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- a cura del Baccelliere
- 1 giorno fa
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Aggiornamento: 11 ore fa
I sogni di una generazione sul ponte di San Francisco
a cura del Baccelliere

John Phillips dei Mamas and Papas nel 1967 scrisse San Francisco[1] per la voce di Scott McKenzie, scomparso nel 2012. La canzone doveva servire da traino al Monterey Pop Festival, che si sarebbe tenuto nel giugno dello stesso nella città californiana. Il Festival di Monterey rappresentò il culmine della cultura hippie. Vi parteciparono 200.000 persone che erano lì per la musica e per condividere ideali. Di quegli ideali San Francisco era il simbolo. Attraeva in quello scorcio di anni Sessanta artisti e intellettuali. Phillips la vedeva come una meta e immaginava il percorso per arrivarci pieno di pace, amore e aspettative. Ingenuità e candore.
Quella del 1967 fu definita la summer of love. Eravamo nei tumultuosi anni delle rivendicazioni razziali e a Monterey suonarono artisti bianchi e neri. Qui si ebbe la prima apparizione di Jimi Hendrix negli Stati Uniti[2]. Gli Who furono elettrizzanti. Debuttò Janis Joplin. Otis Redding, che sarebbe morto pochi mesi dopo in un incidente aereo, fu memorabile.
San Francisco introdusse tutto questo. Al di là dell’idea di ascoltare una canzone che ha fascino proprio in quanto semplice e immediata, possiamo paragonare quei tempi a quelli che stiamo vivendo. Oggi, in California, vediamo manifestazioni contro Trump e assistiamo alla loro repressione. Sembrano un’eco di quel passato, ma con sfumature differenti.

I temi della protesta, della ricerca di giustizia e della libertà di espressione, benché ancora centrali, si manifestano in modi diversi e con sfide nuove. Se negli anni ’60 il flower power rappresentava un invito alla non violenza e alla condivisione di un sogno, oggi le manifestazioni contro Trump e la loro repressione mostrano quanto sia difficile mantenere quell’ideale in un contesto politico più conflittuale, spesso violento, in cui idee di cui ci saremmo vergognati sono assurte a slogan politici di maggioranza e comportamenti leciti.
San Francisco apriva il cuore e le orecchie. Non tutto finì bene. La droga, in principio ingannevolmente assimilata alle altre affermazioni di libertà, avrebbe svelato il suo vero volto di disperazione, segnando, in modo irrimediabile, quella generazione.
Non siamo di fronte ad una nuova summer of love. Troppa rabbia caratterizza l’atteggiamento di chi è rimasto a casa ma sei mesi fa ha votato Trump. Così potremmo andare a San Francisco e trovare solo il Golden Gate. Siamo abituati a considerare il ponte una speranza. Attraversarlo e non trovare niente sarebbe soltanto l’espressione di un’amara utopia.
Note
[2] Pare fosse stato Sir Paul McCartney a insistere per averlo fra i protagonisti.
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