Un libro per voi: "L'inferno addosso", una storia curda
- Stefano Garzaro
- 1 apr
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 1 apr
a cura di Stefano Garzaro

Quando entri in libreria, la legge del marketing ti spinge verso la vetrina. Se sei coraggioso, vai oltre e raggiungi gli scaffali. Gli ostinati, infine, imboccano sentieri laterali a caccia di sorprese. Nel nostro caso la fortuna ci propone un libretto del 2019 fuori scaffale: è la storia del migrante curdo Tarik Bizeni narrata da lui stesso [1]. Cercando un titolo per questa recensione, sono stato tentato da un gioco di parole, l’alternanza fra storia curda e cruda, ma la vicenda è talmente drammatica e coinvolgente che i giochini con le figure retoriche diventano imbarazzanti.
Ecco la storia. Negli anni Ottanta il ragazzo Tarik vive in pace nel suo villaggio di Karanau presso la città petrolifera di Kirkuk, a nord di Baghdad. È un villaggio tra due catene di monti diviso da un ruscello, da una parte le case dei contadini, dall’altra gli agha, i proprietari di terre. Le modeste dispute sociali, dove nessuno si fa male, sono spazzate dalla ferocia del regime di Saddam Hussein che travolge il Kurdistan. Né a proteggere il borgo può bastare la volontà coraggiosa dei Peshmerga, i guerriglieri curdi. L’angoscia monta ancor più nel 1980, quando l’Iraq entra in guerra con l’Iran, e Saddam va a pescare proprio nei villaggi curdi la carne da cannone da schierare in prima linea. La famiglia di Tarik, per salvare il proprio ragazzo, lo manda via, lontano, verso l’Italia.
Tarik sosta a Perugia per studiare, poi raggiunge Torino. All’inizio la città è accogliente come il lato oscuro della Luna, poi il giovane scopre le chiavi giuste per costruire relazioni, amicizie, fino a trovare l’amore: una ragazza italiana che non teme di entrare in conflitto con la famiglia sposa Tarik. Matrimonio felice, figli affettuosi, integrazione sociale piena.
Passano trent’anni. Grazie alla relativa calma dopo i disastri delle guerre del Golfo, Tarik parte e torna in Iraq per scoprire che cosa resta del suo villaggio. Karanau è raso al suolo, ma Tarik rintraccia gli anziani genitori e i parenti. Grandi feste, abbracci, commozione. La madre gli prepara le polpette che da bambino gli piacevano tanto. A Tarik non sfugge però la cortina di tristezza che lo assedia. Interroga con insistenza i parenti e scopre una catena di storie drammatiche. Sono episodi incastrati l’uno nell’altro, generati a onde, come se i fatti imitassero la struttura delle Mille e una notte. Alle storie manca però il lieto fine, dominate come sono dalla potente magia nera che risponde al nome di al-Anfal, il programma di sterminio di Saddam nei confronti dei curdi. Dove non arrivano le bande mercenarie per massacrare bambini, ragazzi, anziani – chiunque sia nato curdo per sbaglio – interviene direttamente l’esercito iracheno con metodi appresi dalla Shoah.
Caduto il velo di reticenza dei parenti, Tarik rintraccia la tomba del fratello, capo guerrigliero Peshmerga: catturato dall’esercito, è ucciso a tradimento dai carcerieri il giorno in cui l’amnistia dovrebbe liberarlo. Tarik, infine, scopre la sorte della sorella Miriam, nel capitolo più lacerante della storia.
La vicenda è narrata da una testimone, scampata per caso alla maledizione: un giorno i militari espugnano il villaggio, uccidono chi tenta di reagire, bruciano le case, deportano i sopravvissuti. I prigionieri, dopo il trasporto in camion, vengono scaricati nel campo di concentramento di Nukra Salman e ammassati in cameroni. I mesi scorrono tra fame, percosse, malattie, sete, allucinazioni. Miriam, che conosce le lingue, si fa portavoce dei prigionieri: «Siamo musulmani come voi, abbiamo la stessa fede», ammonisce la ragazza. «Sì, ma siete curdi» è la risposta.
Fra tanta durezza, Miriam si accorge di un ufficiale che la tratta con gentilezza. Una mattina, però, un soldato entra nel camerone: «Ora leggerò un elenco di nomi. Chi è chiamato si metta in fila in modo ordinato e salga sui camion». È una chiamata periodica. I soldati fanno credere che sia la lista delle persone da liberare. Questa volta nell’elenco c’è anche Miriam.
Quando i quattro camion della colonna sono stipati, si parte attraverso il deserto. Gira voce che la destinazione siano le fosse comuni, ma nessun vuol crederci.
L’ultimo camion della fila, quello di Miriam, si blocca prima della salita di una duna. Il telone si scosta e si affaccia l’ufficiale gentile, che trascina Miriam giù dal cassone e l’abbandona a terra. Il camion se ne va, ma poco dopo sbuca un furgone bianco da cui scende un soldato che afferra Miriam. La ragazza si divincola, ma viene cacciata a forza nel mezzo. Il tragitto è breve. Miriam si ritrova in un villaggio sconosciuto, in una casa civile. Viene chiusa in un seminterrato, una stanzetta arredata con ciò che serve, provviste di cibo, generi di conforto. Il giorno seguente si presenta l’ufficiale gentile, si chiama Ahmad. Cerca di tranquillizzare Miriam, vuole convincerla che non le accadrà nulla di male, che è in salvo. Si scusa per il modo brusco con cui l’ha fatta portare lì. Miriam è diffidente, per giorni non tocca quasi cibo, poi comincia a sperare. Fino al momento in cui Ahmad si confida, è innamorato di lei, ha voluto salvarla nascondendola nella casa di sua madre. Le svela che il resto dei prigionieri è andato al macello.
Passano i giorni, Miriam apprezza sempre più Ahmad, che si rivela un oppositore di Saddam. L’ufficiale ha un debito di riconoscenza verso i curdi e i Peshmerga: catturato dai guerriglieri, anziché essere giustiziato – come abitudine dell’esercito iracheno – è stato liberato gratuitamente.
Miriam si affeziona ad Ahmad. Il giovane ha una sorella a Baghdad, moglie di un ufficiale suo collega. Ahmad scrive alla sorella, le racconta di sé e Miriam, della loro intenzione di vivere assieme. La casa di Baghdad è grande, potrebbe ospitare facilmente due famiglie destinate alla felicità. Ahmad attende la risposta, sicuro che sarà positiva. Ma anziché il postino, da Baghdad arrivano i soldati che circondano e assaltano la casa. Per i due giovani è la fine. Ahmad non sapeva che la posta del cognato era controllata dai servizi segreti. Lui stesso era sospettato di tradimento per essere stato liberato dai Peshmerga. Fine della storia. Avanti con altre pagine, con altri racconti di verità.
La tragedia di Miriam e Ahmad è narrata con una prosa semplice e potente, tecnicamente perfetta: una sapienza letteraria che ci ricorda come questo sia il secolo delle stragi, dei genocidi, della fine di migliaia di coppie come Miriam e Ahmad inghiottite dalla sabbia.
Che cosa differenzierà i libri di storia degli anni futuri dai peggiori romanzi dell’orrore?
Note
[1] Bizeni Tarik, L’inferno addosso. Al-Alfal, Albatros, Roma 2019, 140 pagine, 12,50 euro
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