Punture di spillo. Torino: soldi in banca tanti, ma di pochi... così la povertà diventa di molti
- a cura di Pietro Terna
- 2 lug
- Tempo di lettura: 5 min
a cura di Pietro Terna

L’arcivescovo di Torino ha disturbato i sonni tranquilli di un po’ di torinesi, ancor più tranquilli dei loro sogni, tranne quando si parla dei loro soldi.
Il cardinale Roberto Repole ha realisticamente affermato[1] che «non si può certo pretendere che i proprietari di patrimoni investano senza prospettive di reddito adeguato, ma allora bisogna convincerli, bisogna portarli dalla parte della città. Il problema è una città che non riesce a convincerli. Torino ha immense sacche di povertà, ma paradossalmente è anche la terza città d’Italia per numero di famiglie benestanti, che l’anno scorso hanno incrementato i patrimoni privati di un altro +6%: 76 miliardi di euro sono chiusi nelle banche». Un ragionamento complesso che ha ricevuto risposte semplicistiche, ad iniziare dalla discussione sui miliardi che sarebbero non chiusi nelle banche. In risposta a una verità lampante come quella espressa virtualmente dal pulpito, tutto serviva tranne una lezione di tecnica bancaria.
Proviamo a ragionare del problema reale: indicando che i miliardi dei torinesi ricchi stanno chiusi nelle banche l’arcivescovo non si stava occupando di dettagli tecnici, avrebbe anche potuto dire che i miliardi sono nascosti nel materasso, come si racconta si facesse un tempo… La realtà è che quei miliardi sono per lo più impiegati molto lontano da Torino e anche dall’Italia. Ben s’intende, legalmente. Le banche raccolgono denaro in modo diretto, con i depositi, e indiretto, con la gestione dei patrimoni attraverso i fondi di investimento, propri o di altri.

La "direzione" dei grandi patrimoni
I ricchi veri non hanno bisogno di conservare liquidità in banca, ma se lo facessero l’impiego dei loro depositi avrebbe la stessa destinazione dei depositi di tutti: per una parte, finanziamento delle imprese e delle famiglie che si indebitano, generando in un modo e nell’altro anche attività economica; per la parte preponderante, sottoscrizione del debito pubblico, che certo consente anche attività pubbliche, ma solo indirettamente ha ricadute sul territorio. La gestione dei grandi patrimoni va alla ricerca dei migliori rendimenti, e di rischi controllati, in giro per il mondo intero. Se poco è impiegato in Italia, e ancor meno a Torino, è anche colpa dei produttori che non quotano in borsa le loro aziende e non emettono obbligazioni. Fine della lezione di tecnica bancaria.
Aggiungiamo solo che dal punto di vista del risparmio, come quota annuale del prodotto che non corrisponde a consumi, anche l’Europa nel suo insieme non brilla. Un’analisi recente del Fondo Monetario Internazionale[2] inizia affermando che «L'Europa ha molti risparmi ma non abbastanza investimenti. Un'unione dei risparmi e degli investimenti – un mercato finanziario paneuropeo che mobiliti e renda disponibili i risparmi per gli investimenti in tutta l'Unione Europea – è parte di un rimedio a lungo termine». Considerazione a sé: l’FMI sta via via riprendendo autorevolezza, dopo le critiche dovute alla rigidità di molti interventi che non tenevano conto dei problemi specifici dei paesi in difficoltà, richiedendo politiche di austerità mal disegnate come precondizione per gli aiuti finanziari. Ora, tra le istituzioni internazionali, è la più indipendente da Trump.[3]
Città industriale, orfana dell'auto
Torniamo a Torino e ai patrimoni distratti. Non scrivo dormienti, altrimenti qualcuno mi corregge indicando che per i loro proprietari non dormono, proprio per nulla. Spesso sono patrimoni frutto di capacità imprenditoriali preziose e quindi sono delle risorse ancora più importanti, perché la città ha bisogno di menti creative che possano agire, sorrette in primo luogo da risorse proprie, con celerità e sicurezza avviando nuove attività: imprese anche di dimensione inizialmente contenuta, ma con l’obiettivo di crescere.
Non mancano nuove attività a Torino, ma sono ancora poche rispetto al problema di una città cresciuta a dismisura nei 40 anni in cui l’auto era obiettivo industriale prioritario e che ora si confronta con il fatto che quella produzione non c’è più. Resta uno spazio economico – da raddoppiare con le due corone di comuni che circondano Torino – che non produce sufficiente ricchezza per i suoi abitanti; ricchezza da scambiare sotto forma di flussi di merci e servizi in entrata e in uscita con la realtà economica esterna, regionale, nazionale o sovranazionale.[4] Creare nuove attività, da parte di chi ne ha la capacità, e ancor più se possiede il capitale per farlo, è un atto di generosità che ritorna moltiplicato in termini di benefici individuali e collettivi.

