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SETTIMANA FINANZIARIA. Cambio di scenario Usa-Cina

a cura di Stefano E. Rossi


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Nella notte americana di Halloween, un articolista economico specializzato nel mercato dell’energia ha parafrasato il testo della famosa canzone Thriller (brivido) di Michael Jackson: stai combattendo per la tua vita, c’è un assassino, brivido! L’ha dedicata a un Putin col batticuore, braccato da vicino, che patisce gli effetti delle sanzioni alle società petrolifere russe Rosneft e Lukoil. I due colossi erano già da tempo in difficoltà. Adesso, man mano che il prezzo del petrolio s’avvicina ai 50 dollari al barile, sarebbero prossime al collasso. Le quotazioni della materia prima sono diventate insostenibili. A malapena coprono i costi d’estrazione e, per di più, il grafico del greggio si sta confermando aggrappato a una solida tendenza ribassista. Chiude la settimana a 60,98 dollari al barile, appena più alto dei minimi post covid toccati a metà mese. L’unica incertezza per un’eventuale momentanea inversione del trend è rappresentata dall’inasprimento della crisi militare Usa-Venezuela. Si tratta di due campioni di produzione dell’oro nero, il cui sottosuolo riserva giacimenti tra i più estesi al mondo.


Soia: prezzi all'insù, primi effetti dell'accordo Trump-Xi

La Cina stringe la mano agli Stati Uniti e svanisce lo spauracchio dei dazi al 100% dall'1 novembre. Una promessa non mantenuta da Trump, perché la percentuale è addirittura scesa. La tariffa media passa dal 55% al 45%. Di certo, finiranno qui i tortuosi percorsi della diplomazia americana nel continente asiatico. In cambio, la Cina si è impegnata a rinviare di un anno la restrizione sulle terre rare e ad acquistare, da subito, la farina di soia americana. Così, con il primo ordine di 180 mila tonnellate per consegna a dicembre, il prezzo è improvvisamente schizzato all’insù del +9,35%, cioè ai livelli del luglio 2024. Probabilmente, il Segretario del Tesoro Scott Bessent non si aspettava una reazione così improvvisa, quando ha siglato l’accordo. Le esportazioni verso la Cina saranno di 12 milioni di tonnellate il primo anno e 25 per i tre successivi. Come al solito andrà bene agli speculatori e a qualche inconsapevole produttore, che si è ritrovato in magazzino un po’ di soia da vendere. Mentre, in tutto il mondo, piangeranno gli allevamenti di ogni razza e dimensione, colpiti dai rincari.


Gas naturale e arance, così distanti, ma vicini nella speculazione  

Rispetto al petrolio, una dinamica opposta caratterizza il mercato del gas naturale. S’infiamma e, questa settimana, sale del +24,82%. Morgan Stanley ha stimato che il prezzo andrà oltre i 5 dollari nel 2026, dagli attuali 4,12 dollari (erano 3,12 la settimana scorsa). La causa del fenomeno è un classico: la previsione di una maggiore domanda a fronte della contrazione dell’offerta. L’ufficio studi della banca riporta che il flusso d’estrazione negli Usa è rimasto sotto le attese per tutto il mese di ottobre, alimentando i timori per un consistente deficit di scorte invernali.

Restando ancora un po’ nei cosiddetti recinti della borsa merci, crolla il prezzo del succo d’arancia concentrato e congelato (FCOJ): -8,46% (da inizio anno -64,76%). È uno scenario che ci riporta alla mente il film del 1983 Una poltrona per due, con Dan Aykroyd ed Eddie Murphy, costruito proprio intorno all’alta volatilità in borsa del future FCOJ. Pellicola avvincente, ma già ai tempi lontana dalle nostre convinzioni alimentari. Per noi, ancora adesso, le arance sono siciliane. Anzi, noi abbiamo anche il tarocco. Ma sappiamo bene che i nostri agrumi rappresentano sono una piccola parte delle transazioni commerciali internazionali. È la produzione di Brasile e Florida a formare quasi la totalità (85 per cento) dell’export mondiale di succo d’arancia.

Guardando ai cambi, tutte le valute restano piuttosto stabili. Il dollaro quota 1,15 contro l’euro.

L’oro si raffredda e scende di un buon 10 per cento dai massimi assoluti rilevati quindici giorni fa.


Giù il Pil (trimestrale) in Italia  

La Federal Reserve mercoledì ha tenuto fede alle attese di riduzione del tasso dello 0,25%. Ora, per i fondi federali si paga il 3,75-4,00%. I mercati si aspettano un ulteriore abbattimento a fine anno. Ma il prudente Jerome Powell, presidente della FED, è stato chiaro: non abbiamo preso decisioni su dicembre; non è una cosa scontata, anzi tutt’altro. Dopo due tagli consecutivi c’è chi chiede una pausa e altri no. Senza la necessità di nominarla, è riemersa l’ombra dei feroci conflitti interni alla banca centrale Usa.

Nell’Europa della moneta unica il Pil sale del +0,2%. Poco, ma sale. L’inflazione resta sotto controllo: 2,1%.

In Italia, invece, l’ultima rilevazione del Pil trimestrale è sotto zero (-0,1%), come l’inflazione del mese di ottobre (-0,3%). La crescita dei prezzi cumulata da inizio anno passa quindi al +1,3% (ex 1,6%). Anche il carrello della spesa rallenta la corsa tra gli scaffali, che sono quelli dei beni alimentari e per la cura della casa e della persona (+0,2%). Su base annua, si bassa dal +3,1% al +2,3%. Il dato a sé stante potrebbe essere letto come una buona notizia. Non lo è. Questo allontanamento dalla media europea rischia invece di essere indicatore dei primi segnali di oggettiva difficoltà al sostegno dei consumi interni nel Bel Paese.


Borsa: banche ancora protagoniste 

Piazza Affari ha rialzato la testa. Non sfonda il massimo di 43.564, raggiunto a inizio ottobre, ma consolida e migliora i guadagni realizzati la scorsa settimana. Il rilancio si fonda sull’aggiornamento dei bilanci societari del Q3, il terzo quadrimestre di quest’anno. È il settore bancario ad approfittare dei giudizi molto favorevoli che hanno espresso le agenzie di rating. Da Bper Banca (+7,04) a Unicredit (+4,40%), tutte le banche hanno dato il loro contributo per rafforzare l’indice di borsa italiano, storicamente connotato dal sovrappeso dei titoli finanziari.

Tenaris fa storia a sé e sale del 11,37% suscitando le attenzioni di numerosi investitori istituzionali. Nonostante i dazi, il fatturato della ex-Dalmine tiene bene e viene promesso un discreto dividendo, migliore del passato.

Va meno bene per i nostri marchi del lusso e per la manifattura, specialmente quella che esporta all’estero. Perdono quota Amplifon (-5,40%), dopo la comunicazione di un netto calo dell’utile, e Stellantis (-7,06), a causa del peggioramento dei flussi di cassa, nonostante le conferme sul fatturato, risalito del +13%. Stessa sorte, in discesa, per Moncler (-2,66%) e Cucinelli (-2,51%).

 

Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.

I Tori: Tenaris +11,37%, Banca Mps +7,07%,

Gli Orsi: Stellantis -7,06, Amplifon -5,40%.

FTSE MIB: +1,62% (valore indice: 43.175).

 

I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.

 

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