top of page

Storia dei Valdesi: "libertà come passione"

di Emmanuela Banfo


Fiaccolata del 16 febbraio a Villar Pellice

Una storia lunga 850 anni, ma che non invecchia mai. A renderla un cammino tuttora attuale è avere come suo asse portante la libertà fondata sul rispetto dei diritti civili, sul riconoscimento della pari dignità di tutte le persone. E’ la storia dei Valdesi che prende le mosse nella ricca e plurale città di Lione del 1174 grazie a Pietro Valdo che, prima di Francesco d’ Assisi, auspicava il ritorno del cristianesimo alla sua originaria vocazione comunitaria basata sulla predicazione e la testimonianza dell’Evangelo da parte non soltanto degli "addetti ai lavori", ma di ogni credente, anche laico. [1]


Un seminario al Circolo dei Lettori di Torino

Hanno rievocato le pagine di quel passato dell’alto Medioevo, tutt’altro che uniforme, ma vivace di culture e spiritualità che spingevano verso un rinnovamento della chiesa cattolico-romana, la moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta, il pastore Eugenio Bernardini, la storica Debora Michelin Salomon, in un seminario tenutosi al Circolo dei Lettori di Torino alla vigilia della data simbolica delle Lettere Patenti di Carlo Alberto del 17 febbraio 1848. Filo rosso, che annoda i momenti salienti del percorso, dalla conversione di Valdo, passando attraverso la condanna per eresia del 1215 del movimento che da lui prese le mosse, alla strage delle Pasque piemontesi del 1655, fino all’ Intesa del 1984 tra lo Stato italiano e le chiese Valdesi e Metodiste, nel frattempo unite da un patto di integrazione nel 1975, è la costante di porsi nello spazio pubblico come soggetti promotori di emancipazione, di crescita di una coscienza della libertà che si esplica proprio nella dialettica dell’agorà sociale, quale luogo plurale.


Dalle patenti albertine all'Intesa del 1984

"La libertà – ha detto la moderatora – è da sempre la nostra passione. Ma la libertà o è per tutti oppure non è per nessuno". In questo concetto trova radice la prima Intesa di una chiesa non cattolica siglata 40 anni fa dall’allora moderatore della Tavola Valdese, il pastore Giorgio Bouchard e il presidente del Consiglio, Bettino Craxi. Perché quell’Intesa – bene hanno fatto a sottolinearlo Trotta e Bernardini – non chiedeva privilegi, non ambiva a un riconoscimento speciale, bensì dare attuazione all’articolo 8 della Costituzione e attestare che ci possono essere altre forme pattizie tra Stato e chiesa al di fuori dei Patti Lateranensi. Tant’è che negli anni successivi altre denominazioni hanno firmato Intese, tra le quali l’Unione delle comunità ebraiche (Ucei), l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’ Italia (Ucebi), la chiesa Apostolica, l’Unione Buddista, l’Unione Induista, la chiesa Luterana, le Assemblee di Dio (Adi). Fuori dalle Intese ci sono i "culti ammessi", secondo la dicitura della normativa fascista. Da qui il richiamo alla necessità di una legge organica sulla libertà religiosa, ancora mancante in Italia nonostante se ne parli da anni e vi siano proposte in tal senso.

