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Pantelleria, viaggio tra profumi e visioni passate e presenti

Aggiornamento: 21 ago 2024

di Mariella Fassino


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La vacanza può essere occasione di incontro con atmosfere, sensazioni, luoghi che sollecitando libere associazioni ti portano lontano nello scrigno dei ricordi, dove la vita si intreccia con la storia. La panetteria di Scauri, il piccolo paese a picco sul mare nella parte Ovest di Pantelleria appartiene a questo genere di luoghi.

Fanno allegria le ragazze che sbucano dal retro buio e rovente del panificio chiedendo con cordialità: ”Chi posso servire?”. Lo spazio è angusto, tutto occupato da una grande vetrina che promette grandi gioie per il palato: Pane Cunzatu, Sfincione, Il filone con i semi di sesamo, la Muffuletta, gli Arancini, gli Anellini, la Farcia ripiena di sapori e profumi mediterranei e dolci di mandorle, finocchietto selvatico, vino cotto, miele… Devi scendere la scala bianca stretta e ripida che dal piano strada conduce giù al forno. Il tempo di godere di una vista mozzafiato sul blu del piccolo porto di Scauri che sta ancora più in basso, poi la scala fa una curva di 90 gradi, 4 scalini ancora e l’aria calda profumata di pane ti invade. Fai una piccola coda sudando tra i turisti che hanno i capelli e gli abiti ancora bagnati di acqua salata.

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Intreccio di ricordi

Comperare il pane al forno di Scauri, è pari all'ingresso in un luogo evocativo, che è nella memoria ma  molto lontano nel tempo e nello spazio, si affaccia alla mente il forno della Borgata Rosa sulle montagne dell’Orsiera, sopra Coazze con il suo profumo di “mica couisioira”. Il pane pallido con la crosta superiore riccia, divisa a metà, ben infarinata, bianca, come era bianca la panettiera, bianca la pelle, i capelli, il grembiule, il suo nome e l’atmosfera attorno al banco di servizio satura di farina. La signora Bianca aveva fatto la staffetta partigiana e aiutato tanti giovani affamati, poco equipaggiati, inesperti di battaglie e imboscate, impauriti a fronteggiare i rastrellamenti con cui tedeschi e repubblichini avevano messo a ferro e a fuoco quelle montagne, aveva aiutato anche mio padre, giovane partigiano che ne parlava con deferenza e ammirazione.

Si andava, tutta la famiglia, come in pellegrinaggio nel mese di agosto della nostra infanzia a visitare i luoghi, a trovare le persone che senza saperlo in quelle borgate avevano fatto la storia della Repubblica e che continuavano a mantenerne viva la memoria e noi ascoltavamo. C’erano i racconti delle rappresaglie fasciste con la fucilazione dei civili a cui avevano fatto scavare la fossa davanti alle povere case di montagna, la ricerca in mezzo ai boschi dei rifugi, dove i giovani partigiani si accampavano, i racconti delle amicizie fraterne con i soldati cecoslovacchi e polacchi che avevano disertato dall’esercito tedesco per unirsi ai “ribelli” italiani, le catture e le esecuzioni cruente, che ci lasciavano sgomenti. Noi eravamo i bambini del dopoguerra, in pieno baby-boomer, erano trascorsi una ventina di anni dal buio di quella guerra e ci sembrava un passato remoto pauroso e violento ma anche pieno di avventura e azione.

Il forno di Borgata Rosa non esiste più cosi come le numerose borgate alpine dell’Orsiera, molte abbandonate, hanno i tetti crollati, i balconi sfondati, le assi di legno, le grandi lose, le gronde pencolano pericolosamente, i frassini e l’edera si inerpicano su ciò che rimane delle pareti di pietra che tuttavia in certi punti mostrano l’antica opulenza dei luoghi con affreschi di gradevole fattura che ritraggono la vergine e il bambino o alcuni santi.

