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Un libro per voi: "Camilla e Dario"

di Piera Egidi Bouchard

“Camilla e Dario”: a prima vista si immagina la storia di una coppia, e anche il sottotitolo sembra confermarlo, “Storia di due comunisti dalla scelta partigiana al dissenso per i ‘fatti di Ungheria’“.[1] Invece, leggendo il libro scopriamo che sono state due vicende parallele e diverse, che neppure li hanno fatti mai incontrare di persona. L’interesse dell’autore è stato determinato da un superamento della limite di una impostazione storiografica che “consisteva nel circoscrivere l’indagine storica all’èlites politiche, escludendo la base militante, tralasciando , come punto di vista di genere, il mondo femminile, trattandosi, nel caso specifico dei gruppi dirigenti, di una indiscutibile prevalenza maschile.”

E i due protagonisti di cui si rievoca la vita , sono certamente dei semplici militanti, che però hanno fatto coraggiosamente la loro parte in tante vicende. I due poli della ricerca sono la Resistenza e poi le scelte nell’annus horribilis del 1956, di fronte ai “fatti di Ungheria”, ai quali hanno risposto ambedue con un doloroso distacco dal Partito comunista italiano, cui avevano appartenuto fin dalla lotta di Liberazione, e l’hanno fatto in nome di una “moralità della Resistenza”, secondo una famosa definizione di Claudio Pavone.

Camilla è il nome di battaglia di Maria Rovano, ostetrica e levatrice a Barge dal 1938. Percorriamo con lei la difficile professione per sentieri impervi, percorsi in bicicletta o a piedi, in solidarietà con le partorienti contadine e montanare, che le sono legate da grande riconoscenza.” Ah, sì – riporta una testimonianza delle donne -questa sì che fa per noi(...) lassù tra le foglie, non si lamenta mai.” Questo permetterà il rapporto con la popolazione nel suo ruolo di staffetta partigiana iniziato dopo l’8 settembre 1943, quando la sua casa diventa meta obbligata e rifugio per i maggiori membri garibaldini del Partito comunista operanti in quell’area, tra i più famosi Pompeo Colajanni (Barbato), Gustavo Comollo (il Commissario Pietro), Ludovico Geymonat (Dodo), Giovanni Guaita (Mirko) e soprattutto Antonio Giolitti, con cui si svilupperà un lungo e importante rapporto politico, e tra le donne Nella Marcellino e Marisa Diena, con le quali fu tra le fondatrici dei “Gruppi di difesa delle donne” in quell’area. Nel 1944 aveva aderito al Partito comunista, e nel 1949 fu scomunicata in quanto comunista, proprio dal prete di Barge, con cui aveva collaborato nella Resistenza: con suo grande dolore, perché questo le impediva l’ingresso in chiesa, secondo l’uso della sua professione, che consisteva nell’accompagnare i neonati al battesimo, per poi consegnarli alla madrina., e la isolò di fatto dalla vita della comunità bargese. Dopo la guerra le fu riconosciuto il ruolo di tenente. E nel 1971 il Comune di Barge le conferì la medaglia d’oro al valore civile.

Dario era il nome di battaglia di Danilo Giorsetti , la cui vita invece si era svolta nei quartieri e nelle barriere operaie torinesi, che solo diciottenne si iscrisse al Partito comunista, fu arrestato nel ’32 e poi richiamato alle armi allo scoppio della seconda guerra mondiale. Poi dopo l‘8 settembre ’43 entrò in clandestinità, incaricato come responsabile della struttura organizzativa clandestina del Pci, e poi Ispettore delle Brigate Garibaldi nel Comando regionale piemontese. Infine, dopo la cattura e fucilazione di Eusebio Giambone al Martinetto, in sostituzione di lui fu nominato nel Comitato regionale piemontese del Cln, per cui gli venne conferita dopo la Liberazione la croce al merito di guerra. Nel dopoguerra si impegnò nella ricostruzione di Torino (particolarmente dell’Ospedale Martini), essendo stato eletto consigliere comunale, e poi anche assessore. Poi dal 1953 entrò a far parte dell’Olivetti di Ivrea.

Differenti percorsi di vita, per cui - nota l’autore - questi due suoi protagonisti “non s’incontrarono mai”; tuttavia, però, c’è una significativa convergenza “sul terreno delle amicizie comuni”, tra le quali Colajanni, Guaita, Geymonat, Giolitti, Italo Calvino (Santiago) e Paolo Spriano:“in parte destinati, chi prima chi dopo, ad abbandonare il Partito comunista. A catalizzare l’attenzione, allora, furono i fatti di Ungheria che provocarono sconcerto, delusione e sconforto nel partito (...) L’aggressione sovietica ai danni del popolo ungherese, con la sua scia di morti tra gli operai e gli studenti insorti, scosse dalle fondamenta la coscienza di militanti e dirigenti, oltre che di intellettuali organici e non al Pci. Anche se le reazioni furono diverse a seconda che si trattasse dello scenario nazionale o di quello locale.”