Ma libertà significa democrazia, diritto di rappresentanza, attuazione di forme di governo che impediscano l’esercizio dell’arbitrio, della coercizione, dell’imposizione autoritaria. Nell’ecclesiologica, nel modo d’essere chiesa, dei Valdesi, ma anche dei Battisti come di gran parte del mondo evangelico, protestante, non c’è verticismo, una gerarchia ecclesiastica sovrastante, ma laici assieme a ministri e ministre di culto, gestiscono la chiesa. La laicità, che erroneamente nella vulgata popolare viene messa in contrapposizione alla fede religiosa, all’essere credenti, si esprime a più livelli:  in rapporto allo Stato, chiedendo reciproco rispetto, in rapporto alle comunità di credenti che sono chiamati ad essere parte attiva della chiesa e in rapporto alle Scritture, all’Evangelo, la cui lettura e interpretazione non è esclusiva del o della pastora, di chi ha una formazione teologica accreditata. Il rapporto diretto, personale, con la Bibbia, è stato, d’altra parte, una delle istanze principali della Riforma protestante, che non a caso ne promosse la divulgazione grazie alla scoperta della stampa di Gutenberg. Questo approccio porta con sé, da una parte sì il rifiuto del clero e dell’ istituzione-chiesa come unico soggetto mediatore tra credente e Bibbia, tra credente e Dio, ma anche una visione della comunità di fede che recupera il cristianesimo delle origini.


Il ruolo attivo delle religioni

A 850 anni dalla nascita del movimento di Valdo, a 40 anni dall’Intesa con lo Stato, a fronte del contributo Valdese alla storia dell’ Italia, dal Risorgimento alla Resistenza, alla cultura laica, e non laicista, capace di sdoganare la fede religiosa dall’ambito puramente intimista-privato, valorizzandola come forza vitale, attiva nella crescita del bene comune, quale narrazione s’impone all’opinione pubblica? In un tempo in cui la comunicazione sta assumendo sempre di più la connotazione di un potere, con le sue dinamiche interne e il suo mercato plurimilionario, con le sue piattaforme sovranazionali che decidono che cosa diffondere e che cosa occultare, in grado di condizionare le coscienze, di orientarle, di manipolarle e in cui sarebbe di fondamentale importanza sviluppare lo spirito critico, come sono rappresentate le religioni?

Fermo restando che in Italia sussiste la sovraesposizione mediatica della chiesa cattolico-romana, del Vaticano, del Papa, la realtà fuori dallo schermo, dai circuiti della narrazione giornalistica, è sempre più multireligiosa. Non soltanto le previsioni, filosofiche, intellettuali, sulla "morte di Dio" sono state ampiamente smentite, ma proprio le religioni continuano a svolgere un ruolo attivo nelle società, nel bene e nel male, come soggetti propulsivi di progresso, di civiltà o forze oscurantiste, di arretramento. Usate, strumentalizzate dal potere politico certamente, ma anche in sé dall’alto contenuto valoriale. Come più volte sostenuto da Jurgen Habermas, le religioni sono portatrici di contenuti politicamente rilevanti, anche quelle che affermano il contrario e pensano di stazionare in uno spazio neutro. E tutte, nessuna esclusa, non possono eludere la sfida della modernità, che non è a-religiosa, del dialogo con le altre religioni che non è proselitismo, della democrazia che, qualunque sia la sua configurazione, non necessariamente quella occidentale liberale che noi conosciamo, per esistere vuole coesistenza e dialogo tra le diversità, anzi fa della diversità un valore da tutelare. Possiamo, al contrario, pensare come Zigmunt Baumann che il nostro mondo, occidentale, secolarizzato, ha reso Dio insignificante per gli affari umani, ma sicuramente non è così per le comunità degli immigrati. Comunità che non sono in prevalenza musulmane.


L'analfabetismo religioso dei mass media

Riflettere sui Valdesi oggi, ricchi della loro storia e della loro cultura, esempio di come un’identità forte possa non essere escludente, chiusa e arroccata su se stessa, è occasione per interrogare chiese, moschee, sinagoghe, templi sul ruolo che intendono giocare nel XXI secolo, considerato che muovono masse di persone, pezzi di cittadinanza. Ma questa domanda si coniuga con quella sulla responsabilità che oggi, ancora più di ieri, ha l’informazione, la rappresentazione mediatica. L’ analfabetismo religioso da parte dei mass media non è più ammissibile poiché porta come sua conseguenza intolleranza, discriminazione, conflittualità culturale e civile. La superficialità, l’approssimazione nell’uso delle parole fa sì che la rappresentazione risulti falsata. Come diceva Michel Montaigne, la parola appartiene per metà a chi parla, per metà a chi ascolta e i giornalisti, chi fa informazione, devono assumersi l’onere anche della seconda metà.