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I bombardamenti della II guerra mondiale

Mentre faccio la coda tra i turisti in attesa del pane a Pantelleria la mente, che non ha luogo, né tempo, è finita in mezzo ai monti del Piemonte, ha attraversato l’Italia e la sua storia. L’Italia dei giovani partigiani non dimora tra le pietre e i Dammusi di quest’isola, però... l’11 giugno del 1943, le Forze alleate sbarcarono a Pantelleria e l’isola fu il primo lembo d’Italia ad essere liberato. La resa avvenne dopo i bombardamenti alleati che si susseguirono dal 18 maggio all’11 giugno; l’ammiraglio Pavesi, che comandava gli 11.000 uomini di guarnigione dichiarò il 10 giugno di avere riserve d’acqua per soli 4 giorni e con un telegramma comunicò al Duce la resa repentina dell’isola, risparmiando i suoi uomini e gli abitanti da ulteriori sofferenze, ma esponendosi alla legge marziale.

L’operazione Corkscreaw (cavatappi) fu la prima delle operazioni militari delle forze alleate che portò alla liberazione della Sicilia. I bombardamenti furono intensi e protratti, e causarono la completa distruzione del capoluogo che venne ricostruito selvaggiamente nel dopoguerra senza un piano regolatore con risultati ancora ben visibili di volumetrie novecentesche anarchiche e disarmoniche. Il bilancio dei morti fu al contrario esiguo, una sessantina tra civili e militari, ma la popolazione stremata dalla distruzione e confusa dal nuovo assetto politico non fece in tempo a metabolizzare il repentino cambiamento che li catapultava dai trionfi e le illusioni di un impero coloniale alle miserie di una nazione sconfitta.

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Nelle intenzioni di Mussolini, Pantelleria doveva essere la portaerei dell’impero, l’avamposto della Patria verso le nuove colonie d’Africa. Questa operazione dotò l’isola di una strada perimetrale, ancora percorribile lungo l’intera circonferenza, che unisce il capoluogo ai porti minori di Scauri e Gadir rendendoli fruibili e culminò nella costruzione dell’aeroporto militare. Il progetto venne affidato alla fine degli anni ’30 a Pier Luigi Nervi, che ai torinesi dice qualcosa ogni volta che passano lungo la radiale di corso Unità d'Italia, che lo dotò di un hangar lungo 340 m, largo 26 m e alto 18m. L’aeroporto poteva contenere 80 aerei militari: un’architettura imponente con volte paraboliche ricoperta da terrazzamenti che lo mimetizzano ancora oggi tra le aspre e terrazzate kuddie.


A bordo degli AW139

L’hangar Nervi, in cui trovò rifugio parte della popolazione durante i 35 giorni del bombardamento alleato è attualmente una base operativa dell’Aereonautica Militare, visitabile in alcuni giorni estivi, sede di interessanti iniziative culturali volte a far conoscere al turista la storia dell’isola e a proporre alcune emozioni singolari come la visita agli elicotteri AW 139 dell’Agusta-Westland, ora Leonardo.

Su questi mezzi, a turno, puoi salire e metterti al posto del pilota o dei passeggeri, l'esperienza interessante anche per chi non è amante del genere è accompagnata dalle spiegazioni e dai racconti degli ufficiali piloti, giovani, belli e appassionati che illustrano con perizia le caratteristiche e il funzionamento delle macchine. Sotto le volte fresche e ampie dell’hangar alla sera puoi ascoltare concerti, quest’anno le atmosfere parigine e lo swing di un Americano a Parigi di Gershwin, eseguito da un piccolo ensemble di sassofoni e pianoforte, ha richiamato un folto pubblico di isolani e turisti.

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L’aeroporto, i porti, la strada, molte delle infrastrutture dell’isola si legano al ricordo e alla memoria del ventennio, la nostalgia per i trionfi di una dittatura che si ammantò di narcisistiche illusioni portando il paese alla guerra e alla lotta fratricida è ancora viva e satura di rimpianti tra gli abitanti dell’isola che di quel periodo ricordano il primo tentativo di modernizzare un Meridione arcaico e contadino.

