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SETTIMANA FINANZIARIA. Ferrari, ora è guerra in GB

a cura di Stefano E. Rossi

 

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Il Regno Unito alza le tasse ai ricchi e noi… gli mandiamo meno Ferrari. Non è una ripicca infantile, sottende oculati calcoli economici. C’è chi ha già deciso di andarsene dal Paese per le tasse, stigmatizza Benedetto Vigna, il CEO della casa automobilistica italiana. Colpevoli, a suo dire, sono le modifiche dello scorso aprile alla non-dom tax, il regime fiscale per gli stranieri residenti in UK sui redditi percepiti all’estero. Prima dell’entrata in vigore del provvedimento, era sui capitali più elevati che si riversavano i maggiori benefici per il trasferimento di residenza. Adesso, analizzando i dati di vendita già scesi a 940 unità, dalle 983 dell’anno precedente, Ferrari ha risposto alle nuove politiche fiscali con un taglio alle esportazioni. L’intento dichiarato è quello di mantenere alto il livello dei prezzi usando la leva della scarsità di prodotto. Seguendo le regole canoniche della domanda e dell’offerta, il calcolo è… elementare, Watson!


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Ogni venerdì negli Usa c’è una consuetudine: la diffusione del Job’s Friday report da parte di BLS, il Bureau of Labour Statistics. Ma qualcosa si è spezzato. L’ufficio di statistica americano non lo emette da un mese. Le porte del palazzo sono sbarrate e un cartello informa dell’interruzione del flusso dei fondi federali. È lo Shutdown (crisi di liquidità) degli Stati Uniti, che non si interrompe e incomincia a preoccupare seriamente tutti gli analisti. Sta minando l’economia statunitense, che si era già indebolita per i riflessi indiretti dei dazi e per le tante incertezze, causate dalle ondivaghe dichiarazioni della Casa Bianca.

Due sono gli effetti più evidenti dello shutdown prolungato. L’assenza di dati statistici, sui quali si basano molte istituzioni, come la Federal Reserve, per prendere le proprie decisioni e la sospensione delle paghe dei dipendenti federali. Centinaia di migliaia di persone sono a casa senza stipendio. I loro uffici sono stati chiusi, non si sa quanto a lungo. Ma i riflessi non si limitano solo a un temporaneo risparmio per le casse dell’Unione. Si riverberano sui consumi delle famiglie e sui debiti, a rischio insolvenza, contratti in tempi non sospetti da questi dipendenti pubblici.


Morningstar promuove l'Italia, ma gli stipendi restano bassi

Il governo italiano raccoglie l’ennesimo riconoscimento internazionale. Morningstar ci promuove, alzando il rating da BBB+ ad A-. Il merito va riconosciuto alle accortezze di bilancio del ministro Giorgetti. Una settimana fa ci aveva giudicato Standar & Poors, confermando il rating BBB+.  Fra un mese sarà la volta di Moody’s. Nel frattempo, a riportarci con i piedi per terra, l’ufficio UE di statistica ci pone nella parte bassa della classifica dei Paesi Ocse per difesa del potere d’acquisto degli stipendi. Le retribuzioni nette degli italiani sono sotto di circa il 15% rispetto alla media UE. Poveri ma virtuosi, verrebbe da commentare. Ma sull'argomento il presidente della Repubblica Mattarella non è stato tenero ieri nel denunciare le diseguaglianze tra gli stipendi ai manager e quello ai dipendenti, fino ai precari.

Il dollaro contro l’euro si apprezza un poco rispetto alla scorsa settimana e chiude a 1,165. Inarrestabile invece è l’oro, che arriva fino a 4.380 dollari l’oncia, per poi ripiegare a 4.252. Questo prezzo, pone non pochi problemi al settore orafo e non pochi interrogativi sulla visione di chi ne sta facendo incetta. Petrolio: resta ancora giù, 61,38 dollari al barile. Anche le criptovalute continuano a scendere (Bitcoin -3%).


