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È anche guerra santa tra Russia e Ucraina

Aggiornamento: 25 giu 2023

di Germana Tappero Merlo


Novantaduesimo giorno di guerra in Ucraina. E la pace sembra sempre più un miraggio. La Bbc ha ripreso l’informazione lanciata su Facebook dallo Stato maggiore delle Forze armate di Kiev, secondo cui la Russia ha intrapreso un’operazione su vasta scala, mettendo nel mirino almeno 40 città delle regioni di Donetsk e Lugansk, distruggendo edifici e scuole. Il presidente ucraino Zelensky ha ribadito che non vi sarà accordo se la Russia non si ritirerà dai territori occupati. E il ministro degli esteri di ucraino Dmytro Kuleba accusa la Nato di inazione, mentre Mosca afferma che il numero di prigionieri ucraini nelle autoproclamate repubbliche popolari filorusse di Lugansk e Donetsk è salito a 8 mila. Ma la guerra in quella parte d’Europa non è soltanto il frutto malato di poteri, conquiste territoriali e reflussi tossici d’imperialismo. Il “fattore R”, la religione, come lo definisce Germana Tappero Merlo nel suo articolo, ha assunto un valore non contemplato ad inizio guerra, diventato via via un “fattore” intrinseco allo scontro militare. La guerra d’attrito fra Mosca e Kiev passa anche attraverso quello che viene definito “fattore R”, la Religione, che è un elemento fondante ma meno esplorato dell’ordine geopolitico del Russkij Mir, quel Mondo Russo dalla forte attrattiva popolare, la cui realizzazione aspira Putin, e di cui tanto si parla, non sempre con adeguata conoscenza ma di certo con diffidenza, dall’inizio di quel conflitto. Lo stretto rapporto tra Putin e il Patriarca Kirill

Si è infatti ben compreso che il Mondo Russo ha una natura autoritaria e decisionista, aggressiva ancorché discriminatoria; ma non si è ancora ben capito che esso è anche fortemente spirituale e teocratico, laddove gli obiettivi strategici di Putin trovano comprensione e ampio sostegno nelle parole e nelle azioni del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Vladimir Michajlovič Gundjaev Kirill, 76 anni. Entrambi di San Pietroburgo, condividono anche il passato nel KGB, essendone stato Kirill un informatore con il nome di Mikhailov; e ciò non deve meravigliare perché, nell’era sovietica, le più alte cariche religiose venivano fatte da una sezione interna di quel servizio segreto. Ma fu la strage di Beslan del 2004 per opera di fondamentalisti islamisti e separatisti ceceni che convinse Putin ad allearsi in un legame più stretto con la propria Chiesa, timoroso che una religione ‘altra’ da quella ortodossa si ponesse, al pari delle rivoluzione colorate di Georgia (2003) e Ucraina (2004), come arma di potenze straniere e ostili per alimentare l’instabilità interna; alla propria Chiesa, quindi, il compito di ‘addomesticare’, ‘moralizzare’ il popolo e ricondurlo ai valori tradizionali. I segnali più evidenti di questa nuova sacra alleanza fra politica e religione sono quindi evidenti già da tempo, almeno dall’intronizzazione di Kirill (2009) dopo la quale la Chiesa ortodossa russa è riuscita ad esercitare una sempre maggiore influenza nella vita politica (con buona dose di revisionismo della Costituzione e il chiaro riferimento in essa a Dio), in quella sociale (nell’istruzione pubblica e nella promozione dei valori tradizionali della famiglia) e addirittura in quella militare (inserimento della figura del cappellano militare, totalmente assente prima). Il legame fra Putin e Kirill, la cui dimensione valoriale è composta da “Dio, patria e famiglia”, ha finito così per reintrodurre e saldare nel tempo il forte legame bizantino tra Chiesa e Impero. Già con la presidenza Medvedev (2008-2012), erano apparsi chiari i segnali di questo riavvicinamento, laddove la centralità della tradizione religiosa ortodossa e lo sviluppo di un patriottismo militarizzato che guarda con nostalgia il glorioso passato militare (sovietico), componevano la sostanza di un processo di riabilitazione dei simboli della madrepatria e della memoria storica russa. “La spiritualità dell’esercito”

