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"La stanza del silenzio", risposta torinese al pluralismo religioso

di Valentino Castellani*


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La notizia apparsa in questi giorni dell’apertura di una moschea all’interno dell’Ateneo di Catanzaro ha giustamente sollevato discussioni e perplessità e non è escluso che vengano arruolate le consuete tifoserie per polarizzare la discussione tra i favorevoli ed i contrari.[1] L’argomento si presta a scatenarle, specie sui social media, dove l’emotività ed i pregiudizi prevalgono sulla razionalità e sul dialogo pacato.

Il tema è per sua natura molto delicato e complesso e non è possibile esprimere un giudizio fondato sull’iniziativa dell’ateneo calabrese senza conoscerne i dettagli concreti, le motivazioni e gli impegni che sono stati sottoscritti. Tuttavia è doveroso ragionare in generale se e con quali limiti sia possibile concedere spazi all’interno delle istituzioni pubbliche per lo svolgimento di pratiche religiose, stante il principio costituzionale della laicità dello Stato e quindi di tutti i luoghi – scuole, università, ospedali, uffici pubblici, stazioni, aeroporti – connotati dalla presenza dello Stato.

Il problema si è posto con maggiore frequenza negli ultimi anni per la presenza di consistenti gruppi di musulmani – tra di loro ora anche cittadini italiani – che hanno l’obbligo delle cinque preghiere quotidiane. Quando tali persone, per qualunque motivo, devono trascorrere molte ore  all’interno di una struttura pubblica ecco che sorge la domanda di uno spazio per la preghiera. Dare una risposta a tale domanda è certamente un fatto di rispetto e di civiltà. Naturalmente il problema è il “come”. È importante un attento discernimento per riconoscere le soluzioni giuste, quelle cioè che accolgono la richiesta senza intaccare il principio della laicità delle istituzioni pubbliche.

Al tempo stesso non si può ignorare che la comunità musulmana in Italia vive da anni la mancanza di veri luoghi di culto riconosciuti, soprattutto nelle città, dove spesso è costretta a riunirsi in spazi di fortuna o in locali privati. Questa situazione deriva anche dall’assenza di un’Intesa tra lo Stato italiano e le rappresentanze islamiche, che renda possibile una piena e trasparente regolamentazione delle moschee e delle attività religiose. È una carenza che pesa sulla vita quotidiana di molti cittadini musulmani e che andrebbe affrontata con realismo e senso di responsabilità da entrambe le parti.

Il Comitato Interfedi della città di Torino – un organismo consultivo partecipato dai rappresentanti di tutte le grandi religioni, che ha lo scopo di favorire il dialogo interreligioso nella comunità locale – ha proposto una soluzione che è stata attuata già in molti ospedali, all’aeroporto ed è in fase di studio anche da parte dell’Università: quella cha va sotto il nome di “stanza del silenzio”.

Si tratta di un locale totalmente neutro, senza alcun simbolo religioso, al quale hanno diritto di accesso tutte le persone che si trovano nell’edificio pubblico che ne offre l’uso, persone che vogliono appartarsi in silenzio per avere momenti anche solo di riflessione e di pausa. Nella “stanza del silenzio” il musulmano devoto può entrare per la sua preghiera, ma vi può accedere qualunque credente o non credente che senta la necessità di una pausa di raccoglimento.

Non si tratta quindi di un luogo di culto per nessuna religione – nessun rito è consentito – né la sua destinazione è riservata agli appartenenti di una particolare confessione religiosa. Si tratta di uno spazio offerto individualmente a tutte le persone che hanno il desiderio di utilizzarlo per effettuare una pausa nella fatica della giornata. Nelle stanze del silenzio che sono state allestite sono stati collocati soltanto dei volumi con i testi sacri delle varie religioni perché chi lo desidera ne possa fare uso. È fuor di dubbio che in questo modo non c’è alcuna lesione del principio di laicità e nel contempo c’è la risposta ad una domanda legittima di molti cittadini. Nelle nostre comunità, ormai plurali dal punto di vista religioso, domande di questo genere riguarderanno non soltanto gli spazi per la preghiera, ma anche il tipo di cibi nelle mense pubbliche, i servizi cimiteriali ed in generale tutto quanto riguarda la quotidianità della vita.

Il rispetto delle diversità dovrà essere una regola della convivenza. L’unica fondamentale “integrazione” riguarda l’accettazione da parte di tutti dei principi e dei valori della nostra Costituzione.

 

*Presidente del Comitato Interfedi della Città di Torino


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