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La voce di Farian Sabahi: "La guerra in Iran tra drammi umani e analisi politica"

Aggiornamento: 2 giorni fa

di Alberto Ballerino


Giornalista, studiosa del Medio oriente, è nata e cresciuta ad Alessandria, ma parte delle sue radici sono in Iran, paese di origine del padre. Ricercatrice senior in storia contemporanea all’Università degli Studi dell’Insubria e giornalista specializzata sul Medio Oriente, Farian Sabahi è stata drammaticamente coinvolta nei tragici avvenimenti di questi giorni. Dice: “Mio padre, 85 anni, era a Teheran per una conferenza, quando Israele ha iniziato a bombardare, ha affrontato un viaggio lungo e faticoso per la sua età, ma è riuscito a rientrare a Torino, dove risiediamo entrambi. A Teheran ci sono ancora mio zio paterno Nasser, due dei suoi cinque figli e molti nostri cugini. Buona parte della mia famiglia ha il passaporto iraniano e al tempo stesso passaporto statunitense. Stiamo vivendo questo momento con grande apprensione, anche perché Israele ha bombardato i quartieri residenziali dove vive la borghesia”.

Farian Sabahi, per i legami che ha mantenuto con l’Iran, può spiegare qual è stata la reazione delle gente comune e i sentimenti che ora stanno provando tante persone: “Inizialmente è prevalso lo stupore perché nessuno si aspettava il bombardamento israeliano del 13 giugno, tant’è che anche i capi dei pasdaran e dell’esercito dormivano sonni tranquilli nei loro letti, quando sono stati uccisi dai droni israeliani. Dopodiché c’è stata la paura: chi se lo poteva permettere ha lasciato i centri abitati, dove non ci sono bunker, e ha trovato rifugio a nord, sul Mar Caspio, e nelle zone rurali. Ora a dominare è la rabbia nei confronti di Israele, come pure del regime iraniano che si è messo nelle condizioni – con le invettive contro Israele e contro gli Usa, e con la sua politica scellerata – di far sì che Israele bombardasse l’Iran. Ma la rabbia degli iraniani in patria è anche nei confronti di un’Europa che si erge a paladina dei diritti umani, ma ha taciuto di fronte allo sterminio di 60.000 palestinesi e ha taciuto di fronte all’evidente violazione, da parte di Israele e degli USA, del diritto internazionale”.

Farian Sabahi cede alle emozioni, e non potrebbe essere altrimenti, rispetto a quanto sta accadendo insieme con le ultime evoluzioni, ma sa conservare anche la lucidità della studiosa, attenta a valutare la situazione in Iran e i movimenti che si registrano sullo scacchiere mediorientale nei suoi interventi e servizi con alcune importanti emittenti televisive, tra cui Skytg24. Appare quindi molto interessante conoscere cosa pensa sulle cause di questo conflitto. “Le ragioni – spiega - sono molteplici. In primis le invettive della leadership della Repubblica islamica che da 46 anni urla “morte a Israele”, nonché il sostegno militare e finanziario iraniano a Hamas e Hezbollah, acerrimi nemici dello Stato ebraico. In secondo luogo, due questioni interne alla politica israeliana: il premier Netanyahu ha perso la guerra contro Hamas e, facendo 60.000 morti tra i gazawi, ha visto erodere, seppur in maniera non significativa, il suo consenso sia interno, sia internazionale. Rischiava una crisi e, per ricompattare il governo di coalizione, ha assicurato agli ultraortodossi che avrebbe bombardato l’Iran. In terzo luogo, la diplomazia iraniana stava giungendo a un accordo con gli Stati Uniti, grazie alla mediazione dell’Oman: l’attacco israeliano di venerdì 13 giugno e i bombardamenti statunitensi di domenica notte lo hanno fatto irrimediabilmente saltare, nel senso che non resta granché su cui negoziare. Inoltre, il controllo delle vie marittime è cruciale per le potenze egemoniche: gli USA vogliono prendere possesso dello Stretto di Hormuz e controllare quindi quel tratto di mare da cui transita giornalmente il 30 per cento del petrolio del pianeta e il 60 per cento dei fabbisogni energetici della Cina. Di pari passo, Israele ha bombardato le fabbriche di missili e droni dell’Iran, e quindi ha messo fuori uso la capacità di Teheran di rifornire la Russia di droni nella guerra contro la Russia. L’Iran non è quindi l’unico obiettivo”.

Farian Sabahi incarna il meglio di un mondo globalizzato dove le culture si incontrano in un ideale di collaborazione e crescita comune. Un sogno che oggi appare lontano, distrutto da fanatismi religiosi e ideologici, interessi economici, sogni egemonici. Ma le persone come lei sono tante, più di quanto ora si possa pensare, soprattutto tra chi è giovane. Da lì viene la speranza di un giorno diverso dopo la lunga notte di questi anni.

 

 

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