Afferma l’arcivescovo, e la frase è passata sotto silenzio, che «Il problema è una città che non riesce a convincerli». È indubbiamente un punto centrale cui devono concorrere unitariamente istituzioni locali politiche ed economiche, associazioni di imprese e di lavoratori, fondazioni, grandi banche (una): investire a Torino è un buon affare e per chi ha grandi patrimoni è anche una restituzione a chi quella ricchezza ha contribuito a formarla, con il lavoro di una città per tanto tempo grigia e sempre operosa qual è la nostra.
Le persone pronte a lavorare nelle nuove attività, giovani e meno giovani,[5] non mancano; non mancano neanche gli spazi fisici ed economici per nuove iniziative, dalle attività avanzate a quelle più tradizionali. Non pensiamo solo ai grandi comparti innovativi, ma anche alla miriade di attività interstiziali necessarie alla complicatissima macchina dell’economia. Occorre cambiare completamente visione e prospettiva, come ci aiuta a fare il nostro Baccelliere di musica[6] che arriva puntuale alla fine di ogni spillo.

Fred, l'esuberante torinese
Il proletariato senza prole è una delle contraddizioni del nostro tempo. Come gli investimenti remunerativi che non creano sviluppo. Forse i due aspetti sono collegati. Da un lato si fanno meno figli e la popolazione invecchia e diminuisce. Dall’altro i soldi creano soldi, ma non benessere. Accrescono ricchezze per pochi e non creano una base stabile collettiva di crescita. E come si possono fare figli in questa situazione! Torino non è più la città che cantava Antonello Venditti[7] oltre quarant’anni fa, non è più “prigione di questa Italia bella del golfo”, ma è ancora “malata di malinconia”. È una città industriale che ha abbandonato l’industria. O, meglio, ne è stata abbandonata. È più bella e meno grigia. Ma paradossalmente meno capace di includere. Dalla città in cui si approdava per lavorare e trovare una nuova dimensione, ora si parte. Lo fanno soprattutto i giovani. Tutto quello che sembra a portata di mano, lo struscio di via Roma, il Monte dei Cappuccini, Superga, è inafferrabile ai più. Si guarda ma non si tocca. Amaramente.
Ha ragione il Cardinale Repole, figlio di quell’immigrazione. Occorrerebbe una sferzata. Ce la può dare uno che questa città la conosce bene, Willie Peyote.[8] Se invece cerchiamo una consolazione possiamo trovarla andando indietro a un altro torinese come Fred Buscaglione. Uno che in tempi depressi andrebbe recuperato. Aveva lo spirito del torinese estroverso, che dava l’idea di esagerare, ma senza prendersi sul serio. Le sue erano iperboli che tracciavano curve forti e delicate.[9] Un rimedio contro la malinconia. Che pensasse profeticamente (e ironicamente) anche a Torino quando cantava "eri piccola, piccola, piccola, così!". Ora come allora, grazie Fred.[10]
Note
[1] Ad esempio, vedere https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/25_giugno_24/il-cardinale-repole-alla-messa-di-san-giovanni-torino-tiene-i-soldi-in-banca-e-le-aziende-se-ne-vanno-bd1942df-a1d7-4835-a8fc-5eddb75b6xlk.shtml
[2] «Europe’s elusive savings and investment Union», che si può tradurre «L'inafferrabile Unione Europea del risparmio e degli investimenti» a https://www.imf.org/en/Publications/fandd/issues/2025/06/europes-elusive-savings-and-investment-union-ravi-balakrishnan?cmid=51e56e5f-1600-4727-9718-a9172589b744
[3] L’IMF, International Monetary Fund, si autofinanzia, vedere https://www.imf.org/en/Blogs/Articles/2025/06/25/explainer-how-the-imf-finances-itself-and-why-it-matters-for-the-global-economy?cmid=51e56e5f-1600-4727-9718-a9172589b744, e Trump sa di averne bisogno, vedere https://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/imf-is-a-good-deal-for-the-us-trump/
[5] Sui meno giovani vedere https://www.neodemos.info/2025/07/02/anziani-ritorno-al-lavoro/
[6] Ogni tanto ricordo che è una persona reale, non un mio pseudonimo (io sono Galeno, qui nella Porta di Vetro). Il Baccelliere, con il suo nome nome de plume fa il verso a Guccini.
[8] https://youtu.be/VMDWflLbJzc?si=BqspfPzUbAMyqVhI e https://youtu.be/ujL_joMVSP4?si=9bs4xRYmZEQFSbcV
[9] e la sua parabola fu troppo breve.













































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