Venerdì nero per i titoli bancari

A Piazza Affari è un venerdì 17 in piena regola. Si è chiusa così, alla bell’e meglio, la seconda settimana consecutiva in perdita alla Borsa di Milano. Stavolta tutto è partito dall’America. Ma, ripensandoci, poteva andare anche peggio. Lo spavento, all’apertura delle borse europee di venerdì 17, ha riportato alla memoria a tutti gli istanti della crisi per i finanziamenti subprime e il fallimento di Lehman Brothers. È successo che due banche regionali, Zions Bancorp e Western Alliance Bancorp, sono finite sotto osservazione per la qualità del credito concesso a grossi gruppi industriali ora insolventi.

Il settore che ha contagiato le banche, obbligandole a pesanti svalutazioni dei crediti, è quello dell’auto. Le contromisure sono state diverse. In un caso si è ricorso a una drastica svalutazione dei crediti, nell’altro sono state denunciate le frodi da parte dei debitori. Ma ad affiorare c’è anche il fronte delle rate sui mutui immobiliari oggetto di moratoria, cioè posticipate al futuro. Ammonterebbero a centinaia se non migliaia di miliardi di dollari e porrebbero un rischio di crisi di liquidità che non risulterebbe avere precedenti.

Si dice però che il fenomeno, tutto americano, non dovrebbe riguardarci. Infatti, dopo un breve scossone di borsa, il film del 2008 non si è ripetuto. Ma, per precauzione, sarebbe opportuno chiarire anche in Italia, chiedere informazioni a chi sa qualcosa di più sul meccanismo nostrano dei pagamenti a rate. È divenuto nei fatti obbligatorio per l’acquisto di alcuni beni, come ad esempio per comprare le auto. Chi sa parli per tempo e sia esplicito prima di scoprire che è troppo tardi per rimediare.

La manovra di bilancio preannuncia un contributo pluri miliardario per le casse dello Stato a carico delle banche e delle assicurazioni. Undici miliardi e mezzo di euro in tre anni. Non sono noccioline, risultato: se ai titoli finanziari non bastava il venerdì nero, ci pensa il governo ad affossare, in chiusura di settimana, le loro quotazioni. Sono tutte negative, senza possibilità di appello. Da Banco Bpm (-5,17%) a Unipol (-3,62%), non se ne salva una. E anche se tutti sanno che le banche e le assicurazioni pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, anzi, probabilmente proprio per quello, si va all’assalto dei loro forzieri.

Per dovere di corretta e completa informazione, bisogna solo ricordare un paio di cose. Per primo, che gli istituti di credito non competono solo sul mercato italiano. Infatti i concorrenti europei sorridono, specialmente quelli come la tedesca Commerzbank, sotto attacco da parte di Unicredit, o Credit Agricole, interessata a Banco Bpm, che finora giudicava un po’ troppo cara. E, poi, ricordiamoci che quando si rende meno efficiente un sistema bancario, si compromettono le potenzialità di crescita di un’intera economia. A dire il vero, delle banche, molte persone e diversi imprenditori pensano di poter fare a meno. Ma, in misura più o meno marcata, un po’ tutti ne dipendiamo.

La pace fa male a Leonardo. In dieci giorni, dopo il 7 ottobre, il titolo è sceso del -14,75% e anche i colloqui sull’Ucraina sembrano andare nella giusta direzione, quella di deporre le armi, come sollecita il presidente americano sia nei colloqui telefonici con Putin, sia nell'incontro diritto con Zelensky. Forse dovremmo accontentarci di aver visto quintuplicare il valore dell’azione negli ultimi tre anni (+554,42%). Ma Leonardo non si occupa solo di armamenti, anche di aerospazio. Nuove sfide che la dirigenza, come in passato, dovrà cercare di valorizzare in modo parimenti adeguato.

 

Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.

I Tori: Telecom +6,78%, Campari +6,42%,

Gli Orsi: Leonardo -9,07, Nexi -6,87%.

FTSE MIB: -0,69% (valore indice: 41.758).

 

I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.

 

 

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