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Punture di spillo. Le macchine tra noi, ma anche per noi?

Aggiornamento: 1 giorno fa

a cura di Pietro Terna

 

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A fine luglio,[1] annunziando la sospensione estiva delle punture di spillo, citavo la causa più sicura della imminente svolta dalla crescita alla decrescita dell’economia – e cioè il crollo demografico prevedibile anche per le aree più popolose del pianeta – e annotavo che dobbiamo parallelamente cancellare la divisione tra sfruttati e sfruttatori, locale e nella dimensione mondiale. Alla domanda su chi produrrà i beni necessari o utili o desiderabili per tutti, rispondevo: le macchine. Le macchine di chi? Di Trump, di Xi Jinping, di Mark Zuckerberg, di Jeff Bezoz… Concludevo: ne riparleremo in autunno, con la mente meno oppressa.

Eccoci, anche se l’autunno non è ancora iniziato e la mente è forse ancora più oppressa dai tanti cambiamenti che stanno sconvolgendo il Mondo. Questo spillo esce l’11 settembre, data che ci ricorda gli attacchi terroristici avvenuti negli Stati Uniti nel 2001, con l’emblema della tragedia delle Torri Gemelle a New York, e il colpo di Stato in Cile nel lontano 1973, in cui venne ucciso il legittimo presidente Salvador Allende. Non è di buon auspicio, ma proviamo lo stesso a guardare avanti e a ragionare di macchine.


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Sempre più IA nel quotidiano

Non pensiamo alle macchine meravigliose del dio Efesto (per i Romani, Vulcano) che nell’Iliade si serve di tripodi semoventi e ancelle d’oro animate, ma agli strumenti che stanno invadendo il nostro mondo quotidiano. In tante forme, enormi, grandi, piccole, microscopiche, agiscono intorno a noi in ogni momento. Soprattutto, come i tripodi di Efesto e le sue ancelle, sono intelligenti. Con il 2022, quando a novembre è comparsa la prima versione di ChatGPT, è cambiato tutto: sequenze di parole ordinate da reti neurali artificiali esprimono pensieri! Magia della matematica: per il calcolo delle connessioni di una rete neurale artificiale hanno lavorato grandi nomi, tra cui Geoffrey Hinton,[2] Nobel 2024 per la Fisica, ma prima di tutti il padre del calcolo differenziale, che sta alla base di tutto: Leibniz.[3]

Anche le macchine-robot hanno tratto vantaggio da quell’accelerazione dell’intelligenza artificiale, da Amazon che usa più robot che persone nei suoi magazzini[4] a chi produce automobili al ritmo di una ogni 76 secondi.[5] Il filmato richiamato nella nota è impressionante, ma ancora di più lo è la domanda: a quel ritmo di produzione e senza lavoro retribuito che contribuisca al prodotto, chi le compera quelle auto? Una stima: un robot umanoide da 5 dollari/ora può fare il lavoro di due persone da 25 dollari/ora e non solo in compiti da fantascienza o quasi, ma compiendo operazioni apparentemente semplici, in modo perfetto e rapido: costruire un muro,[6] posare il sottofondo e il massetto[7] di un pavimento… Alcuni di questi attrezzi sono in vendita, ancora a prezzi elevati, ma accessibili.


Dallo schermo al corpo

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Con i robot umanoidi entra in gioco la sfida del corpo: attribuirne uno all’intelligenza artificiale, problema rilevantissimo. Con il corpo, una IA passa dall’essere un’intelligenza puramente cognitiva (un software che risponde a domande su uno schermo) a costituire una intelligenza incarnata che percepisce, agisce e interagisce nel mondo fisico o simulato. Siamo ai primi passi, ma quel che si è visto alle recenti olimpiadi[8] dei robot è già piuttosto impressionante e mi ha molto stupito che ci siano stati osservatori che hanno messo in ridicolo quei risultati o biasimato tutta l’operazione.

