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Resistenza agli antibiotici: sono 12mila i decessi all'anno in Italia

Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi


Se è indiscutibile la necessità di aumentare le risorse da destinare alla sanità, non fosse altro per sostenere i maggiori bisogni derivanti dall’invecchiamento medio della popolazione (fenomeno più accentuato in Italia che non altrove) e per adeguarsi alle innovazioni tecnico scientifiche, minor attenzione catturano gli sprechi e i danni derivanti da un inefficace utilizzo delle risorse sanitarie al punto che praticamente s’ignorano i 12mila morti causati ogni dalla resistenza agli antibiotici, Italia prima in Ue (dati Ecdc-European Centre for Disease Prevention and Control, l’agenzia dell’Unione Europea incaricata di studiare il fenomeno), decuplicando la già drammatica cifra di vittime sul lavoro all'anno (in media 1200).

 

Un problema "dimenticato"

In Europa ogni anno si registrano più di 670 mila infezioni da batteri resistenti agli antibiotici, che causano oltre 35 mila decessi e, di questi, più di un terzo si registrano in Italia, nella quasi indifferenza di tutte le componenti, nonostante l’azione dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che in occasione della Giornata europea per la lotta all'antibiotico-resistenza ha cercato di dare adeguato risalto al problema.

Secondo i dati del rapporto, l'Italia rappresenta il Paese con maggiori criticità sia in fatto di antibiotico-resistenza, sia di consumi di antibiotici: fenomeni strettamente interconnessi in quanto l'uso massiccio di antimicrobici fa nascere super-batteri resistenti agli stessi farmaci e quindi i due aspetti devono essere studiati simultaneamente. Nel nostro Paese nel biennio 2022-23 sono stati 430 mila le persone ricoverate in ospedale che hanno contratto un'infezione durante la degenza, l'8,2% del totale dei pazienti contro una media Ue del 6,5%. Peggio di noi con l'8,9% solo il Portogallo, ma che avendo una popolazione più giovane della nostra e risulta meno suscettibile. L'Italia è in testa alla classifica anche per l'uso di antibiotici: vengono somministrati al 44,7% dei degenti contro una media europea del 33,7% con un impatto sull’occupazione dei posti letto e con un costo diretto che raggiunge i 2,4 miliardi di euro l'anno, cui occorrerebbe aggiungere i costi delle disfunzioni provocate dal dover gestire questi pazienti a rischio (cifra analoga a quella oggetto di tante polemiche sull’aumento della spesa sanitaria, ma assolutamente trascurata dai mass media). Il trend è in crescita anche nella popolazione: il 35,5% delle persone ha ricevuto almeno un antibiotico negli ultimi due anni, contro il 32,9% del periodo 2016-17: o gli italiani sono geneticamente diversi, o abbiamo consolidato cattive abitudini!

Le dimensioni del fenomeno sono tali per cui non è più sufficiente sperare nell’introduzione di nuovi antimicrobici in grado di aggirare le resistenze batteriche, ma occorre affrontare il problema in termini politico-sociali.

 

La preoccupazione per i possibili sviluppi

Già definita dall'Oms la come una delle grandi emergenze sanitarie) a preoccupare è il trend del fenomeno che, se non sarà interrotto, nel 2050 potrebbe diventare la prima causa di morte in Italia superando le malattie cardiovascolari e i tumori. Causa principe di questa anomala "pandemia” è il non appropriato consumo degli antibiotici usati come panacea di tutti i mali e come tranquillizzante placebo delle ansie sempre più isteriche verso i problemi di salute da parte dei cittadini. Nelle mappe europee relative alla distribuzione dei batteri resistenti in Europa, l'Italia detiene, insieme alla Grecia, il poco invidiabile primato per diffusione di germi "resistenti" e ciò obbliga una serie di riflessioni sia di carattere clinico che economico a difesa del cittadino, paziente e contribuente, che rischia di essere doppiamente vessato: ci rimette in termini di salute e ne deve pure sopportare indirettamente il costo per la gratuità della distribuzione dei farmaci che impatta inesorabilmente sulla pressione fiscale per sostenerla. 

La silente diffusione delle infezioni batterico-resistenti dipende da più di fattori, non ultime le difficoltà per l'industria ad investire adeguate risorse nella ricerca di nuovi antibiotici, ma la causa maggiore rimangono la facilità con cui vengono prescritte e consumate. Sarebbe necessaria una campagna del tipo “non è necessario intossicarsi per un semplice raffreddore”, ma questo probabilmente coinvolge troppi interessi e abitudini. 

Il problema è delicato, perché decisioni sbagliate possono ulteriormente aggravare la situazione, ma ciò da cui non si può prescindere è una presa di coscienza della gravità del fenomeno a tutti i livelli decisionali, compreso il comportamento individuale spesso spinto ad assumere comportamenti irrazionali.

 

Regione che vai, antibiotico che trovi...

Notevole è la variabilità dei consumi a livello di Paesi OCSE, ma a stupire sono anche le differenze regionali nei consumi a carico del Ssn, che sono maggiori al Sud rispetto al Nord e al Centro.

Nelle regioni del Mezzogiorno si riscontra una predilezione per l'utilizzo di antibiotici di seconda scelta. Al di là della prevenzione in ambito ospedaliero, molto c'è ancora da lavorare nell'ambito dell'appropriatezza prescrittiva. Perché la diffusione dei batteri resistenti agli antimicrobici è indicata dall'Oms come una delle grandi emergenze sanitarie che nel 2050 potrebbe provocare oltre 39 milioni di morti nel mondo.

Maggiore responsabile è il Servizio sanitario nazionale che distribuisce il 76% delle dosi utilizzate (e quasi il 90% degli antibiotici sono rimborsati in regime di assistenza convenzionata), ma significativi sono anche gli acquisti effettuati da privati e quindi più difficilmente controllabili. La classe a maggior consumo (36% dei consumi totali) si confermano le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi, seguiti dai macrolidi e dai fluorochinoloni.

Se si esamina il fenomeno per fasce di età si rileva come la prevalenza nell'uso di antibiotici aumenta con l'avanzare dell'età, raggiungendo il 60% negli over 85, mentre nella popolazione pediatrica i maggiori consumi si concentrano nella fascia di età compresa tra 2 e 5 anni, in cui circa 4 bambini su 10 hanno ricevuto nell'anno almeno una prescrizione di antibiotici. Con queste varianze, difficile dire qual è la soluzione giusta: certamente non lo possono essere tutte quante.

 

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