L’aeroporto intitolato a Italo D’Amico, giovane pilota di caccia che cadde in combattimento nel maggio del’43 è stato ripristinato dagli alleati, ampliato nel dopoguerra e riqualificato recentemente; vi atterrano gli aerei con cui arrivano i turisti da Bergamo, Venezia, Milano, Roma e la piccola flotta di ATR 72 che non smette di volare nel corso dell’anno e costituisce l’importante “cordone ombelicale”, assicurando ai panteschi le comunicazioni con Trapani, Palermo e Catania. Gli isolani sono viaggiatori infaticabili che non perdono l’occasione per raggiungere il resto dell’Italia in ogni mese dell’anno recandosi in visita dagli amici al Nord o negli ospedali e nelle cliniche per i controlli e la cura della salute. La piccola flotta della DAT smette di volare nei giorni di gran vento o quando l’aeroporto si ammanta di nebbia, cosi anche la nave che nei giorni di mare tempestoso non assicura la comunicazione tra Trapani e Pantelleria lasciando nella popolazione un sentimento di melanconico isolamento.


Inerzia e burocrazia frenano lo sviluppo sostenibile

Il vento di Pantelleria esagera soffiando per settimane in qualunque mese dell’anno. Lo scirocco porta con sé il caldo del deserto africano e quando cala, la superficie del mare si quieta e si leviga mentre li sotto le correnti diventano rapide e tumultuose. Il maestrale arriva da Nord-Ovest fresco e impetuoso piegando i carrubi, gli ulivi, facendo agitare con rumore di paglia secca le fronde vecchie delle palme. L’isola non approfitta di questa energia cinetica che si sprigiona nell’aria e nel mare, il paradosso che qui si palesa ancor più che sul continente è che l’uomo, che piega la natura ai propri bisogni e necessità, tergiversa, capitola di fronte alla possibilità di imbrigliarne la forza nelle pale eoliche e nello sfruttamento delle correnti marine. Qui l’uomo preferisce ancora trasportare il petrolio a caro prezzo per far funzionare la vecchia centrale termoelettrica e per rifornire le uniche 2 pompe di benzina del paese. Troppi vincoli, troppa burocrazia, troppa inerzia, troppi interessi immediati si frappongono alla possibilità di creare una comunità energetica che potrebbe utopisticamente diventare un interessante esperimento per lo sfruttamento della forza viva e inesauribile di questa terra.

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Franca ha investito una parte cospicua dei suoi risparmi per ristrutturare i 2 piccoli dammusi di campagna e farne un bed & breakfast da offrire ai turisti nei mesi estivi. Qui molti residenti o eredi dei vecchi panteschi allestiscono piccole attività di accoglienza domestica, circondando gli ospiti di affettuose attenzioni e guidandoli alla scoperta dei luoghi. Non si tratta di un turismo di massa, ma di un’attività di “nicchia” che tuttavia serve a vivificare un territorio che vede nell’imprenditoria enologica l’unica possibilità a un progressivo declino dell’isola.

Franca di nascita pantesca, di adozione langarola si divide tra queste Kuddie che guardano il mare a occidente e le verdi colline dell’astigiano. Da qualche anno questo tipo di turismo ha perso attrattiva, inoltre le compagnie aeree hanno diradato i voli mandando in crisi le persone che avevano investito energie e denaro in un’attività salutare per il territorio. La sua anima pantesca le dice di restare, di non ascoltare le voci melanconiche che porta il vento caldo dell’Africa quando gli abitanti dei dammusi circostanti se ne sono andati lasciandola sola con il suo coraggio e i suoi dubbi. Andare? Restare? Fermarsi ancora un po’ nella speranza che arrivino nuove prenotazioni? Intanto Franca raccoglie i capperi china sulla terra arsa della capperaia intorno a casa, con il sale ne farà profumati sacchetti prima che i piccoli boccioli diventino delicati, inutili fiori.

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