Patricia Highsmith, anima noir tra le montagne del Ticino
di Marco Travaglini

La ferrovia Domodossola-Locarno (la Vigezzina, per chi sta in Italia, per gli svizzeri la Centovallina) è una linea ferroviaria internazionale a scartamento ridotto che collega il capoluogo dell’Ossola con la terza città più grande del Canton Ticino, a nord del lago Maggiore. Per i 52 chilometri dell’intero percorso (dei quali poco meno del 40% in territorio elvetico) occorre un po' di tempo, circa un’ora e mezza, ma si tratta di un viaggio affascinante, tra ponti e arditi viadotti, immersi nei bellissimi boschi della piemontese Vigezzo e delle Centovalli ticinesi.
Nella parte finale del viaggio verso Locarno, in lieve discesa costeggiando il torrente Melezzo (la Melezza, per i rossocrociati), a metà tra la fermata di Verscio e la stazione di Ponte Brolla con le magnifiche gole rocciose del fiume Maggia, s’incontra Tegna. Qui la ferrovia sfiora il piccolo e ordinato cimitero dove è sepolta la scrittrice americana Patricia Highsmith, autrice di memorabili romanzi.
La regina americana del giallo, autrice di ventidue romanzi e sette novelle, dopo aver lasciato gli Stati Uniti e al termine di un lungo peregrinare in Europa, bisognosa di tranquillità per pensare e scrivere, scelse il piccolo paese del Ticino, abitandovi per 14 anni fino alla morte che la colse a settantaquattro anni, il 4 febbraio del 1995, all’ospedale regionale “La Carità” di Locarno.

Tra le più grandi autrici noir e thriller del ventesimo secolo, la Highsmith era nata nel 1921 in Texas. Incontrò giovanissima il successo quando il suo primo romanzo – Strangers on a train, in Italia Sconosciuti in treno, del 1949 – fu scelto da Alfred Hitchcock che girò il film L’altro uomo, uno dei suoi capolavori. Scrisse anche Ripley’s game che ispirò Der amerikanische Freund di Wim Wenders nel 1977 e Il talento di Mr. Ripley (titolo italiano, 1999) con Matt Damon e Jude Law.
Con la Svizzera, nel tempo, maturò un rapporto di grande fiducia al punto di lasciare agli Archivi letterari svizzeri più di 250 testi inediti e far gestire i diritti mondiali di tutta la sua produzione letteraria dall’editore elvetico Diogenes. Affascinata dalla durezza della pietra e dalla natura selvaggia del posto, in sintonia con il suo carattere appartato, difficile e scontroso, per nulla incline alla mondanità, Patricia Highsmith a Tegna visse nella casa che aveva immaginato, disegnato, progettato e costruito esattamente come desiderava.
La giornalista Natalia Aspesi, dopo averle fatto visita nel 1987, descrive l’incontro con Highsmith con dettagli molto crudi, parlando di un casolare “buio e punitivo, dalle finestre con le sbarre, dove vive con bottiglioni di birra sul tavolo e due gatti siamesi malaticci, mentre le galline razzolano in cucina”. Geniale e senza regole, un poco trasandata, dedita all’alcol, cercò di avere meno contatti possibile con la gente del posto, a parte qualche rara amicizia. Nonostante avesse deciso di vivere nell’ombra, i suoi occhi a mandorla sapevano leggere la realtà con impressionante lucidità.

Tra le tante cose che scrisse, sollecitata dal quotidiano francese Le Monde, c’è anche una breve storia ambientata in Ticino, A long way form hell (Una lunga strada dall’inferno). Una storia insolita per l’autrice di Acque profonde e I due volti di gennaio, dove si narra del viaggio epico di Luigi Barta, contadino ticinese del XIX secolo, dal suo paese di Riato (in realtà Lodano, in Val Maggia) a Lugano e ritorno. Un lungo cammino dall’inferno, come recita il titolo del racconto, che è però anche uno splendido affresco del Ticino di un tempo: le valli, la gente, le città, la cultura rurale. Una storia che finisce bene, rispetto all’intera opera letteraria della scrittrice. Quasi un atto di amore alla terra che l’ha ospitata per l’ultima stagione della sua vita.
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