Carenze e limiti del Piano sociosanitario della Giunta Cirio
- Gianna Pentenero
- 21 set
- Tempo di lettura: 6 min
di Gianna Pentenero*

Il bilancio della Regione Piemonte per il 2025 ammonta a 20,4 miliardi di euro; di questi, quasi 13 miliardi sono dedicati al Sistema Sanitario Regionale. Nulla di strano, considerando che le politiche sanitarie - e di conseguenza la tutela della salute dei cittadini - è uno dei compiti principali attribuiti alle Regioni; ma, proprio alla luce del peso della spesa sanitaria all’interno del bilancio regionale, è importante fare un’opera di chiarezza, mentre il Consiglio Regionale si appresta a discutere della Proposta di Piano Socio Sanitario per il 2025-2030, già approvata dalla Giunta Regionale lo scorso 29 luglio.
Solo una lista di "buone intenzioni"
Il Piano Socio Sanitario Regionale è il documento fondamentale che guida le scelte in materia di politiche sanitarie: partendo da un’approfondita analisi della situazione esistente sul territorio, identifica le priorità da perseguire, le risorse ad esse dedicate, gli strumenti e i tempi nei quali queste dovranno essere raggiunte, ma definisce anche criteri oggettivi per spiegare perché alcune scelte siano prese, preferendole ad altre. Nel caso della proposta approvata dalla Giunta, questi elementi - non secondari - sono sostanzialmente assenti. È per questo che risulta difficile parlare di un Piano Socio Sanitario, ma, piuttosto, che a quel documento ci si possa riferire, tutt’al più, come ad una lista di intenzioni. E il confronto con documenti analoghi approvati da altre giunte regionali, come quelle di Toscana e Lombardia, risulta slavato. Affinché sia ben chiaro che quelle che leggerete in seguito sono critiche di merito, non a caso si è scelto di citare il Piano Regionale Lombardo: si tratta di un documento del quale non si condivide molte cose, in termini di scelte politiche, ma che ha quantomeno il merito di essere preciso e dettagliato.
Il processo di stesura e, successivamente, di approvazione di un piano socio sanitario non può essere una medaglia politica che una Giunta possa o debba volersi appuntare. Un processo di questo tipo, quindi, deve essere necessariamente partecipato e condiviso. E lo deve essere ancora di più oggi, in un momento in cui i sistemi sanitari regionali, non solo quello piemontese, vivono una vera e propria fase emergenziale.
Le ragioni di questa emergenza sono molteplici, e non sarebbe intellettualmente corretto attribuirle tutte ad una Giunta Regionale, di qualunque “colore politico” essa sia. Negli anni, ascoltando le associazioni di categoria, il personale sanitario e quello dirigente, abbiamo imparato moltissimo in merito alle ragioni profonde di questa crisi, a partire da quelle demografiche; abbiamo imparato altrettanto ascoltando i cittadini e le cittadine, che in molto casi si vedono negato il diritto alla salute.
Assenza di indicazioni economiche precise
Ma proprio alla luce di quanto abbiamo imparato, dobbiamo dire che questo documento non risponde alle necessità delle piemontesi e dei piemontesi, perché non dà risposte e non identifica soluzioni concrete per i problemi più avvertiti dai cittadini, dalle liste d’attesa alle chiusure estive di alcuni reparti ospedalieri, alle questioni legate alla non autosufficienza, solo per citare alcuni esempi. Inoltre, non contiene indicazioni economiche precise, per le quali è necessario invece rifarsi ad un altro piano, approvato dalla Giunta con una delibera di febbraio: ad oggi, non è chiaro come i due documenti “dialoghino” tra loro, e come quelle scelte economiche siano compatibili con quanto scritto nel Piano Socio Sanitario.
Ancora. Non è poi chiaro come, dopo averla criticata ripetutamente, la Giunta Cirio pensi di superare la delibera 1/600 del 2014, che si proponeva di adeguare la rete ospedaliera agli standard di legge, stabiliti dal ministero. Dato che nel documento non vengono stabiliti i criteri per le aperture e le chiusure delle strutture sanitarie, è lecito domandarsi cosa succederà quando, ad esempio, un reparto di maternità non avrà più i requisiti numerici di sicurezza per rimanere aperto: le decisioni in merito verranno prese a seconda della tessera di partito e dell’appartenenza dell’amministratore locale coinvolto, di volta in volta?
Le riserve degli stakeholder
Ma le critiche non provengono soltanto dal Partito Democratico a Palazzo Lascaris, né solo dai partiti di opposizione; sono gli stakeholder del territorio che in queste settimane hanno espresso le loro riserve, sia a noi che alla Giunta; lo dicono medici o ex medici, esponenti delle professioni sanitarie, ricercatori e ricercatrici, che in questi mesi hanno messo le loro competenze al servizio del bene pubblico, analizzando puntualmente i documenti che, faticosamente, invece, la Giunta pubblicava. Se quanto non è chiaro è già preoccupante, le criticità che emergono da quanto scritto nel piano lo sono ancora di più, forse.
