"Un no che risuona impetuoso nelle coscienze di noi ebrei"
- Dunia Astrologo
- 27 feb
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di Dunia Astrologo

Ieri, mercoledì 26 febbraio, su Il Manifesto e La Repubblica è apparso un appello in cui spiccava un NO a caratteri cubitali: NO alla pulizia etnica. Il testo completo recita “Trump vuole espellere i palestinesi da Gaza. Intanto in Cisgiordania prosegue la violenza del governo e dei coloni israeliani” e prosegue: “Ebree ed ebrei italiani dicono NO alla pulizia etnica. L’Italia non sia complice”. Seguono le firme di circa 200 persone, tra le quali la mia, ebreə italianə, che non si riconoscono, nelle posizioni comunemente espresse e condivise dalle Comunità ebraiche italiane quasi unanimemente appiattite sul sostegno spesso indiscriminato alle azioni del governo e dell’esercito israeliani.
Non c’è da stupirsi se questo appello, promosso da due associazioni come LəA – Laboratorio ebraico antirazzista e Mai Indifferenti- Voci ebraiche per la pace, ha suscitato un po’ di scalpore. È stato accolto con interesse da molte testate giornalistiche italiane, dal TG3, a Radio Rai 1 e 3, da Otto e Mezzo su La7 a La Stampa, Il Fatto Quotidiano, il Corriere della Sera e così via, e ovviamente ha trovato eco sui social. Purtroppo, in particolare su questi media, adatti ad accogliere, più che ragionamenti, pulsioni epidermiche, sono apparsi commenti aggressivi e spesso sguaiati da parte di alcuni componenti delle Comunità Ebraiche, specie da quella romana e milanese.
Le argomentazioni “contro” vanno dal non essere i firmatari tutti appartenenti a dette comunità “istituzionali” all’essere l’appello uscito contemporaneamente allo svolgimento dei funerali, dolorosissimi, dei membri della famiglia Bibas, quest’ultima una coincidenza ovviamente del tutto casuale [1]. Ma le motivazioni di fondo stanno nell’inconciliabile differenza di vedute tra chi considera ciò che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania un crimine contro l’umanità, come definito dalla Corte Penale Internazionale e chi invece lo considera un’azione, un po’ prolungata è vero, in risposta ad un indubbio crimine efferato compiuto da Hamas, che solo contingentemente comporta qualche vittima in più (circa 50.000 morti più i feriti, gli sfollati, i denutriti, ecc.) e al di là dei terroristi. Quindi una reazione giustificata dall’esigenza di Israele di difendersi dai suoi nemici.
Quello che colpisce di questi commenti, oltre all’aggressività e alla volgarità, è la testarda negazione dei fatti, l’inchiodarsi alla ricusazione dell’evidenza, giocando sulla semantica: si deve, si può chiamare ciò che sta perpetrando lo Stato di Israele, genocidio? O pulizia etnica? O è meglio fermarsi al termine massacro? O non sono questi termini troppo forti e ideologici?
Altra cosa che ferisce è il senso di chiusura identitaria di questi commenti. In primo luogo affermando falsamente che tra i firmatari vi sono degli “abusivi”, dei non-ebrei: e che ci stanno a fare? In secondo luogo definendo ironicamente i firmatari come persone che vogliono apparire come “ebrei buoni”[2] contro i cattivi ebrei. Da un lato quindi la dichiarata volontà di identificare e discriminare, di considerare solo chi aderisce formalmente a un’istituzione ebraica come legittimato a considerarsi membro di una comunità, senza che vi abbiano cittadinanza coloro che vi si sentono legati per la propria storia, cultura, ascendenza.
Dall’altro lato, con queste sciocche affermazioni gli ebrei “titolati” accusano i firmatari di voler aprire una faglia tra diverse componenti delle piccole comunità ebraiche italiane: affermazioni insensate che riecheggiano penosamente alcuni modelli lessicali della più becera destra italiana, quando vuole smarcarsi dalle posizioni dei progressisti, guarda caso proprio su temi e situazioni reali in cui un potere più grande agisce contro chi di potere non ne ha nessuno. In moltissime altre realtà, dagli USA alla Gran Bretagna alla Germania, tanto per citare i casi più noti [3], queste componenti “divergenti” sono presenti, numerose e molto attive. E sono presenti laddove le comunità ebraiche contano un numero di iscritti dieci volte, se non più, superiore a quello della piccola comunità italiana che ne conta solo 30.000.
Ma anche in Israele si alzano - purtroppo non abbastanza forti da essere udite fin qui, soprattutto da chi non vuole udirle – le voci di chi dissente [4] da questa infame guerra contro un popolo indifeso. Non a caso l’appello dei 200 è stato ripreso dal quotidiano israeliano Haaretz e commentato positivamente dai suoi lettori[5].
Uno spirito laico a cui anche gli ebrei italiani, di qualsiasi tendenza, farebbero bene a ispirarsi.
Note
[1] Angelica Edna Calò Livnè sulla pubblicazione della Comunità Ebraica di Roma “Shalom”: https://www.shalom.it/israele/oggi-no-piangiamo-le-nostre-figlie-e-i-nostri-figli/
[2]https://www.huffingtonpost.it/politica/2025/02/27/news/luciano_belli_paci_lappello_divide_gli_ebrei_tra_buoni_e_cattivi_e_sbagliato-18533776/
[3] https://it.euronews.com/2024/01/18/gli-ebrei-deuropa-che-si-oppongono-alla-guerra-di-israele-contro-hamas
[4] Sono centinaia gli intellettuali israeliani che da anni, anche prima di quest’ultima svolta della storia del conflitto israelo-palestinese, si battono contro la politica colonialista dello Stato di Israele. Chi è interessato a sentire la voce di uno di loro può ascoltarla a Milano (18 marzo) o a Roma (20 marzo), alla presentazione del libro di Daniel Bar-Tal “La trappola dei conflitti intrattabili” ed. Franco Angeli
[5] https://www.haaretz.com/us-news/2025-02-26/ty-article/.premium/italian-jews-say-no-to-ethnic-cleansing-hundreds-sign-ad-blasting-trumps-gaza-plan/00000195-430b-d806-a7f5-eb3beb8e0000?gift=bb6cf843ffed482d82b532964f565fb0
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