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Alberto Trentini, 251 giorni nelle carceri venezuelane

Aggiornamento: 24 lug

di Michele Ruggiero


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Andrés Bravo Pariaguán, 24 anni, detenuto dal 2021, è morto il 20 luglio scorso nel penitenziario di El Rodeo II nella città di Guatire, a meno di cinquanta chilometri dalla capitale Caracas. "Un detenuto in meno", saranno pronti a gaudere i soliti benpensanti che non hanno bandiere, né colore politico, quando si tratta di dimostrarsi irreprensibili cittadini sulla pelle degli altri. Un problema in più per il regime Maduro, sostiene invece chi quella morte l'ha denunciata. Ma andiamo con ordine.

Intanto che cosa c'entra Andrés Bravo Pariaguán con Alberto Trentini, il cooperante italiano "ospitato" da oltre otto mesi in una cella del carcere di El Rodeo I? [1] Tutto e niente. Se dovessimo soccombere, però, alle emozioni diremmo tutto. A cominciare dalle condizioni di vita che (r)esistono nelle strutture carcerarie del Venezuela. Un'illuminante idea la si può desumere sfogliando le pagine di una relazione universitaria di alcuni anni fa, ma non obsoleta, sui centri di detenzione nella regione della capitale, scritta da Laura Costa, relatori Alessandro Rocca (Politecnico di Milano) e Álvaro Rodríguez Muir (Universidad Central de Venezuela).[2] Invitiamo anche chi ha responsabilità istituzionali, se non l'avesse già fatto, a leggerlo.

Ciò ci riporta alla storia di Andrés Bravo Pariaguán, il cui decesso è stato denunciato lunedì scorso in una conferenza stampa dal Partito Comunista del Venezuela. Che non è un partito ferocemente reazionario. Almeno non lo era per il defunto presidente Chavez e per lo stesso Maduro, fino a quando lo ha appoggiato più o meno in silenzio. Poi, quando il Pcv è uscito dal suo guscio e lo ha accusato di condurre il Paese verso il fascismo, la reazione del presidentissimo non si è fatta attendere e non è stata certo all'insegna delle mezze misure: i comunisti venezuelani sono stati banditi e messi, a seconda delle situazioni, fuorilegge. Una mossa autoritaria "elastica" che ne ha confermato comunque le note riserve sulla natura oppressiva del regime che governa il Venezuela.

Ma ritorniamo ad Andrés Bravo Pariaguán. Di che cosa è morto? Tubercolosi. E senza aver ricevuto cure mediche adeguate durante la sua prigionia, ha affermato Jackeline López, dell'Ufficio Politico del PCV, che di conseguenza ha chiesto l'apertura di un'indagine sulla sua morte. La grave accusa, rilanciata dal quotidiano on line El Nacional [3], non si ferma a questo. Il partito ha sottolineato che Andrés Bravo è stato privato della libertà per più di quattro anni senza che fosse avviato il processo contro di lui. Il che ha portato Jackeline López a concludere che si è "di fronte alla violazione dei diritti umani fondamentali" che richiede un'indagine esaustiva sull'accaduto.

Tra l'altro, l'organizzazione per i diritti umani Surgentes ha ricordato che la detenzione del giovane è stata arbitraria e caratterizzata dall'assenza di garanzie procedurali. La stessa ha riferito che oltre alla tubercolosi il giovane aveva contratto un’infezione al sistema nervoso centrale ed è stato trasferito in ospedale in stato semi-comatoso.[4]

Ultimo, ma non meno importante, la sua morte ha più di un punto di contatto con quella avvenuta nel 2023 di José Felix Maiz, un altro degli arrestati nella stessa operazione che nel 2021 portò in carcere Bravo. Secondo un rapporto medico pubblicato all'epoca, scrive El Nacional, Maiz aveva patologie associate alle condizioni carcerarie, tra cui sepsi, tubercolosi e sindrome da deperimento degli organi.

Che cosa si deve ancora aspettare a chiedere la liberazione del cittadino italiano Alberto Trentini, detenuto illegalmente da 251 giorni?


Note

[1] I precedenti articoli che descrivono la vicenda di Alberto Trentini, soprattutto con le sue mancate evoluzioni sono pubblicati a partire dal 4 maggio scorso in https://www.laportadivetro.com/post/alberto-trentini-170-giorni-nelle-carceri-del-venezuela e seguenti.

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