Sicurezza: ciò che Vannacci ignora, ma che Torino conosce
- Beppe Borgogno
- 22 ore fa
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di Beppe Borgogno

La visita del generale Vannacci a Torino, per parlare di sicurezza, non renderà probabilmente più sicura la città, ma alcune sue affermazioni offrono l’occasione per rinfrescare a tutti noi un pochino la memoria. Se poi alcune piccole informazioni serviranno anche al generale per prepararsi meglio la prossima volta, tanto di guadagnato per lui.
Il copione e la polemica non sono molto diversi da quello che di norma caratterizza la destra, ma alla base del suo arrembante ragionamento ci sono alcuni postulati che meritano qualche precisazione.
Secondo Vannacci ci sarebbe un problema di sicurezza che riguarda tutte le grandi città “amministrate dalla sinistra”. Tutti sappiamo che la sicurezza urbana è una questione che riguarda in particolare le città più grandi, e comunque si, generale: in Italia in quasi tutte le grandi città gli elettori scelgono il centrosinistra, e per ora la destra non batte chiodo. Merito del buongoverno? Di Sindaci all’altezza dei problemi, compreso quello della sicurezza? Chissà, comunque finora è andata così.
E allora Vannacci se la prende con il sindaco Lo Russo che, secondo lui, non si assume le responsabilità che dovrebbe perché a quanto pare non sa “di far parte del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica”. Certamente il Sindaco sa di farne parte, e di sicuro più volte ha partecipato alla sua attività. Quello che forse Vannacci non sa è che Torino è stata la prima grande città italiana, anche allora governata dal centrosinistra, a sperimentare già negli anni ’90 del secolo scorso il Comitato, proprio con l’obiettivo di coordinare le politiche e le azioni di sicurezza, per ottenere risultati migliori. E forse ignora che si tratta di un organismo coordinato dal Prefetto, in cui, almeno qui da noi, istituzioni diverse socializzano informazioni, condividono obiettivi e lavorano per realizzarli facendo ognuno ciò che sa e deve fare, e non per ritagliarsi ognuna il proprio spazio polemico.
Il Comune, in particolare, contribuisce su alcune problematiche anche mettendo a disposizione la Polizia Locale, che come è noto non può però svolgere compiti di ordine pubblico, ma si occupa soprattutto di ciò che va sotto il nome di “sicurezza integrata”: la prevenzione del degrado, la cura della qualità urbana, gli interventi di sostegno e prevenzione in ambito sociale, l’ascolto e il dialogo con la città, tanto per fare qualche esempio. Compiti delicati che vanno svolti con il massimo impegno e a cui vanno dedicate risorse ed attenzione (e se non basta quello che fa è giusto chiedere alla Città di fare di più), su cui i Comuni sono insostituibili, così come non possono essere sostituite le Forze dell’Ordine nella gestione dell’ordine pubblico, e la Magistratura nella gestione delle indagini e nell’attribuzione delle pene.
Attraverso questa logica di collaborazione in cui ognuno fa il suo, e muovendosi quindi su un versante assolutamente opposto a quello della polemica, nel tempo si sono ottenuti risultati importanti, alcuni dei quali, abbiamo poi scoperto, sono addirittura diventati casi di scuola e di studio.
Per esempio forse qualcuno ricorderà, tra il 2006 e il 2008, ciò che accadde attorno ad un luogo che si chiama ancora oggi Parco Stura, nella periferia nord di Torino, ma allora venne ribattezzato Tossic Park. Quell’area lungo la sponda destra del fiume Stura diventò nell’arco di qualche mese forse “l’outlet” dello spaccio di stupefacenti più grande del nord Italia, sottraendo una zona assai vasta all’uso dei cittadini che ne dovettero patire ancora di più gli effetti quando essi si allargarono a macchia d’olio fino ad investire i luoghi abitati intorno e la vita quotidiana di tante famiglie.