Si inizia così una minuziosa ricostruzione di quello che Pietro Ingrao definì “l’indimenticabile 1956”, e Rossana Rossanda l’anno in cui “andò in pezzi l’idea dei comunisti e dell’Urss uniti e compatti”. Un 1956 che ha il suo incipit con il XX Congresso del Pcus (Mosca, 14-25 febbraio), quello della denuncia di Kruscev delle degenerazioni dello stalinismo, proseguito nel giugno coi fatti di Poznan in Polonia, dove gli operai insorgono al grido di "pane e libertà", soffocata nel sangue dai carri armati sovietici, poi sfociato il 27 ottobre con la rivolta dell’ Ungheria, partita dalla protesta degli studenti a sostegno di Poznan, cui si unirono operai e intellettuali, e seguito il mese dopo dall’intervento militare russo: “Il 7 novembre, con l’insediamento del governo filosovietico di Jànos Kàdàr la rivoluzione ungherese si poteva dire di fatto conclusa” - con 2.700 ungheresi morti da ambo le parti. Dall’8 al 14 dicembre, l’anno si concluse con l’VIII Congresso del Pci a Roma, dopo che tra ottobre e novembre si erano svolti i congressi su base locale.

Non ci addentriamo sulla densa e dettagliata ricostruzione dei fatti e delle posizioni, che lasciamo all’approfondimento del lettore; qui ricordiamo solo la famosa “Lettera dei 101”, che esprimeva il dissenso e innescò la discussione. Il Congresso nazionale si allineò largamente sulle posizioni di Togliatti: “Si trattava di legittimare le critiche allo stalinismo, ma senza provocare danni all’immagine dell’Urss, confermando il merito storico che ad essa spettava e la superiorità di quel sistema sociale, da un lato. Perseguire la politica della ‘via italiana al socialismo’, contenendo le intemperanze di intellettuali e ‘revisionisti’, ma anche quelle di ortodossi e stalinisti dall’altra. Inoltre, andava combattuta la critica alla burocrazia, espressa soprattutto nel quadro intermedio e dirigenziale.” Antonio Giolitti espresse il suo dissenso critico con un ampio intervento, e in seguito si determinò la sua uscita dal Pci e la sua adesione al Psi, per cui fu poi candidato ed eletto deputato al Parlamento come indipendente. Dopo anni di importanti incarichi ministeriali ed europei, nel 1985, in polemica con la politica di Craxi, abbandonò il Psi e nel 1987 si riavvicinò al Pci, nelle cui liste fu eletto senatore come indipendente.

In seguito ai “fatti di Ungheria”, i dati del dissenso per la provincia di Cuneo e Torino fanno risultare un consistente calo - un terzo - sia degli iscritti che degli elettori, che fanno definire questo dato da Vincenzo Santangelo “una vera e propria débacle”, portandolo a domandarsi: “Il 1956 fu un problema che riguardò essenzialmente gli intellettuali? Con tutte le cautele possibili, si può dire che no, non lo fu né a livello centrale, e tanto meno a livello locale.”

Camilla seguì le scelte di Giolitti, e si dimise dal Pci - fatto che costituì, come ricordò Miriam Mafai, una vera e propria “lacerazione”: “E’ un’epoca in cui l’amicizia non sopravvive all’espulsione, all’abbandono del partito – scrive Mafai – Furono separazioni strazianti tra coloro che lasciavano e coloro che restavano, ognuno pensando di fare la cosa migliore”. E’ stato l’anno “in cui muore definitivamente – annota a sua volta Santangelo – la speranza di un rinnovamento possibile, aperta proprio dall’assise congressuale sovietica. Era la fine di un mito, il suo tradimento” - con l’amarezza di aver subito “un inganno”. Camilla poi continuò la vita politica, fu eletta nel ‘75 nelle liste del Psi al consiglio comunale di Barge, e sempre presente alle celebrazione partigiane, come quella del Montoso.

A sua volta, Dario al Congresso provinciale pronunciò un lungo e appassionato intervento, che infiammò il congresso, cui seguì la sua uscita dal partito. Resta di grande interesse la sua corrispondenza circolare - qui riportata – con gli amici Spriano, Calvino, Giolitti e Geymonat e le reciproche ragioni e scelte, come anche la successiva lettera a Bianca Guidetti Serra. In seguito, si ritirò dalla vita politica, dedicandosi soltanto all’attività professionale di geometra. Nel 1986 ricevette il Sigillo d’argento di Torino conferito ai primi consiglieri comunali della Liberazione.

Si trattava nel loro caso, come nota Giovanni De Luna, di quella “generazione resistente” in cui – commenta l’autore – “si approda al Partito comunista per le ragioni più disparate, e che non solo non aveva una conoscenza approfondita del pensiero marxista, ma neppure della stessa linea di partito. (...) La scelta antifascista si configurava come una scelta altamente morale.” Tra gli intellettuali, lo scrittore Elio Vittorini fu il prototipo dell'avvicinamento al Pci e della militanza nel partito dopo la Liberazione non per ragioni di adesione al marxismo.

Per Camilla si trattò di un “antifascismo prepolitico, nato direttamente dalla solidarietà con i poveri contadini e i giovani mandati a morire al fronte”- nota l’autore. E, come scrive a sua volta Dario: “Abbandono con dolorosa amarezza l‘attuale Pci convinto di abbandonarlo per le stesse esigenze morali e politiche che mi portarono ad aderirvi fin dal lontano 1932, a combattere il fascismo e la guerra partigiana e che, in Ungheria, mi avrebbero ancora una volta portato a schierarmi dalla parte dei cosìddetti ‘ribelli’”. Conclude Santangelo: “C’erano, nella scelta di abbandonare il partito, tutti gli elementi costitutivi dell’universo valoriale resistenziale e il suo rinnovo nell’adesione alla lotta partigiana, incarnata come allora nello stare dalla parte giusta della barricata.“


[1] Vincenzo Santangelo, “Camilla e Dario – Storia di due comunisti dalla scelta partigiana al dissenso per i ‘fatti di Ungheria’”. Prefazione di Giovanni Carpinelli, Edizioni SEB 27,2022

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