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La Moschea a Catanzaro è un falso problema: quello vero rimane l'integrazione

Sul presunto "attacco" alla laicità dello Stato


di Marcello Croce


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La notizia dell’apertura di uno spazio “religioso” dato agli studenti islamici dell’Università di Catanzaro, riportata il 28 ottobre su questo sito con il commento di Antonio Nicolosi [1], apre, anzi spalanca, un problema che, a prenderlo seriamente e non solo a chiacchere, richiederebbe un discorso coraggioso e non più elusivo.

Confrontiamo il fatto, innanzitutto, con l’episodio storico del muro levato da docenti e studenti nel 2008 per impedire al papa Benedetto XVI di parlare alla Sapienza in Roma: esempio di inciviltà non solo, ma di insensato laicismo fomentato da quelle stesse posizioni culturali che forse oggi approvano la scelta di Catanzaro. Il confronto va fatto, perché investe tutta la questione dell’accoglienza e dell’integrazione (che poi è sostenuta prima di tutto proprio dalla Chiesa cattolica). Il confronto dice bene l’incoerenza rapsodica dell’intera cultura progressista, che sul nostro Paese pesa ancora come un macigno inerte.

Veniamo però alla difesa della laicità dello Stato istituzionale, sostenuta da Nicolosi, segretario generale di UNARMA (sindacato dei carabinieri) quando paventa l’istituzionalizzazione di una cosiddetta "madrassa" o scuola coranica nel seno di una nostra università italiana.

L’art. 7 della Costituzione legittimando l’indipendenza e la sovranità sia dello Stato che della Chiesa nel reciproco rapporto, com’è noto, fa riferimento ai Patti lateranensi; e l’art. 8 rispetto alle altre religioni garantisce “intese con le relative rappresentanze” con una legge che risale al 1929, e che esige comunque la concessione di un riconoscimento ufficiale, da parte dello Stato, dei requisiti di conformità di ogni rappresentanza religiosa all’ordinamento giuridico italiano.

Per questo l’accenno alla forma virtualmente illegale e non pacifica della religiosità araba rispetto, per esempio, a quella turca, fatto dal Segretario di UNARMA, mi sembra più una considerazione “politica” e comunque pregiudiziale, piuttosto che in linea con la Costituzione italiana. La questione allora investe il significato della presenza (evidentemente numerosa) di questi studenti universitari di Catanzaro: sono cittadini italiani?

Se sì, si impone un discorso ben più ampio, che concerne l’intera questione dei migranti di origine islamica nel nostro Paese. E qui mi limito a mettere a confronto due ipotesi opposte.

La prima è implicita in quanto scrive il Nicolosi, che considera la religione islamica entro l’ottica e la retorica “occidentalista”, risalente al clima suscitato dalla rivoluzione khomeista del 1979 in Iran. Il suo effetto fu la nascita dello “Stato islamico” che fece da modello o dette comunque impulso a una sorta di guerra di civiltà contro il neocolonialismo occidentale.

La seconda, all’opposto, si basa su una considerazione elementare. Rispetto alla deriva occidentale di direzione nichilista, la preservazione di forme tradizionali (famiglia, comunità, religione) nella popolazione immigrata dai paesi arabo-islamici è ancora forte e resiste, anche se in forme che a noi paiono di chiusura. E forse lo sono. Una Destra tradizionalista non può non accorgersi di questa vicinanza e dovrebbe farne quindi una possibilità di incontro e un perno nella proprio progetto di educazione dei giovani. Si tratta anche perciò di una questione di realismo.

Un conto è la necessità di fermare il flusso di altri nuovi migranti, un altro è il modo di considerare quelli che qui da noi ci sono già da anni. La mia impressione è che però manchi totalmente una politica al riguardo. Finora tale politica è stata modellata solo dalla Chiesa (e perciò è essenzialmente basata sulla considerazione dell’uomo in quanto tale, e non su quella del cittadino – del cittadino, ma di fede islamica). Perciò la cittadinanza nel frattempo è rimasta una semplice concessione formale (pur complicata da ottenere). Ultimamente, poi, l’irruzione della tragedia di Gaza ha fatto esplodere soprattutto nelle giovani generazioni un risentimento che sarebbe un errore interpretare come fossero una sfida sotto il segno di un’appartenenza esclusiva (al mondo arabo-islamico).

In altre parole, c’è un grande vuoto su tutto questo. Occorre invece da parte nostra un grande sforzo di intelligenza per non fallire davanti a un compito davvero epocale, e soprattutto occorre non avere paura di affrontarlo. Chiave di questo compito è evidentemente soprattutto la scuola. Quella scuola che con tutta evidenza oggi è sfuggita di mano.


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