Evangelico non è sinonimo di evangelicale, per esempio. Così come gli immigrati non sono tutti musulmani, altrettanto le chiese evangeliche non sono sette con a capo pastori fai-da-te. E’ vero che c’è un sommerso di religiosità popolare – come ha rimarcato nel corso del dibattito il pastore Bernardini – ma è trasversale a tutte chiese, lambisce quelle evangeliche come quelle cattoliche, si va dalle statue che piangono ai falsi santoni che si spacciano guaritori. Di fronte a casi di cronaca (nelle redazioni la formazione religiosa non dev’essere soltanto degli specializzati ) occorrerebbe maggiore conoscenza e sufficiente professionalità per avvalersi di fonti autorevoli o accreditate, figure che lavorano sul campo.

Se la chiesa cattolica ha al suo interno, a partire dalla Santa Sede, dei propri organi interni di comunicazione ai quali possono rivolgersi gli operatori dell’informazione, nulla toglie che questi possano fare riferimento ad altrettanti soggetti autorevoli, dal moderatore o moderatora della Tavola Valdese, a pastori/e teologi/e, professionisti con formazione universitaria, alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, attualmente presieduta dal pastore e professore d’Antico Testamento Daniele Garrone e via dicendo. Il cristianesimo, sia esso cattolico romano, ortodosso, protestante, è sfaccettato, multiforme, come lo è il buddhismo, l’induismo e lo stesso islam. Nessuna religione è un monolite. E poiché le confessioni religiose sono corpi intermedi d’alto valore sociale, l’informazione non può permettersi faciloneria.


Rifiutiamo gli stereotipi

Il Testo Unico dei Doveri del Giornalista all’articolo 9 delle sue regole deontologiche, afferma che nell’esercitare il diritto di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali. Tali principi devono essere applicati a tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network. Ma se quelle evangeliche sono solo sette, i musulmani sono soltanto fanatici, quando non filo-terroristi, i buddhisti sono soltanto dediti a yoga e meditazione, gli ebrei sempre e solo quelli con i peot alle basette e larghi cappelli neri, se perpetuiamo stereotipi che non aiutano a capire, a conoscersi, a entrare nella complessità, non possiamo stupirci del moltiplicarsi di intolleranze e anatemi.

I discorsi d’odio si alimentano di un clima fatto di polarizzazioni, di manicheismi, di un pensiero dicotomico basato sull’amico-nemico, sul noi-loro sempre e soltanto su fronti opposti che non s’incontrano mai. E’ la logica delle tribù, ognuna delle quali presume di possedere l’unica, incontrovertibile verità. Se, come sosteneva la filosofa Agnes Heller, occorre de-totalizzare il concetto di verità nel senso di imparare a pensare in modo nuovo, che non è relativismo o banale sincretismo, ma capacità  di mettersi e mettere in discussione, riconoscimento dell’alterità, decentramento dal proprio ego, dal proprio mondo. Forse non è casuale che nella ricorrenza degli 850 anni del movimento valdese, i falò che ogni anno accendono le valli ricordando le persecuzioni, l’espatrio, i processi dell’Inquisizione, le conversioni forzate, il tentativo di un vero e proprio genocidio, ma anche la resilienza, la tenacia della fede, oggi vogliano fare luce – ha concluso la moderatora – sui diritti negati, su tanti, i troppi, che ancora non godono della libertà. Anzi, delle libertà, anch’esse plurali, unite da un minimo comune denominatore che è l’emancipazione da ogni schiavitù.



Note


[1] Nel video Il Giuro di Sibaud, inno dei Valdesi.

Cronologia storica valdese completa 2024
.docx
Scarica DOCX • 38KB

 

98 visualizzazioni0 commenti
bottom of page