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Piera Egidi Bouchard

Un libro per voi: "L'antifascista, Giacomo Matteotti, l'uomo del coraggio"

a cura di Piera Egidi Bouchard

 

Il 16 agosto del 1924, il corpo dell'onorevole Giacomo Matteotti fu ritrovato a una ventina di chilometri da Roma, nelle campagne di Riano, all'epoca un comune che contava non più di mille abitanti. Matteotti, socialista, da sempre fiero oppositore del fascismo, era stato sequestrato e ucciso a coltellate due mesi prima, il 10 giugno, nei pressi della propria abitazione, su Lungotevere Arnaldo da Brescia, mentre camminava verso la Camera dei Deputati. A rapirlo una squadra fascista capeggiata dal noto picchiatore e omicida Amerigo Dumini. Mandante dell'omicidio, il capo del fascismo, Benito Mussolini, da lui denunciato il 30

maggio in un celebre discorso in Parlamento per i brogli avvenuti durante le elezioni del 6 aprile che avevano dato la maggioranza al listone fascista. Matteotti denunciò le violenze, le illegalità e gli abusi: "[...] Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. [...] L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. [...] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse". Al termine del discorso, si rivolse al compagno di partito, Giovanni Cosattini, e profeticamente disse: "Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me". In un recente saggio, nel centenario della morte, lo storico Massimo L. Salvadori ne racconta la traiettoria umana e politica.

“Uomo del coraggio”, così lo storico Massimo L. Salvadori definisce Giacomo Matteotti.[1] L’analisi è concentrata sulla situazione politica – soprattutto della sinistra – negli anni che segnarono la sua ferma opposizione prima alla guerra, poi al fascismo, fino a giungere al famoso discorso in Parlamento che gli costò la morte. Agili capitoli, corredati dalla documentazione di scritti dello stesso Matteotti (molto interessanti quelli della battaglia per l’istruzione delle masse popolari, oppresse da un dilagante analfabetismo), seguono via via la sua formazione e le sue scelte: denunciato e condannato per disfattismo a causa del suo intransigente pacifismo allo scoppio della I guerra mondiale, nel dopoguerra acutamente si oppone allo “spirito di vendetta” contro la Germania vinta, prevedendo gli esiti dell’umiliazione e dell’odio in un esasperato e pericoloso nazionalismo, ed auspicando invece, secondo la missione dell’Internazionale socialista, volta alla pacificazione dei popoli, la formazione degli Stati Uniti d’Europa.

Successivamente, al XIX congresso del Partito socialista, nell’ottobre 1922, che vede l’espulsione, da parte dei massimalisti, dell’ala riformista, con Turati e Treves egli fonda il Partito socialista unitario (PSU),di cui viene eletto segretario: “Intanto, per annegare del tutto, ho accettato anche il segretariato del Partito”- scrive alla amatissima moglie Velia, sposata nel 1916 , e da cui avrà tre figli: in Appendice una lettera coraggiosa di lei  (“Non ti è ammessa nessuna viltà, anche a costo della vita”) e due struggenti lettere d’amore di lui.

Stupisce la modernità delle posizioni di questo leader politico, di cui non sono stati sufficientemente diffusi gli scritti - pubblicati solo a partire dal 1983 ad opera dello studioso Stefano Caretti: la figura del martire ha offuscato nella memoria collettiva quella del politico. E questo a causa – sottolinea Salvadori – della divisione della sinistra di allora in tre tronconi di partiti, “lacerata da lotte intestine senza tregua, resasi incapace di guidare le masse lavoratrici e di resistere all’ormai vittoriosa offensiva dei fascisti” e nota : ”Ma anche in quelle estreme circostanze, non cessò di gridare ai socialisti massimalisti e ai comunisti, con lo stesso nome del partito di cui era diventato leader, che il valore massimo del proletariato e della Sinistra era l’unità”.

Ma se con i comunisti l’intesa fu impossibile, a causa della posizione sulla “dittatura del proletariato”, fu lo stesso Turati ad impedirgli un accordo con i massimalisti, e alle elezioni del 6 aprile 1924 – quelle poi denunciate per i brogli e le violenze nel suo famoso discorso del 30 maggio al Parlamento- il Psu risultò il primo eletto della Sinistra, secondo il Partito socialista italiano, terzo il Partito comunista d’Italia.