In pratica, l’educazione patriottica che ne è derivata poggia ora sulle convinzioni, più volte espresse da Kirill, che “l’esercito è sempre spirituale” e che “i cristiani combattono una guerra giusta” perché a difesa della madrepatria e dei suoi valori. “Il credente sacrifica la sua vita più facilmente del non credente, perché sa che la vita umana non finisce con la fine di questa vita”, affermava Kirill nel 2011, nel corso di una manifestazione con reduci della II guerra mondiale1. Quasi un martirio, quindi, da cui la sacralità della legittimazione alla guerra per la difesa della Madre Russia che, per il Patriarca, è giusta anche se fuori dai confini, come lo è stato per la Siria2, e che ora in Ucraina, nelle sue parole, rievoca la missione medievale che spetta a Mosca come “Terza Roma”, ossia la capitale del nuovo impero cristiano. Un ruolo che gli appartiene dopo la caduta di Costantinopoli (1453), da quando la Russia è diventata “l’ultimo Zarato ortodosso, ossia l’ultimo impero ortodosso, non nazionale ma imperiale, salvifico, escatologico e apocalittico”, stando ad Alexandr Dugin, fra gli ideologici di rilievo dell’era putiniana3. La Terza Roma è però un impero etnico, quel Regno di Dio creato su questa terra da tutto il mondo russo (Russia, Bielorussia, Ucraina e Moldavia), ma anche metafisico, dove l’afflato messianico che lo ispira è dato dalla volontà di resistere al Male, di contenerlo, di respingerlo, come sta avvenendo appunto anche ora in Ucraina contro l’Occidente corrotto e pericoloso (per Putin) che è, al contempo, anche l’Anticristo (per Kirill). Nel contesto attuale, quindi, non si tratta solo della benedizione del Patriarca “all’operazione speciale” di Putin in Ucraina, quanto quella ad una più ampia “missione civilizzatrice”, non esclusiva contro l’Occidente depravato (sono note le sue dichiarazioni contro le potenti lobby dei gay che controllerebbero questa parte di mondo), ma anche verso altri continenti, in particolare l’Africa, dove si sta combattendo una vera e propria ‘guerra canonica’ fra ortodossia russa e quella ucraina, anch’essa secessionista, o meglio ‘scismatica’ secondo Kirill (e come dargli torto), da Mosca4. Le due “capitali”del progetto Russkij Mir

Insomma, venti indipendentisti e secessionisti anche spirituali, che soffiano da tempo da parte però di Kiev, con non poche conseguenze, ben oltre quei confini. Uno strappo che risale agli attriti fra i due Stati per l’annessione russa della Crimea del 2014, e che per questa questione ha visto contrapporsi duramente negli anni il patriarcato di Costantinopoli (pro Ucraina) e quello di Mosca sino a che, nel gennaio 2019, sulla base del tomos dell’autocefalia, ossia il principio di autodeterminazione e di vera e propria indipendenza e in aperta rottura con Mosca, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I ha istituito la Chiesa ortodossa locale autocefala dell’Ucraina, attraverso la quale, come disse allora il presidente ucraino Poroschenko, “finalmente riceviamo la nostra indipendenza dalla Russia”5. Un duro colpo al progetto di Russkij Mir, non solo perché il Patriarcato di Mosca deve essere considerato la sua unica Chiesa, ma Kiev, dove quel popolo venne convertito al cristianesimo, secondo Kirill e Putin – in una distorta immagine del mondo e interpretazione del Vangelo -, è e deve essere la sua capitale spirituale, mentre Mosca è quella politica. Ecco perché l’Ucraina rappresenta, e da tempo, un importante terreno di confronto fra la Russia e l’Occidente: lo era già nel pensiero di Ivan Ilyin (1883-1954), l’ispiratore del ‘fascismo cristiano’ che auspicava la creazione di uno Stato totalitario russo come salvezza dagli attacchi dell’Occidente. Una Kiev fuori dal Patriarcato di Mosca è, quindi, ben più nociva di un’adesione ucraina alla Nato, stando almeno a Kirill. Per Putin, invece, si verrebbe a minare quello che di fatto è un fondamentalismo (religioso) di Stato etno-filetico, sebbene il Russkij Mir sia un falso insegnamento che però sta affascinando molti soggetti anche fuori dalla Chiesa ortodossa, come l’estrema destra e i fondamentalisti cattolici e protestanti. L’allontanamento o scisma religioso, avvenuto nel 2019, di una parte consistente del mondo russo ortodosso, ossia quello ucraino, e in tempi così complessi, non poteva che portare a una ulteriore polarizzazione delle posizioni anche politiche e nazionalistiche ben presenti, e da tempo, in entrambe le parti. Da allora, e in particolare nell’ultimo anno, lo scontro fra Mosca e Kiev, è passato quindi anche attraverso defezioni di sacerdoti africani (oltre cento nel solo 2021) del Patriarcato di Alessandria, titolare del cristianesimo bizantino in quel continente, a favore di quello di Kirill, a cui non è estranea l’ambizione della conquista di spazi strategici per il regime putiniano. Il dinamismo di Mosca nel Continente Nero

