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Svizzera-Italia, dal cassetto della memoria

Aggiornamento: 29 giu 2024

di Vice


A poche ore dagli ottavi di finale del Campionato europeo tra gli azzurri e i rossocrociati - ore 18, Olympiastadion, Berlino - le statistiche ci raccontano di una lunga tradizione tra le due nazionali: 61 incontri, con 29 vittorie italiane, 8 elvetiche e 24 pareggi. Una storia senza fine tra i due Paesi. In fondo, si scambia, si commercia e si finisce anche per giocare soprattutto tra vicini. E il calcio italiano, soprattutto quello del Norditalia, ha subito tante trasfusioni di sangue svizzero fin dagli albori. Furono calciatori che calarono dalle Alpi dietro stirpi di imprenditori, secondo una tradizione che aveva preso corpo nel Regno Sabaudo dalla seconda metà dell'Ottocento, complice anche le libertà religiose a valdesi ed ebrei che Re Carlo Alberto aveva concesso con le Lettere patenti del 1848.

Alfredo Dick (1865-1909) è uno di quelli che nato in Svizzera aveva fiutato l'opportunità di fare affari sotto la Mole con la sua fabbrica di Pellami e calzature, e di concedersi il piacere della passione calcistica, fondando prima la Juventus e, non contento, di prendersi la presidenza granata, dopo una consultazione tra insofferenti juventini alla Birreria Voigt, all'angolo tra via Botero e via Pietro Micca il 3 dicembre 1906. E fu così che Dick aveva scippato ai cugini l'astro Fritz Bollinger, svizzero di Basilea, destinato a diventare il capitano del Toro, e Walter Streule, oltre a ingaggiare il roccioso Kempher e Mutzell, entrambi fuoriclasse della nazionale elvetica. Preistoria calcistica, sempre e comunque avvincente.

Le percentuali di vittorie non dicono tutto e non sono sincere in ordine alla rispettiva sofferenza patita. E' vero: gli azzurri hanno vinto molto. Ma la Svizzera li ha fatto soffrire altrettanto, se non di più di recente. Anche se non li supera dal 1993, ultima vittoria 1-0 con l'inglese Hodgson in panchina (poi andrà all'Inter) che beffa gli azzurri allenati da Sacchi, a un anno dai mondiali Usa, alla Svizzera è bastato pareggiare una partita di qualificazione per azzerare l'entusiasmo del primato in Europa, tagliando direttamente fuori dagli ultimi Mondiali la nazionale di Mancini, costretta all'infausto spareggio con la Macedonia del Nord, con tutte le conseguenze del caso sul destino del suo c.t.

Del resto, con gli svizzeri sembra che l'Italia sia predestinata a ingoiare "qualche" oncia di rabbia e delusione non appena si pronuncia la parola mondiali. Una maledizione. Settant'anni fa, ai Mondiali del '54 organizzati dalla Svizzera, quelli in cui scesero anche in campo i chimici tedeschi, come si mormorò dopo la finale vinta dai bianchi contro l'Ungheria delle meraviglie, che aveva nel colonnello Puskas il suo diamante, insieme con quegli artisti della palla, dal centroavanti Nándor Hidegkuti a Gyula Grosics, Zoltán Czibor e Sándor Kocsis, i rossocrociati ci fecero neri con un gioco di ombre nella partita d'esordio (2-1) grazie alla compiacenza dell'arbitro brasiliano Mario Vianna; poi, ci frastornarono con un bel gioco di specchi che nello spareggio (4-1) per l'accesso ai quarti.

Per fortuna degli azzurri, la competizione continentale ha offerto all'Italia spartiti più generosi. E tra tutti, dal cassetto della memoria non si può che attingere Svizzera-Italia di sabato 18 novembre 1967. A Berna si giocava la per la qualificazione alla finale degli Europei 1968 (la formula prevedeva quattro squadre), quella che gli azzurri si presero con la fortuna di una monetina caduta dalla parte giusta al termine della semifinale Italia-Urss (0-0) e con la forza di chi era padrone di casa ed aveva un presidente di federazione che rispondeva al nome di Artemio Franchi nel doppio confronto con la Jugoslavia, prima pareggio (1-1) e vittoria nella "bella" con reti di Pietro Anastasi e Gigi Riva (nella foto).

E proprio con un omaggio a Rombo di Tuono che ci ha lasciati il 22 gennaio di quest'anno, che si apre il ricordo di quel match. Riva era al suo primo "vero" ritorno in maglia azzurra. Uno scontro fortuito con il portiere portoghese Amerigo gli aveva procurato la frattura del perone sinistro nell'amichevole Italia-Portogallo a Roma il 27 marzo 1967. Il 1° novembre, infatti, l'ala sinistra del Cagliari aveva disputato la partita di qualificazione contro il modesto Cipro segnando tre goal. Ma era a Berna che l'Italia cercava l'imprimatur per accedere alla fase finale in Italia. Non cominciò bene e stava per finire peggio. Ma in quella occasione, come in altre, ci pensò fu lui, il più prolifico goleador della nazionale a tenere a galla l'Italia.

La Svizzera andò in vantaggio nel primo tempo. Poi, al '66, Gigi Riva fece uno dei più spettacolari goal della sua carriera: una rovesciata fulminea, precisa e potente che non lasciò scampo al portiere Kunz. Indimenticabile emozione. Eppure, c'era ancora tanta Svizzera in quel secondo tempo. Ed era così determinata da mettere la freccia del sorpasso appena due minuti dopo. Ma c'era anche tanto Gigi Riva nel finale, così determinato da pareggiare quasi da solo, conquistandosi un rigore e trasformandolo a cinque minuti dal 90°.[1]

Ora, si spera che dopo la Croazia, ci sia ancora rimasta tanta Italia per andare oltre...


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