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La sfida immediata: allargare e approfondire l’Unione Europea

di Mercedes Bresso

La guerra in Ucraina e la forte pressione del suo governo per avviare l’adesione all’UE, ha molto cambiato la posizione degli europei sul processo di allargamento. All’inizio della legislatura che sta per concludersi, tutti ritenevano necessario un periodo di pausa nell’avvio delle procedure per le nuove richieste di adesione, convinti che prima occorresse affrontare la questione di come permettere all’Unione di rendere più rapido e efficiente il suo processo decisionale. A tal fine è stata indetta una Conferenza sul futuro dell’Europa che ha visto la partecipazione, oltre che delle istituzioni europee, di Parlamenti nazionali, governi, enti locali, associazioni e di moltissimi cittadini. Conclusioni a cui si dovrebbe ora dare un seguito.


La marcata sensibilità dei cittadini per l'Europa

Nel frattempo però la pressione dell’Ucraina, ma anche della Georgia e della Moldavia, oltre alla rinnovata domanda della maggior parte dei paesi dei Balcani Occidentali (Serbia Erzegovina, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Kossovo, fa eccezione solo la Serbia filo russa) , che vedono nell’adesione un modo di rafforzare e proteggere le proprie democrazie e di sostenerne lo sviluppo economico e sociale, ha radicalmente cambiato le priorità: l’urgenza di unificare i popoli europei in una larga e forte entità politica, credo sia stata avvertita dai cittadini ancora prima che dagli Stati.

L’allargamento non può più essere posposto all’approfondimento dell’Unione ma quest’ultimo è necessario se vogliamo realizzarlo con successo: questa può essere l’occasione per un approccio che ci consenta di procedere in parallelo, risolvendo anche il problema di fondo dell’UE, la sua lentezza nel decidere.

Uno strumento potrebbe essere la cosiddetta “European Political Community” proposta dal presidente francese Emmanuel Macron, nella quale far sedere insieme i membri attuali dell’UE e i paesi candidati, cercando di costruire quell’Unione Politica che era nelle intenzioni dei padri fondatori e che finora non siamo riusciti a creare.

Si può partire con un metodo intergovernativo ma dovrebbe essere chiaro che vogliamo costruire almeno una Confederazione con poteri politici anche se limitati. Ciò significa che le decisioni dovranno essere prese a maggioranza ( ad esempio con la doppia maggioranza dei paesi e dei cittadini).

Questo potrebbe essere un modo per verificare l’interesse dei paesi candidati (e di quelli membri) di andare avanti con una forte cooperazione politica. Sarebbe anche un buon modo per imparare a conoscerci e a lavorare e prendere decisioni insieme. In ogni caso dovrebbe essere escluso il diritto di veto.

I temi su cui prendere progressivamente decisioni comuni sono evidentemente quelli legati alla sicurezza strategica del continente: politica estera e di difesa, Unione energetica, politica digitale, lotta al cambiamento climatico, sicurezza strategica nelle politiche agricole e industriali, coordinamento delle politiche economiche e sociali.

Questa Comunità potrebbe essere una sorta di coordinamento politico europeo, più ampio dell’UE, aperto oltre che ai paesi in adesione, che così da subito potrebbero partecipare a decisioni politiche importanti, anche a Svizzera, UK, Islanda, Norvegia e Lichtenstein, naturalmente su base volontaria. Sarebbe un primo passo per allargare il coordinamento politico a tutti gli europei per rafforzarli di fronte a una scena mondiale sempre più complessa e dominata da grandi potenze.


Risposte certe e in breve tempo

Ma la domanda dei paesi dell’est Europa e dei Balcani occidentali è di entrare nell’Unione vera e propria. Come ho già ricordato, oggi l’allargamento è una sfida che dobbiamo accettare: l’Europa è il simbolo del mondo democratico per tutti coloro che combattono per i diritti umani, lo stato di diritto e uno sviluppo economico che non trascuri il welfare state. Per questo siamo l’unica istituzione al mondo che continua ad allargarsi sulla base di adesioni fortemente volute.

Ma non possiamo dare una risposta facendo attendere anni e anni, magari decine, i paesi candidati. Quando alla fine entreranno ci saremo creati dei nemici o comunque dei delusi. Dobbiamo quindi ridisegnare il funzionamento dell’Unione e al tempo stesso modificare le procedure per le nuove adesioni.

La Conferenza sul futuro dell’Europa e anche il Parlamento Europeo hanno chiesto che si avvii una Convenzione per la revisione dei trattati. Il Consiglio Europeo dovrebbe accettare la proposta, eventualmente chiedendo di limitarsi alle questioni essenziali, per non perdere tempo e per cercare di convincere gli Stati più riottosi, che però sono anche quelli più favorevoli allargamento (Polonia, Ungheria e in generale tutti i paesi provenienti dall’ex blocco sovietico).

Queste modifiche potrebbero riguardare:

La generalizzazione del voto a maggioranza qualificata, anche garantendo per le questioni più delicate una maggioranza super-qualificata (es. 75% degli Stati e della popolazione).

L’attribuzione all’Unione Europea della competenza esclusiva per le decisioni relative alle politiche sui temi che coinvolgono l’autonomia strategica dell’Unione: politica estera e di difesa, decisioni strategiche in politica economica, energetica, industriale e agricola, accordi internazionali per il cambiamento climatico, stato di diritto e diritti sociali fondamentali dei cittadini. In sostanza l’Europa che uscirebbe dalla Convenzione dovrebbe proteggere, difendere e aiutare i propri cittadini in tutte le questioni essenziali legate a un nuovo modello di globalizzazione, più rispettoso dei diritti umani, dei principi della lotta al cambiamento climatico, di uno sviluppo economico più attento specificità e ai bisogni dei singoli paesi e soprattutto meno a rischio di dipendenza da risorse e prodotti di altri stati o multinazionali. Un mercato libero ma regolato per evitare gli eccessi che stiamo conoscendo.


L'ipotesi di un "corridoio" di adesione

La Convenzione dovrebbe anche approvare una nuova procedura per l’adesione all’UE, basata su una serie di obiettivi al raggiungimento dei quali corrispondano diversi diritti di partecipazione al processo decisionale. Si potrebbe parlare di una sorta di “corridoio” di adesione, alla fine del quale, con la verifica finale, ci sarebbe l’ingresso a pieno titolo nell’Unione.

Ma dovremmo anche invertire l’ordine della procedura di adesione, cominciando con la verifica del rispetto dello Stato di diritto e la garanzia del funzionamento democratico delle istituzioni. Il rispetto di questi principi potrebbe permettere ai paesi candidati la partecipazione ai momenti “politici” della vita europea, ad esempio la partecipazione al Consiglio Europeo.

Potrebbero anche partecipare come osservatori al Parlamento Europeo e al Consiglio, con il diritto di presentare e illustrare le proprie opinioni. Sarebbe un modo per imparare a conoscersi meglio e per le istituzioni europee di valutare in concreto i progressi fatti da questi paesi. Man mano che superano i diversi obiettivi potrebbero avere il diritto di voto su quei temi. In questo modo i paesi in adesione sentirebbero di far già parte dell’Unione, con diritti e doveri crescenti in base ai progressi fatti.

Per noi, membri dell’Unione che spesso non valutiamo quanto importante sia farne parte, sarebbe anche un modo per imparare a essere fieri della nostra Europa.











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