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Ai seggi in sette regioni, qualcuno ne sa qualcosa?

Domani, domenica 27 settembre, urne aperte in Valle D'Aosta e Marche, in ottobre e novembre Calabria, Toscana, Campania, Puglia e Veneto


di Giancarlo Rapetti


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I drammatici eventi che stanno sconvolgendo il mondo hanno fatto passare in seconda linea le prossime scadenze elettorali di casa nostra. Eppure si voterà a breve o a brevissimo in sei Regioni (oltre la Valle d’Aosta, che fa caso a sé): Marche, Calabria, Toscana, Campania, Puglia e Veneto.[1] Le Regioni sono enti di straordinaria importanza nell’ordinamento istituzionale italiano. Attraverso di esse passano ingenti risorse, soprattutto quelle del Servizio Sanitario Nazionale, di cui hanno anche la responsabilità gestionale. Sarebbe un errore trascurarle, motivando che le priorità sono altre. Una rete di buoni Sindaci e di buoni Amministratori regionali sarebbe il brodo di coltura, la base, per un personale politico adeguato alle sfide da affrontare in ambito nazionale e sovranazionale. E il buon governo comincia dal basso. O meglio, il buon governo di un sistema è tale se è buono a tutti i livelli, secondo il vecchio principio per cui la qualità di una catena è dato dalla qualità del suo anello più debole. Detto altrimenti: tutti gli anelli contano.


Evidente caduta di interesse

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Come si diceva, però, l’argomento elezioni regionali non sembra appassionare, e la maggior parte dei commentatori già pronostica una bassa affluenza al voto. Val la pena di chiedersi perché.

Punto uno. I partiti ci hanno messo del loro, con tutte le manovre e manovrine sulla strada delle candidature: più platealmente a “sinistra”, più sobriamente (?) a “destra”. Il tutto si è ridotto ad un gioco interno alla politica politicante.

Punto due. Forse localmente la situazione è vissuta altrimenti, ma in generale non è emerso un confronto serio sul bilancio delle amministrazioni uscenti e sulla credibilità e le proposte dei concorrenti.  Anzi, anche questa volta, come purtroppo è d’uso, si sono caricate le elezioni regionali di significati impropri, come test della tenuta di presunti campi larghi o di coesione della coalizione di governo. In questo modo le regionali sono declassate a sondaggio per le successive politiche, generando ulteriore sfiducia e indifferenza.

Punto terzo. L’articolo 122 della Costituzione, così modificato nel 1999, ha introdotto l’elezione diretta del Presidente della Regione. La Costituzione prevede per altro l’autonomia delle Regioni in materia, quindi di poter disporre altrimenti. Quindi, detto per inciso, per ritornare ad una legge elettorale regionale ragionevole non c’è bisogno di ricorrere alla frenesia della riforma costituzionale. Nessuna Regione si è avvalsa della facoltà; anzi, può sembrare incredibile, ma alcune sono riuscite a peggiorare ulteriormente la situazione. Vincoli di coalizione, premi di maggioranza cervellotici, soglie di sbarramento arbitrarie, listini, variabilità a posteriori dei seggi spettanti alle varie province, complessa casistica dei calcoli di attribuzione dei seggi, rappresentano un impressionante pasticcio in cui il legislatore regionale dà il peggio di sé.


Il voto regionale "antidoto" (forse) al premierato

Con le regole prima ricordate, è inevitabile (a meno di coraggio e lungimiranza politica che per ora resta una speranza) la corsa a costituire un’ammucchiata, elegantemente definita coalizione, con l’unico collante di battere l’ammucchiata avversaria. Le “coalizioni” sono per lo più impresentabili e gli elettori con l’olfatto sviluppato si tengono lontani. Il danno fatto alla democrazia, quella quotidiana, quella reale, è incalcolabile. Attenzione però. Come tutti i mali, anche questo può generare un anticorpo. Perché, signore e signori, le leggi elettorali regionali sono il premierato realizzato. I consiglieri regionali eletti, che sono eletti a traino del candidato Presidente, decadono se decade il Presidente. Possono a loro volta farlo decadere, ma solo mediante suicidio di massa. Ricorda qualcosa?

Si possono scrivere migliaia di parole, più o meno dotte, per spiegare che il premierato, o anche solo una legge elettorale per le politiche che ne determinasse gli stessi effetti, sarebbe un disastro irreversibile per le nostre fragili istituzioni. Ma le Regioni sono lì a ben evidenziarlo, con i fatti, più eloquenti di mille parole. Per questo possono essere un antidoto efficace. Come il socialismo realizzato (quello di Stalin e dell’Unione Sovietica) ha demolito le dottrine politiche (e relative attuazioni) derivanti dalle brillanti e accattivanti teorie di Karl Marx, così l’evidente disastro delle Regioni potrebbe salvarci dal disastro annunciato del premierato. 


Note

[1] Domani, 28 settembre comincia con date differenziate la serie di appuntamenti alle urne per il voto amministrativo regionale che rinnova consigli e presidenti. Ad aprire i seggi saranno per prime Valle d'Aosta (solo domani) e Marche (domani e lunedì). Il 5 e 6 ottobre toccherà alla Calabria, poi la Toscana il 12 e 13 ottobre, seguite da Campania, Puglia e Veneto il 23 e 24 novembre.

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