top of page

Rivolta annunciata al "Lorusso e Cutugno" di Torino

di Nadia Conticelli*


Non si possono certo definire “un fulmine a ciel sereno” i disordini e la tentata rivolta all’interno della Casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino che hanno provocato il ferimento di numerosi agenti di polizia penitenziaria. Nella giornata di martedì 13, quindi due giorni prima dei fatti di Ferragosto, nel corso della visita all’istituto di pena torinese con le colleghe Anna Rossomando, Chiara Gribaudo e Maria Grazia Grippo (nella foto in basso), con le quali abbiamo aderito all’iniziativa del Movimento forense e dell'associazione Nessuno tocchi Caino, non ci è stato consentito l’accesso al padiglione C e ai piani superiori del padiglione C. L’atmosfera era già tesa e il personale ancora più sottodimensionato del solito per le ferie estive. Il clima rovente di agosto nelle celle progettate per una persona e riadattate per due presenze, le docce inagibili e in ristrutturazione in alcuni piani, le misure alternative dilazionate proprio per le difficoltà di personale, hanno fatto il resto. Ma non in due giorni, da mesi. Sono 65 i suicidi dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane e oltre 40 aggressioni al personale di vigilanza.


Sovraffollamento e carenza di personale

Sovraffollamento, carenze di agenti della Polizia penitenziaria, strutture obsolete e non idonee, sono le cause principali delle tensioni, della pressione fisica e psicologica cui sono sottoposti detenuti e lavoratori all’interno del carcere "Lorusso e Cutugno". Con una capienza di un migliaio di posti l’istituto torinese ne ospita attualmente 1500, compresi sei bambini detenuti con le madri. Mancano circa 200 agenti a Torino e le nuove unità inviate dal Ministero, così come gli esigui numeri previsti dal Decreto carceri - mille unità nei prossimi due anni - possono a malapena coprire il cosiddetto turn over.

Il carcere torinese - pensato e realizzato nella seconda metà degli anni Settanta - va riprogettato nella sua interezza, anche la sanificazione non è più efficace ormai. Il settore sanitario e quello dedicato alla salute mentale, che dovrebbero rappresentare servizi nevralgici per il recupero del carcerato, tanto da concentrare qui una elevata quota di popolazione carceraria con problemi di salute, risentono delle stesse lungaggini e carenze dei cittadini piemontesi rispetto ad analisi e interventi clinici negli ospedali e nelle strutture esterne, ma che in carcere diventano drammatiche e insostenibili. Essere bloccati in un letto in attesa di una risonanza magnetica da mesi genera sofferenza e frustrazione, se invece di un letto si tratta di una brandina collocata in uno stanzino in condivisione, con poca aria che circola nel caldo afoso di agosto, la sofferenza diventa insopportabile e può sfociare in tragedia.

L’uso di reparti dell'Esercito non è una soluzione, ma un “tampone”, e non dei migliori, perché il lavoro della polizia penitenziaria richiede una professionalità specifica e le pene alternative nei casi in cui siano consentite hanno bisogno del personale idoneo e adeguatamente preparato.

Le condizioni ambientali del carcere torinese oggi producono insicurezza, che sfocia in autolesionismo o in rivolte, che hanno le medesime cause. E il disagio vissuto quotidianamente dai detenuti, i diritti negati, la riabilitazione mancata si scaricano sulle persone che nel carcere lavorano in costante contatto con una sorta di polveriera, che produce danni morali o fisici, come è avvenuto due giorni fa a Torino.


*Consigliera regionale Pd

43 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

bottom of page