tributo emotivo, ma deve diventare il motore di una rivoluzione organizzativa senza precedenti. Dobbiamo superare la frammentazione e imporre un ecosistema integrato per le forze di polizia: un sistema che metta insieme il rispetto delle norme, senza deroghe, una radicale revisione dell'organizzazione del lavoro e una profonda consapevolezza sociale del ruolo delle Forze di Polizia.
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