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Sulla prescrizione allarmismi strumentali

Aggiornamento: 29 dic 2024

di Gian Carlo Caselli


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La percentuale italiana di prescrizioni è del 10/11% dei processi, contro lo 0,1/2% degli agli altri paesi europei; a fronte – si badi – di statistiche che collocano la magistratura italiana ai primi posti per produttività (altro che “fannulloni”…). Significa che ovunque la prescrizione funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi scarti che l’ingranaggio non è riuscito a trattare, mentre da noi ha finito per strutturarsi come fenomeno assolutamente patologico. Nel senso che, da misura circoscritta a pochi casi limite, è stata trasformata in una voragine mastodontica che inghiotte senza ritorno processi in quantità enorme. Sicché il sistema di giustizia in tutti questi casi produce il suo contrario: denegata giustizia, per le vittime e verso i presunti responsabili. E questo di solito per i processi di maggior impatto politico-sociale (si pensi anche solo al disastro ferroviario di Viareggio). Perché questa patologia? Perché la prescrizione in Italia non si interrompeva mai e la prescrizione infinita rendeva infiniti i processi. Con una legge entrata in vigore il primo gennaio scorso (cosiddetta riforma Bonafede) il nostro sistema si è allineato agli altri paesi europei (Grecia esclusa), nel senso che finalmente anche da noi la prescrizione si interrompe definitivamente ad un certo punto del processo (sentenza di primo grado), mentre prima c’erano soltanto sospensioni mai definitive, per cui conveniva all’imputato tirarla quanto più possibile alle lunghe fino all’impunità assicurata dalla prescrizione. Questa riforma ha scatenato un’iradiddio di reazioni (soprattutto fra gli avvocati e i sedicenti garantisti; mentre per alcuni politici è diventata un’occasione di scontro che ha persino messo a rischio la tenuta del governo!), con decibel e toni da stadio: tipo barbarie, orrore, catastrofe, follia, ergastolo permanente, bomba atomica, sfregio alla Costituzione Italiana e allo stato di diritto, fino al risolutivo “vaffa”… Slogan o esagerazioni propagandistiche messe in campo contro chi la pensa diversamente, per poterlo alla fine etichettare come forcaiolo o manettaro (il logoro “giustizialista” è ormai troppo garbato…). In realtà, tanto rumore per nulla. Gli effetti della riforma Bonafede si potranno verificare non prima di 4/5 anni. Oggi come oggi si può solo giocare ad ipotizzare tutto e il suo contrario, tali e tante essendo le variabili in gioco. In ogni caso, le statistiche del Ministero della giustizia del 2018 dicono che la prescrizione ha colpito 117.367 processi: di cui 57.707 nelle fasi iniziali (PM, GIP); 27.747 in primo grado; 2.250 davanti al Giudice di pace; 29.216 in Appello; 646 in Cassazione. Dunque, poiché la riforma Bonafede si applica solo ai processi già conclusi in primo grado; tenuto altresì conto che in Cassazione sono pochissimi i processi che si prescrivono (l’1,1 %): la riforma riguarderà il 26 % circa dei processi prescritti, che sono il 3% dei processi trattati ogni anno. Non propriamente una catastrofe che giustifichi i toni apocalittici dei profeti di sventura contrari alla riforma.


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