La presenza russa in Africa, propria di un meccanismo di soft power tendente all’hard power, rappresenta infatti per il Cremlino l’alternativa più percorribile per aggirare le sanzioni imposte dall’Occidente: ne è testimonianza l’attività frenetica dell’inviato speciale in Africa Mikhail Bogdanov (50 viaggi in poco meno di 5 anni) per nuovi accordi sia economici che di coinvolgimenti militari6 (Libia, Mali e Camerun7), da cui l’esaltazione della figura di Putin nei social network africani come “eroe che difende gli oppressi contro l’Ovest colonialista”. Di fondo, in questa che è, a tutti gli effetti, una ricerca di spazio vitale per gli interessi economici e di potenza del Cremlino, vi è la coerenza di Putin a quell’idea di spazio come destino che è propria della nozione di mestorazvitiye (luogo-sviluppo), dove il luogo, appunto, decide tutto, anche il futuro della Madre Russia. Se Mosca già da tempo inviava missionari in Africa per il servizio ai fedeli di lingua russa, ora tutto è stato riformulato in eparchie (diocesi delle Chiese orientali) e in strutture di accoglienza perché “i cristiani d’Africa hanno bisogno della protezione della Russia, non per nostra volontà, ma a causa della situazione che si è creata”, stando alle parole del metropolita Ilarion, il ministro degli esteri di Kirill e del Patriarcato di Mosca, al punto da istituire ex novo un Esarcato per offrire un rifugio canonico ai sacerdoti africani8. E l’Africa, con le sue parrocchie passate dal loro Patriarcato di Alessandria a quello di Mosca, testimonia l’indebolimento del primo, da cui il relativo mancato sostegno alla causa di un’Ucraina scismatica, a favore invece di Kirill che, negli ultimi anni, ha reso la sua Chiesa un potente agente del potere politico di Putin. Note

1 G. Shakhanova, P. Kratochvil, The Patriotic Turn in Russia: Political Convergence of the Russian Orthodox Church and the State?, in “Politics and Religion”, 15, 1, 2022, p, 125. 2A. Curanovič, The Sense of Mission in Russian Foreign Policy: Destined for Greatness!, Routledge, New York 2021. 3A. Dugin, Putin contro Putin, Milano 2012; stesso autore, La Quarta Teoria Politica, Milano 2017. 4https://www.agensir.it/chiesa/2018/10/19/mosca-costantinopoli-metropolita-hilarion-e-stato-il-patriarca-bartolomeo-a-optare-per-lo-scisma/ 5 https://www2.stetson.edu/religious-news/190114c.html 6https://www.africarivista.it/il-complesso-ruolo-militare-della-russia-in-africa/198361/ 7https://www.agi.it/estero/news/2022-04-26/camerum-entra-nella-galassia-russa-alleanza-difensiva-16503383/ 8https://www.asianews.it/notizie-it/L’Africa-russa,-chiese-e-cannoni-55131.html

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