L’autore segue quindi sinteticamente gli avvenimenti successivi del rapimento e dell’assassinio. La pubblicazione di un’impressionante, documentatissima cronaca coeva li segue minuto per minuto nei dieci giorni seguenti, ad opera di Andrea Caffi - un esule dalla vita tumultuosa in tutta Europa, ma sempre in opposizione sia al fascismo che alla dittatura sovietica - che aveva partecipato alla rivoluzione russa del 1904-1905, aderendo alla corrente menscevica: il documento da lui scritto “a caldo” su quei giorni fu pubblicato senza firma sulla rivista romana “Volontà”, e riscoperto solo nel 1993, nel convegno a Bologna a lui dedicato  “Andrea Caffi: un socialista libertario”.

Nei due capitoli conclusivi del suo saggio, Salvadori ripercorre i giudizi “Post mortem” di Turati, Gramsci, Nenni e Gobetti, e le motivazioni politiche dell’ ”oscurata memoria di Matteotti durante l’Italia repubblicana”.  Turati, che ne fu il maestro e l’amico, nota acutamente nel luglio 1924 quello che sarà poi l’esito della tragica vicenda: “Quello che era cosa nostra, è divenuto anche la cosa vostra, l’uomo di tutti, l’uomo della storia. E, ingrandito così, quasi è tolto a noi, come alla famiglia dolorante, perché è divenuto un simbolo.” Gramsci in opposizione ai riformisti, la cui politica criticava a fondo - ne dà il famoso giudizio corrosivo di “Pellegrino del nulla” (28 agosto 1924), e a sua volta Luigi Longo nel giugno 1927 scrive che “la sua morte è tanto più tragica perché segnò il fallimento della sua concezione, del suo partito, del suo metodo”. A sua volta Nenni nel 1924 parlava di un Matteotti che “vedeva nitidamente il bersaglio da colpire, un magnifico temperamento di combattente e realista”, ma trent’anni dopo, nel clima di stretta alleanza tra Partito socialista e Partito comunista, “dava una valutazione che rifletteva il giudizio di Gramsci: onore al coraggio del combattente, ma critica senza sconti per i peccati del riformismo socialdemocratico.”

Fa spicco in particolare la commemorazione di Gobetti (luglio 1924), che aveva pubblicato nel 1922 una stroncatura del riformismo turatiano, ma che “esaltò Matteotti, il coraggioso che si levò fiero contro il fascismo, presentandolo come un solitario nel suo stesso partito e nel mondo politico, un eretico, insomma, come l’eccezione che rispetta la regola”, scrivendo: “Egli fu il solo socialista italiano (preceduto nel decennio giolittiano da Gaetano Salvemini) per il quale riformismo non fosse sinonimo di opportunismo.”

La memoria di Matteotti, nel dopoguerra  “fu onorata ma non coltivata dai socialcomunisti.” Nel gennaio 1947 al XXV Congresso, infatti, il Partito socialista consumò la sua ennesima scissione, a guida di Giuseppe Saragat, con la formazione di quello che sarebbe stato il Partito socialista democratico italiano: “Inevitabile che questo elevasse Giacomo a propria icona e ne rivendicasse l'eredità ideale e politica, e dall’altra non solo il Pci ma anche il Psi, a questo subalterno, pur prestando il proprio omaggio alla figura del martire, non avessero alcuna predisposizione ad elevarla a punto di riferimento della cultura politica dell’insieme della Sinistra”. E dopo il rifiuto di Einaudi e Laterza a pubblicare gli scritti di Matteotti: “Fu Pertini, presidente della Camera, che promosse nel 1970 la pubblicazione in tre volumi dei suoi Discorsi parlamentari; poi il Caretti diede mano nel 1983 all’edizione degli Scritti “.

La categoria del riformismo – nota Salvadori – fu accompagnata in Italia “[...] dall‘anatema lanciato contro di esso dalla sinistra rivoluzionaria, socialista, massimalista e comunista, la quale lo considerò alla stregua di un pericoloso nemico che, piegatosi alla difesa degli interessi capitalistici, minacciava il campo dei combattenti per la grande causa del socialismo. Si trattò di una critica che non coglieva in nessun modo il bersaglio quando venne lanciata contro Matteotti, il quale fu il teorico e il rappresentante di quello che definiva ‘riformismo rivoluzionario’.”

“Oggi - conclude Salvadori - tutti i partiti e i movimenti, caduto il mito rivoluzionario, si proclamano riformisti. Persino le destre si presentano come campioni delle riforme, e naturalmente lo fa anche la sinistra nelle sue varie incarnazioni. Ma il riformismo rivoluzionario di Matteotti rimane senza seguaci: attende ancora di essere capito e di diventare una fonte di ispirazione per l’azione.”


Note

[1] Massimo L. Salvadori “L’antifascista- Giacomo Matteotti ,l’uomo del coraggio, cent’anni dopo (1924-2024)”, Donzelli, 2023

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