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Bruxelles: le incognite sul voto della Commissione Europea

Mercedes Bresso

di Mercedes Bresso


Le vicende degli interrogatori ai Commissari europei indicati dalla Presidente Ursula von der Leyen, che devono essere prima approvati col voto delle Commissioni competenti per la loro materia e poi votati tutti insieme dalla plenaria del Parlamento Europeo, ha probabilmente sconcertato la maggior parte degli osservatori. Bisogna sapere che questi interrogatori sono sempre temutissimi dai candidati commissari perché i parlamentari sono molto aggressivi e pongono questioni complesse per verificare le competenze dei candidati. Questa volta però la questione è del tutto diversa: il voto alla presidente della Commissione, che richiede una maggioranza qualificata, ha creato una maggioranza politica composta da PPE, Socialisti e democratici, Liberali e Verdi, che è in realtà una maggioranza pro europea più che politica nel senso abituale del termine. E nel gioco si sono inseriti i molti rappresentanti di governi di destra, fatto raro in passato.

Anche nella scorsa legislatura a fronte di un accordo politico generale pro europeo fra tre partiti, si sono avute continue scaramucce sui testi legislativi, con il PPE che votava con le destre su molti emendamenti o interi testi e Socialisti e Renew che allargavano la maggioranza di voto con accordi con i verdi e la sinistra. Tutto questo ha portato ad approvare spesso testi mediocri, frutto di colpi di mano reciproci fra i partiti della supposta maggioranza.

In questo inizio di legislatura si sta ripetendo questa tensione fra PPE e Socialisti e ha già prodotti problemi, ad esempio, per il testo sulla forestazione votato dal PPE insieme a tutte le destre comprese le estreme. Purtroppo questa abitudine a fare accordi e poi a violarli per far capire di essere i più forti, ha portato a una situazione da cui uscire non sarà facile.

Va ricordato innanzitutto che ogni paese membro ha diritto a un Commissario (anche se i trattati prevedono un numero pari a due terzi, norma che però viene sempre prorogata). Quindi non si può certo pensare che un Paese dove ha vinto la destra nomini un commissario che non sia della sua parte politica. Il che implica che gli interrogatori dovrebbero riguardare le competenze e la garanzia di un lavoro nella linea definita dal Presidente della Commissione e dal Parlamento ma non certo le idee politiche dell’interrogato o la sua attività precedente nel proprio paese.

Fra l’altro la Presidente Giorgia Meloni aveva opportunamente scelto una persona come Raffaele Fitto (55 anni), democristiano di vecchia data (è figlio di Salvatore Fitto, già presidente democristiano della Regione Puglia nel 1985), che aveva fatto parte del PPE e di Forza Italia, quindi poteva sperare in una certa benevolenza. Invece, negli interrogatori sono prevalse le tensioni politiche nazionali, soprattutto quella fra i popolari e i socialisti spagnoli, che hanno portato la destra ad accanirsi sulla commissaria Ribera e la sinistra a fare la stessa cosa su Fitto, che ha in più la debolezza di non far parte della coalizione di maggioranza.

Siamo di fronte a una grave impasse: tutti sanno che bisogna arrivare a un voto positivo su tutta la Commissione (dovrebbe essere durante la plenaria della prossima settimana a Strasburgo), ma il braccio di ferro fra PSE e PPE continua.

Vediamo le possibili soluzioni.

Votare tutti e sei i vicepresidenti insieme: poiché sono di tutti i colori politici della maggioranza, più Fitto di ECR, sembra una ipotesi ragionevole, tutti avrebbero interesse a votare. Ma ciò vorrebbe dire l’allargamento di fatto della maggioranza ai conservatori perché le altre destre e  la Sinistra voterebbero contro.

Eliminare i vicepresidenti e votarli solo come commissari. Ciò sminuirebbe i ruoli sia della spagnola che di Fitto, ma forse si potrebbe rimediare con delle funzioni di coordinatori, che sono poi i compiti veri di questi vice-presidenti. A quel punto il voto sarebbe su tutta la Commissione e ogni voto in più non potrebbe che essere benvenuto.

Tuttavia credo che sarebbe necessario promuovere anzitutto un chiarimento e un nuovo patto fra PPE e S&D. I due partiti maggiori dovrebbero evitare di farsi la guerra e riconoscere che in Europa la collaborazione fra di loro è indispensabile. Certo nei singoli Paesi essi si trovano spesso all’opposizione uno dell’altro ma l’UE è una cosa diversa e ha bisogno di vedere rappresentate (e rispettate) tutte le componenti che accettano di lavorare per quell’Unione “sempre più stretta” che è scritta nei trattati. Le polemiche nazionali devono restare fuori dalla porta e chissà che ripristinare la leale collaborazione, che ha consentito in passato di cambiare le sorti del Vecchio Continente e che è espressa a Bruxelles dalla gigantografia di Altiero Spinelli e dal busto di Alcide de Gasperi, non possa insegnare qualcosa anche nei nostri martoriati e malridotti stati nazionali.

Se questo chiarimento avverrà trovare la soluzione diventerà molto più semplice.

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