Punture di spillo. "Scordatevi le Finanziarie di una volta…"
- a cura di Pietro Terna
- 3 giorni fa
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a cura di Pietro Terna

Il Documento programmatico di finanza pubblica per il 2025 è di piccolo taglio, con maggiori entrate e tagli di spesa per un totale – nel momento in cui scrivo – di 18 miliardi sui circa 1000 del bilancio complessivo. Cerca di dipingere un quadro rassicurante, ma la realtà è che senza i fondi del PNNR arrivati dal Covid saremmo in recessione e che i conti stanno su perché le imposte le pagano soprattutto i lavoratori dipendenti, non per entusiasmo ma… perché c’è il prelievo alla fonte.
Analizziamo il testo del governo e i contributi emersi durante le audizioni di Istat, CNEL, Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), Banca d'Italia e Corte dei conti,[1] con una visione completa delle implicazioni, dei rischi e delle opportunità legate alla manovra di finanza pubblica. I temi includono la valutazione delle previsioni macroeconomiche, la sostenibilità del debito pubblico e l'efficacia delle politiche di bilancio proposte. L'analisi si estende inoltre a considerazioni più ampie su innovazione e investimenti come motori fondamentali per lo sviluppo, traendo spunto da discussioni accademiche (ultimi tre Nobel per l'economia) e da appelli specifici per un aumento degli investimenti pubblici.
Critiche, riserve e lamentele
Il Documento Programmatico di Finanza Pubblica 2025 definisce il quadro delle politiche economiche e di bilancio del governo per il prossimo triennio. È la base della Legge di Bilancio e delinea le strategie in termini di crescita, occupazione e finanza pubblica. Le audizioni però, pur usando linguaggi paludati, convergono sulla mancanza di trasparenza e dettaglio.
La Banca d'Italia critica il fatto che, nonostante le risoluzioni parlamentari richiedessero l’«articolazione delle misure di prossima adozione nell’ambito della manovra di finanza pubblica e dei relativi effetti finanziari», il DPFP si limiti a elencare le misure espansive (come la riduzione del carico fiscale e il rifinanziamento del fondo sanitario nazionale) senza menzionare specifici interventi a copertura. Inoltre, la Banca d'Italia sottolinea che l'identificazione puntuale e la quantificazione delle entrate discrezionali sono cruciali per monitorare il rispetto degli obiettivi definiti dal Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine.
L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) solleva la critica più netta sull'insufficienza informativa, affermando che l’assenza di dettagli sulla manovra e sulle coperture finanziarie impedisce la valutazione dell’impostazione di breve e medio periodo della politica economica. L'UPB auspica anche che vengano fornite maggiori informazioni in merito al profilo delle spese del PNRR e una descrizione più puntuale delle revisioni del conto delle Amministrazioni pubbliche.[2]
La Corte dei conti lamenta che il DPFP non abbia adempiuto alla richiesta parlamentare di fornire un quadro di dettaglio delle misure e dei relativi effetti finanziari della prossima manovra, rendendo carente la definizione dello sviluppo programmatico a livello di politiche di settore.
Il Cnel indica un rischio strutturale insito nel quadro tendenziale (a legislazione vigente), che implica una compressione delle voci di spesa non indicizzate ai prezzi, le quali potranno aumentare la propria dinamica solo con ulteriori provvedimenti di assegnazione di risorse.
L'Istat concentra la sua critica sull'analisi dei rischi esterni, quantificando che un rallentamento del commercio mondiale dovuto, ad esempio, ad aliquote maggiori dei dazi, avrebbe un impatto sul Pil di -0,1 punti nel 2025 e -0,3 punti nel 2026 rispetto allo scenario di riferimento.
La tabella qui riportata riporta la frase più critica, o l'osservazione più rilevante, espressa da ciascuno dei cinque enti consultati:

