Rischio "grande incendio": Israele al bivio sul Libano
di Maurizio Jacopo Lami
"Il leone se vuole incutere timore deve colpire prima o poi".
Proverbio libanese
"Prima o poi ci sarà uno terribile scontro fra i credenti (sciiti libanesi) ed Israele.
Forse è meglio che sia adesso e se necessario baratteremo la vita cristiana con l'altra".
La dichiarazione di ieri di un esponente Hezbollah
"Pagheranno un prezzo molto alto per questo"
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, commentando la morte in Israele di 12 ragazzini drusi uccisi ieri da un missile di Hezbollah.
A Roma proseguono intensi colloqui fra i servizi segreti di Israele, degli Stati Uniti, dell'Egitto insieme al primo ministro del Qatar. In teoria il soggetto principale della riunione avrebbe dovuto essere la liberazione degli ostaggi israeliani e una tregua fra Hamas e Israele. Ora, però, la riunione si è trasformata in una frenetica consultazione per convincere il governo di Israele a non attaccare il Libano.
Il problema principale non è suggerirgli una soluzione più moderata, come limitarsi a colpire alcuni siti del "Partito di Dio": l'IDF ha dimostrato in questi mesi di avere una grande conoscenza "interna" di Hezbollah, cioè di avere una impressionante rete di spie che informa sui movimenti del nemico.
Il vero grande problema è che molti estremisti del governo israeliano non vedono l'ora di "bruciare il Libano" cioè di scatenare una guerra contro il Paese dei Cedri. Nella loro fantasia una simile impresa non solo porterebbe alla distruzione di Hezbollah, ma porterebbe a ridisegnare la mappa del Medio Oriente. Un ritorno all'antico. La storia rischia di ripetersi.
Già nel 1982 Ariel Sharon si illudeva che attaccare il Libano avrebbe "risolto" tutti i problemi. Secondo lui avrebbe distrutto tutti i nemici principali di Israele, soprattutto Yasser Arafat, e avrebbe portato alla spartizione del Libano (con la parte meridionale assegnata ad Israele). Finì in un assoluto e totale disastro: Israele fu per tutti il Golia malvagio che attaccava il Davide libanese, e ne fu per sempre danneggiato a livello internazionale. Il principale alleato di Sharon, il cristiano maronita Bashir Gemayel, comandante militare, ricco erede di una delle più cospicue dinastie maronite, uomo coraggioso, ma anche eccessivamente impulsivo, fu costretto dagli israeliani ad accettare la carica di presidente del Libano. Un eccesso di esposizione. Lui lo sapeva e disse a Sharon: "Se accetto l' incarico, Assad (il dittatore siriano che aspirava anche lui a dominare il Libano ndr.) mi farà uccidere presto".
Avvenne davvero. Gemayel fu ucciso il 14 settembre 1982 in una esplosione, durante una riunione di attivisti cristiani. Già così era un disastro per Israele, ma il peggio avvenne subito dopo. Tra il 16 e il 18 settembre una colonna di falangisti (la fazione cristiana guidata da Gemayel) si scatenò contro i palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila. Ci furono, secondo le varie stime, da 700 a 2000 morti, tutti o quasi civili inermi. L' esercito israeliano in pratica si girò dall'latra parte, fece finta di non vedere, e per Tel Aviv fu una catastrofe, una macchia che non si sarebbe cancellata. Un'altra conseguenza catastrofica fu l'ascesa di Hezbollah, il "partito di Dio" sciita che si ispirava a Khomeini, l'iman iraniano. Gli sciiti nel 1982 in Libano erano nei fatti meno privilegiati rispetto ai musulmani sunniti e ai cristiani. Con l'aiuto finanziario, organizzativo e militare di Teheran, gli Hezbollah ebbero una crescita stupefacente. Anche qui l' invasione israeliana ebbe conseguenze del tutto impreviste: diede la possibilità a una fazione quasi sconosciuta di integralisti di presentarsi agli occhi dei connazionali come difensori eroici del Paese.
Da allora Hezbollah, che si è data una struttura interna di un rigore e di un'efficienza del tutto insoliti in Medio Oriente, è diventata nei fatti il nemico più pericoloso nella regione per Israele. Tanto più che ha l'appoggio intenso dell'Iran. È stato scritto, ed è vero, che Hezbollah "è uno stato nello stato". Negli ultimissimi anni la situazione è però cambiata per molti fattori: una micidiale crisi economica che ha fatto perdere consensi ad Hezbollah, e soprattutto mostrato i suoi limiti; una sia pure limitata diffusione fra i giovani di una cultura più laica e cosmopolita, che fa apparire Hezbollah come il retaggio di un passato lontano. Poi la crisi dell'oscurantismo religioso di Teheran che si è riflessa anche sui suoi protetti e quindi anche su Hezbollah.
Poi c'è stato l'attacco del 7 ottobre che ha messo il Partito di Dio davanti a un grave dilemma: restare fermi, in pratica, fare solo attacchi simbolici a Israele, anche se significa rinnegare il senso della propria esistenza; attaccare decisamente Israele può voler dire però essere letteralmente distrutti. L'esercito israeliano si troverebbe davanti a un compito davvero impegnativo: affrontare un nemico di insolita disciplina. Però è certo che l' esito finale sarebbe la disfatta di Hezbollah, ma al prezzo di tanto sangue di tutti i contendenti e l' incertezza totale su cosa avverrebbe dopo.
E qui siamo alla questione politica che tormenta gli israeliani in queste ore: gli osservatori più ragionevoli ammettono che l'attacco di Hezbollah, per quanto grave (si pensi che i ragazzini drusi erano in età fra gli undici e sedici anni) è probabilmente un evento isolato e occorre mantenere il sangue freddo. Scatenare una vera e propria guerra, che certamente causerebbe tante vittime e potrebbe incendiare l'intera regione, sembra davvero una follia. Oltretutto, si badi bene, mentre è ancora in pieno corso la tragedia della Striscia di Gaza: qui continua l'infinito strazio dei civili, che al di là delle aride quanto impressionanti cifre che denunciano la crudeltà degli attaccanti (circa 39.500 fra i palestinesi, quasi 2000 fra gli israeliani di cui 331 in combattimento) comporta un crescente aumento di antisemitismo in tutto il mondo. Può davvero Israele permettersi un'altra guerra con tutte le sue tragiche conseguenze, quando in realtà non è nemmeno riuscito a concludere la prima? E al di là di ogni fattibilità, che senso ha continuare a far parlare unicamente il linguaggio delle armi, rinnegando ogni tentativo diplomatico?
Gli estremisti israeliani come Ben Gvir (ministro della Sicurezza Nazionale e leader di un partito ultra nazionalista) si sono dati come risposta che se l'intero Medio Oriente brucia sarà un processo positivo. Bisogna sperare che gli israeliani, popolo famoso per la grande cultura e capacità di introspezione, non si lascino trascinare da simili follie.
In mezzo a tutto questo c'è Benjamin Netanyahu. L' uomo coi suoi difetti e pregi, è un opportunista e come tale va compresa la sua alleanza con l'estremismo incarnato da Ben Gvir. È verosimile che darà retta alle voci più ragionevoli e limiterà la rappresaglia di Israele contro Hezbollah ad una serie di attacchi precisi per non scatenare un'altra guerra. Ma se dovesse dar retta agli estremisti in Medio Oriente si scatenerà davvero il "grande incendio".
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