Ci volle un po’ di tempo per fare tutto bene: perché le Forze dell’Ordine arginassero e contrastassero quel fenomeno, perché la magistratura torinese conducesse con cura le indagini necessarie a cui seguirono condanne significative, e perché quel territorio venisse riconquistato. La Città si fece carico di tutto quello che le competeva: si potenziarono le tecnologie di sorveglianza, l’illuminazione, vennero eliminate le strutture che potevano rappresentare un ostacolo per l’osservazione dell’area, nella zona occupata dallo spaccio arrivò un grande tendone da circo dove i cittadini della zona potevano assistere a concerti e a spettacoli teatrali e cinematografici (per un progetto che non per casi si chiamava Ossigeno), poi arrivò dai luoghi abituali addirittura la Festa provinciale de l’Unità.
La Polizia Locale collaborò per quello che le competeva all’attività di controllo, ad esempio sui mezzi pubblici nell’area, ma la Città si impegno soprattutto nel rapporto con quei cittadini, lavorando insieme su tanti problemi grandi e piccoli, compreso quello di ostacolare le ronde e gli autonominatisi “giustizieri”.
Un lavoro lungo, impegnativo e rischioso per molti, compreso chi scrive, ma che riuscì ad estirpare il fenomeno. Un lavoro fatto insieme dalle istituzioni, nella migliore logica di collaborazione attorno a quell’autentico bene comune che si chiama sicurezza. Tutto questo per segnalare al generale Vannacci che la città in cui è venuto in visita non ha paura di occuparsi di sicurezza, ma che lo ha sempre fatto provando a comprenderne la complessità, lontano dalla propaganda securitaria che da sola un problema come quello non l’avrebbe risolto.
Quindi va tutto bene? Certamente no. Ma finora quella tradizione di collaborazione è proseguita, e quando si inceppa è giusto che chi ne è testimone lavori perché torni a funzionare: come fa il Sindaco quando, con ragione, lamenta un certo disimpegno, ben più che apparente, del governo verso lo stato degli organici e delle dotazioni delle Forze dell’Ordine.
Già, perché in quegli stessi anni, ma forse il generale Vannacci non lo sa, tra il governo centrale e le città metropolitane si sottoscrivevano i cosiddetti “patti per la sicurezza”: gli Enti Locali impegnavano risorse (allora i Comuni ne avevano certamente a disposizione ben più di oggi) per fornire le Forze dell’Ordine di mezzi adeguati, le auto ma non solo, e le città di migliori tecnologie per la sicurezza, ed il governo provvedeva a potenziare gli organici della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Questa, tra il 2007 e il 2008, fu la politica del governo di centrosinistra di allora, e non risulta che tra tanti strepiti securitari i governi di segno opposto abbiano poi saputo fare di meglio per la sicurezza nei grandi centri urbani.
Va detto che il governo di centrodestra in carica dopo le elezioni del 2008 capì che quella linea non era affatto sbagliata, e nella sostanza onorò gli impegni presi. Perché, e forse questo al generale Vannacci risulta ostico davvero, non solo le culture e le opinioni, ma nemmeno tutte le destre sono uguali: c’è stato anche chi ha provato, anche se con scarso successo, a separare la propaganda, abbastanza facile, dai risultati, per cui invece occorrono impegno e obiettività.
Per questa ragione sarebbe inutile nascondere che in alcune zone di Torino c’è un bisogno più forte di sicurezza. Per soddisfarlo, le cosiddette “zone rosse” da sole non bastano: serve un impegno ancora maggiore da parte della Città per portare vivibilità e qualità. Serve probabilmente un autentico progetto, coraggioso e visibile, che metta insieme e coordini tante azioni positive, a partire da quelle già in atto, per occupare e rilanciare i territori più difficili. Senza dimenticare che Torino è una grande città e che per questo, e non per chi la governa, vive contraddizioni e problemi. A chi la governa tocca conoscerli e interpretarli, e insieme a tutti gli altri attori creare fiducia e immaginare soluzioni.
Come è accaduto tante volte, nel passato più lontano ed anche in quello più recente.













































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