Senza il PNRR crescita vicina allo zero
Sullo sfondo giganteggia il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[3] (PNRR) che rappresenta il principale motore della crescita economica italiana. Le proiezioni macroeconomiche contenute nel DPFP 2025 mostrano infatti la componente degli investimenti pubblici legati al PNRR costituisce quasi integralmente il contributo positivo al PIL nel triennio 2025-2027. Senza il PNRR, la crescita tendenziale del PIL sarebbe prossima allo zero, o addirittura negativa, a causa del rallentamento della domanda interna soprattutto per la debole dinamica dei consumi privati; gli investimenti privati resterebbero compressi da tassi d’interesse ancora elevati e da un clima di incertezza generale; le politiche fiscali nazionali – orientate al contenimento della spesa netta e al consolidamento dei conti pubblici – non fornirebbero stimoli significativi alla crescita, anzi.
In sintesi, le risorse europee sono il principale argine alla stagnazione: il moltiplicatore – cioè gli effetti derivati – degli investimenti PNRR mantiene viva la domanda aggregata; il settore delle costruzioni e delle infrastrutture pubbliche ne beneficiano direttamente, compensando la debolezza di altri comparti produttivi. Si conferma così la fragilità strutturale dell’economia italiana: la crescita dipende in misura eccessiva da fondi straordinari europei, mentre il contributo della politica economica nazionale resta limitato. Una volta esaurito il ciclo di spesa del PNRR (2026-2027), il rischio è quello di un ritorno a una crescita ancora più bassa, se non si consolidano riforme e investimenti permanenti. Quali investimenti?
Vengono in soccorso i lavori dei vincitori 2025 del Nobel per l’economia.[4] I tre fanno propri (e sviluppano) il paradigma schumpeteriano.[5] Aghion, Howitt e Mokyr hanno costruito modelli e analisi che assumono come centrale il meccanismo schumpeteriano della distruzione creatrice: l’innovazione non è solo un’aggiunta, ma un processo che sostituisce e trasforma le strutture esistenti. Si pensi all’irruzione dell’IA nella società e nell’attività economica in questi anni.
Il presidente della Confindustria Emanuele Orsini ha chiesto interventi per un incremento degli investimenti. L'urgenza è certamente quella di destinare risorse a infrastrutture materiali e immateriali, considerandole non come semplice spesa, ma come un fattore cruciale per la competitività e la crescita futura del Paese. Mia considerazione: non solo infrastrutture però, ma anche prodotti e modi di produrre con un ruolo per la programmazione e anche per la domanda pubblica.[6]

L'innovazione secondo Ravel e Davis
Per finire, il nostro baccelliere di musica ci ricorda che un politico della prima Repubblica – non uno qualunque ma il protagonista di quegli anni – sosteneva che fosse meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Se l’alternativa è questa è difficile dargli torto. A forza di tirare a campare si rischia però di trovarsi senza neanche accorgersene nel lungo periodo di Keynes – tutti morti. Quindi la strada dell’innovazione è quella da preferire. Servono coraggio e prudenza in egual misura. L’innovazione segue molte strade. Prendiamo due esempi musicali come Maurice Ravel (1875-1937) e Miles Davis (1926-1991). Quest'ultimo era scorbutico. In certi periodi della sua carriera suonava spalle al pubblico. Era rude anche con i suoi stessi musicisti ma guardava avanti. Al punto da mettere in discussione la sua stessa musica, prima il bebop, poi il cool jazz e l’hard bop e infine il jazz rock, la black music, l’elettronica, l’hip hop. Non aveva paura di prendere. Da Charlie Parker e da John Coltrane. Da James Brown e da Prince. Qui viene il difficile: trovare un solo brano che lo rappresenti.
Ne scegliamo due: So What[7] dal capolavoro Kind of blue del 1959 e In a silent way,[8] dall’album omonimo, prologo sontuoso al Davis elettrico. Quanto a Ravel, incarna la precisione, la ricerca. La sua è un’innovazione strutturata, mascherata da un’apparente classicità nella quale armonia, ritmo e dinamiche scardinano le regole. Metodo e rigore ci regalano una musica nuova, distante da certo ottocento quanto Davis lo sarebbe stato da Armstrong. Ascoltiamo una meraviglia, la Pavane pour une infante defunte,[9] che Ravel scrisse per piano solo a venticinque anni e orchestrò dieci anni dopo. Non si tratta dell’opera che Ravel stesso amò di più, ma vale la pena di un ascolto raccolto. Fra l’improvvisazione di Davis e le strutture architettoniche di Ravel, la dicotomia fra libertà e organizzazione ci riporta ad un equilibrio dinamico in cui lavoro e creatività si sintetizzano in capacità di evolvere.
Alla faccia del Documento programmatico di finanza pubblica.
Note
[1] Le fonti: Documento programmatico di finanza pubblica 2025 https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1475851.pdf
Ufficio parlamentare di bilancio
Banca d'Italia
Corte di conti
[2] Il prospetto contabile che aggrega le entrate e le uscite di tutti gli enti (centrali, locali e di previdenza) che fanno parte della Pubblica Amministrazione.
[6] Mi permetto di citarmi, richiamando lo spillo del 25 settembre, a https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-con-l-ia-chi-decide-il-privato-per-tutti
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