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Punture di spillo. Soldi pubblici ai partiti: luoghi comuni e moralità e chiarezza perdute

a cura di Pietro Terna

a cura di Pietro Terna


La legge del 2 maggio 1974 n. 195 (cosiddetta legge Piccoli)[1] introdusse in Italia il finanziamento pubblico dei partiti. Il 26 novembre 2024, poco più di 50 anni dopo, un’operazione assai maldestra del governo e dell’opposizione ha tentato di dare maggior consistenza al flusso di denaro pubblico verso i partiti, oggetto di alterne fortune in quel mezzo secolo.

Maldestro perché, al di là delle tecnicalità, mai il presidente Mattarella avrebbe consentito che un provvedimento di tale rilievo fosse introdotto surrettiziamente con un emendamento alla legge finanziaria. Infatti, dalla Presidenza della Repubblica è arrivato immediatamente l’alt a procedere.

Al di là della forma, è opportuno che i partiti siano finanziati a carico dei contribuenti? Abbiamo votato su questa scelta, in modo diretto, ben due volte: con il referendum abrogativo del 1978, che raccolse il 43,6% di consensi, e con quello del 1993, che raccolse il 90,3% di sì. Chi scrive votò entrambe le volte contro l’abrogazione. Dopo il 1993 ci furono infinite metamorfosi del sistema di finanziamento dei partiti, sino al governo Letta e alla abolizione nel 2013, introducendo la scelta volontaria dei contribuenti con la possibilità di assegnare il 2 per 1000 delle proprie imposte al finanziamento di un partito. Nel caso di nessuna scelta, nessun finanziamento. Ora, con l’emendamento, si prevedeva: in caso di nessuna scelta, riparto proporzionale tra i partiti; inoltre, raddoppio del massimale attualmente previsto. Dal 2013 a oggi di ritocchi ce ne sono stati molti, ma nessuno di questo peso.

Il 27 novembre del 1974, quindi 50 anni – meno un giorno – prima della tentata operazione di potenziamento e ripristino dei finanziamenti, Valerio Zanone,[2] liberale, in quel momento ancora minoranza interna nel piccolo partito di cui diventerà segretario due anni dopo, pubblicava sul Sole24Ore, in terza pagina, l’articolo[3] intitolato «Il finanziamento dei partiti – Moralità e chiarezza».

Il PLI era contrario ai finanziamenti pubblici, tanto da proporre un referendum abrogativo già nel settembre del 1974. Scriveva invece Zanone: «In linea di principio, ed in analogia con quanto avviene in altri regimi democratici, è pienamente sostenibile la tesi che i partiti, in quanto formazioni che esercitano direttamente funzioni di rilevanza costituzionale, possano ricevere un sostegno dalle casse dello Stato; e in linea di fatto, era impossibile perpetuare la finzione di bilanci che, pur coperti dal più peloso segreto, notoriamente presentavano un gettito di tesseramento enormemente sproporzionato all'entità delle spese accertabili».

In quegli anni andavo molto frequentemente a Roma: osservando il flusso degli impiegati nel palazzo della DC in piazza del Gesù o in quello del PCI in via delle Botteghe Oscure, era evidente che i bilanci erano assai significativi. Una nota personalissima: nel palazzo di via delle Botteghe Oscure c’era la libreria di Rinascita; al piano inferiore, frugando negli scaffali, avevo trovato i magnifici libri di matematica, utilissimi, delle edizioni scientifiche russe,[4] pubblicati in francese.

Ancora Zanone: «I partiti ad apparato permanente sono una necessità del suffragio universale ed è comprensibile che siano sollevati dall'obbligo della mendicità o dai relativi condizionamenti nell’adempimento di funzioni pubbliche come le campagne elettorali e l'attività nelle assemblee elettive» e aggiungeva «Può darsi che il finanziamento statale non avrebbe suscitato tanta avversione nell'opinione pubblica se si fossero subito mantenuti gli impegni di adeguati interventi per la moralizzazione della vita pubblica». Così non fu e nel 1992 scoppiò Tangentopoli, la cui onda lunga riaffiorerà per molto tempo nelle vicende della nostra politica. Se si potesse riavvolgere il nastro degli eventi al 1974, e darsi carico del doppio imperativo della moralità e della chiarezza, quanti problemi sarebbe stati evitati.

Non si può riavvolgere il nastro della storia – e la metafora forse non è così evidente per le generazioni che non hanno mai usato un registratore a nastro o una musicassetta, ma confido nel loro intuito. Non si può riavvolgerlo, ma si può in ogni momento cercare una nuova strada da percorrere. Serve grande chiarezza e come scrive il nostro piccolo baccelliere di musica, si deve allontanare il fumo dagli occhi

Gli accadimenti seguirono quell’onda lunga di cui si è detto e a buon titolo, nel 2007, due giornalisti del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, pubblicarono[5] un libro inchiesta, nel quale affrontavano diversi aspetti negativi della politica italiana, dall’autoreferenzialità allo spreco di risorse. Gli anni immediatamente successivi hanno visto la nascita, la fortuna e (forse) la caduta del Movimento Cinque Stelle, che proprio sull’utopia di una politica senza costi ha costruito il proprio successo. Successo effimero, specie se accompagnato dall’idea che insieme ai soldi si possa fare a meno della competenza.

La politica costa anche se non spreca. Per questo è meglio che di questi costi si faccia carico un sistema pubblico di finanziamento. Altrimenti qualche lobby potrebbe concedere il proprio sostegno in cambio della prevalenza di interessi privati sul bene comune. Attenzione, dunque, al fumo negli occhi. A proposito, nel 1933, per il musical Roberta, il compositore americano Jerome Kern scrisse Smoke gets in your eyes, su testo di Otto Harbach. Si tratta di un brano che ha avuto molte interpretazioni. Quella dei Platters[6] nel 1958 ebbe grande successo.[7] Bellissima, levigata e a suo modo perfetta. Siccome però il fumo negli occhi può arrivare da qualunque parte, non rinunciamo a concederci di ascoltare la versione cubista di Thelonious Monk (nella foto).[8]

 

Note

[1] Per le date e gli accadimenti della vicenda del finanziamento pubblico dei partiti, si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Finanziamento_pubblico_ai_partiti 

[5] La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, Rizzoli 2007

[7] nel 2019 è stata inserita nella Grammy Hall of Fame


 
 
 

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