Il documento non è stato in grado di analizzare il presente, dato che la fotografia che emerge della nostra Regione è “sfuocata”, senza adeguato supporto di dati e senza la conoscenza profonda delle realtà virtuose già attive sul territorio. Il “nuovo piano” non è stato in grado di apprendere dal passato, ed in merito si fa un solo esempio: il documento parla spesso dell’importanza delle reti sanitarie, cosa su cui a grandi linee tutti potranno essere d’accordo, ma si dimentica però di citare e di imparare da esperienze virtuose, come quelle della Rete Oncologica o della Rete delle Culture Palliative, quanto dalle organizzazioni del terzo settore, solo per fare alcuni esempi di eccellenze del nostro territorio che, nonostante un costante indebolimento a cui purtroppo abbiamo assistito in questi ultimi anni, continuano ad essere esempi virtuosi.
Occasioni perdute per la digitalizzazione
Il “nuovo piano” poi non guarda nemmeno al futuro, pur ponendosi come orizzonte, fin dal titolo, il prossimo quinquennio: nella nostra Regione esiste da tempo una criticità sulla raccolta e sull’accesso ai dati sanitari, ad esempio da parte dei servizi epidemiologici. Oggi è possibile, nel pieno rispetto della privacy dei cittadini, raccogliere informazioni preziose che permettano al sistema di operare in maniera più efficienti, con innumerevoli vantaggi sia in termini di rapidità della risposta sanitaria che dal punto di vista economico. Nel momento in cui, in questi anni, il PNRR spingeva sulla digitalizzazione, non siamo stati in grado di approfittarne dal punto di vista sanitario e oggi, mentre entra il vigore il nuovo Regolamento Europeo sullo Spazio Europeo dei dati sanitari, la Regione continua ad avere sistemi operativi diversi nelle varie aziende sanitarie.
Ci sono poi altre criticità di fondo ancora più profonde: solo per citarne alcune, a titolo esemplificativo, questo piano continua ad insistere sulla residenzialità e sulle fasi acute delle malattie, quando sappiamo che, anche grazie all’aumento della vita media, nei prossimi anni avremo sempre più a che fare con persone che avranno bisogno di un’assistenza domiciliare di qualità, per patologie croniche. Se, come ha annunciato, l'assessore alla Sanità Federico Riboldi vuole approvare un piano che sia “guida per i prossimi vent’anni”, non possiamo ignorare come sta cambiando e come cambierà la realtà dei cittadini. È preoccupante poi la mancanza di attenzione per i cittadini e le cittadine più fragili: nel documento si trovano riferimenti ai “caregiver familiari” come soluzione, magari corrispondendo loro qualche forma di sussidio economico in caso di non autosufficienza di una persona cara.
Benissimo che siano previste anche queste forme di assistenza, e che il lavoro di cura possa essere in qualche modo remunerato, ma chiunque ha avuto a che fare con pazienti fragili nel proprio nucleo familiare, che necessitavano di cure e assistenza prolungata per anni, se non decenni, sa benissimo che il peso che ricade sui familiari è spesso insopportabile, e che un supporto di professionisti sia non solo utile, ma indispensabile. E invece, per quanto riguarda questi temi, per il vero supporto alle famiglie, non vengono individuate soluzioni strutturali, al di là del rimando ad una “coprogettazione col terzo settore”, sicuramente virtuosa e necessaria, e che tuttavia non viene meglio definita nella pratica, sembrando così essere quasi una “parola magica” utilizzata più come panacea di tutti i mali che come una vera soluzione concreta sulla quale si è discusso e ragionato, anche con il fondamentale supporto di servizi territoriali, associazioni locali e istituzioni.
Scarsa attenzione dedicata alle professioni sanitarie
Un’altra criticità poi è la scarsa attenzione per i lavoratori: non abbiamo trovato nel piano proposte efficaci per favorire l’accesso ai corsi di laurea e alle scuole di specializzazione; non esiste una risposta alle gravi carenze per le professioni sanitarie, nessun riferimento a come il sistema pubblico pensi di risolvere l’ormai cronica incapacità di attrarre personale, da lungo tempo in fuga verso la sanità privata.
Per quanto lunga, questa è solo una prima disamina, preliminare, di un documento del quale non abbiamo ancora avuto l’opportunità di discutere nelle sedi opportune. Nelle prossime settimane, continueremo ad ascoltare e a ricevere gli stakeholder impegnati quotidianamente per migliorare la situazione della sanità della nostra regione, in attesa di poterlo fare attraverso le audizioni, in Commissione. Sarà un processo lungo, che tenderà a protrarsi nel tempo; ma anche al contributo degli stakeholders, dovremo essere in grado di dare significato a questo tempo, raggiungendo soluzioni condivise e di maggiore qualità rispetto a quelle messe sul tavolo fino ad ora.
*Capogruppo Pd in Consiglio Regionale del Piemonte













































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