La presenza fisica rende l’interazione con l’IA più naturale e intuitiva. Un corpo consente inoltre di svolgere attività pratiche, dalla manipolazione di oggetti al movimento nello spazio, aprendo possibilità di utilizzo in ambito domestico, industriale e assistenziale. L’incarnazione permette anche un apprendimento più realistico: partecipando a esperienze concrete, l’IA acquisisce conoscenze che resterebbero astratte, come equilibrio, peso o resistenza. In campo sociale e sanitario, robot intelligenti possono aiutare persone fragili o anziane, fornendo compagnia o aiuto quotidiano. Infine, un corpo rende possibile impiegare le IA in missioni rischiose, ad esempio in ambienti ostili come zone di disastro, fondali marini o lo spazio, sostituendo gli umani dove non è sicuro intervenire. Certo, emergono rischi molto importanti. Corpi robotici mossi dall’IA possono essere trasformati in armi autonome, con conseguenze gravissime per la sicurezza globale.

Non serve mettere metaforicamente le testa sotto la sabbia. Il cambiamento investirà tutto il mondo: USA, UE, Cina, India, America Latina, Africa, la ripartizione del reddito e la povertà, ma anche il possibile riequilibrio dopo più di due secoli di dissesti causati da azioni predatorie in tutti gli ambiti e luoghi.

Questa provocazione richiede molte risposte e il prossimo spillo proverà a elencare un insieme di considerazioni su cui riflettere, dalla dimensione mondiale ai problemi di casa nostra, in Piemonte e a Torino. Le due immagini che accompagnano il pezzo, generate dall’IA, rappresentano due visioni ben diverse di un disegno però profondamente squilibrato. Da lì occorre iniziare una riflessione.

 

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Sulle note di Wayne Shorter

Intanto ci affidiamo al nostro musicista, cioè al personaggio che ogni settimana conclude la puntura di spillo e ha una rubrica nella Porta di Vetro; citando Guccini,[9] usa il nom de plume di baccelliere di musica; piccolo, precisa lui sempre richiamando il Maestro; grandissimo, dico io. Eccolo.

Il peso sempre maggiore assunto dalle macchine, intese come portatrici di quell’automazione destinata a prendere il posto del fattore umano, ci spinge a ragionare sulle nostre prospettive. Su quello che attende noi e le generazioni future. Il quadro sembra preoccupante. Perché fino ad ora le macchine sono state proprietà di qualcuno. Strumento per far salire la curva tendenziale del profitto di pochi anziché favorire il benessere della generalità. Un pericolo, non c’è che dire. La più recente versione delle macchine, quella che le innerva e le potenzia attraverso gli stupefacenti progressi dell’intelligenza artificiale, ci mette in una condizione di sudditanza nei confronti della macchina stessa. L’umanità, stretta fra i propri errori come in una morsa, somiglia ad una specie in via di estinzione. Alle specie in via di estinzione il grande Wayne Shorter ha dedicato Endangered species,[10] brillante pezzo contenuto nel disco Atlantis, pubblicato a metà degli anni Ottanta. Un’epoca tutto sommato spensierata, passata alla storia come l’era dell’edonismo reaganiano. Qualche pericolo però c’era anche allora. Shorter è stato un grande saxofonista e un compositore con la rara capacità di assemblare i suoni. Come improvvisatore ricorda l’alpinista avventuroso, che non si accontenta ma cerca vie nuove per salire la stessa montagna, altri modi per guardare gli stessi paesaggi. Le frasi musicali, le montagne e, perché no, anche le macchine andrebbero guardate da prospettive diverse.


Note

[1] Punture di spillo. Futuro incerto tra decrescita, guerre e follia dei dazi in un mondo che invecchia, https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-futuro-incerto-tra-decrescita-guerre-e-follia-dei-dazi-in-un-mondo-che-invecchia 

[8] Intanto, sullo sfondo un montaggio da https://www.youtube.com/watch?v=5Y-tElcmJVE senza copyright

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