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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. "Pacchetto" Nordio, se la sinistra resta a guardare

di Mauro Nebiolo Vietti

Quando il ministro della giustizia Carlo Nordio propone alcune linee guida di riforma della giustizia lascia intendere che non è tanto lo strumento processuale in sé che deve essere rivisto per migliorare l’efficienza dell’intervento, ma che la revisione ha l’obiettivo di impedire anomalie di comportamento o, peggio ancora, abusi da parte dei magistrati.

Prima di essere nominato Guardasigilli, Nordio è stato un autorevole pubblico e conosce a fondo le problematiche della categoria; in particolare è consapevole, come lo è la gran parte degli operatori giuridici, che questa non gode più di rispetto e considerazione nell’opinione pubblica, oggi orientata a considerarla una corporazione ripiegata a difendere le proprie prerogative. Altresì è consapevole che il diffondersi della disistima rappresenta una grave lesione dell’ordinamento che affida alla magistratura il compito di vigilare e garantire il rispetto delle regole, compito tradizionalmente svolto, fino a qualche tempo fa, con discrezione nell’ombra e senza eccessi di protagonismi.

Così opera la maggioranza dei magistrati, ma il comportamento di pochi, più attenti alla risonanza che al merito delle inchieste, è riuscita ad appannarne l’immagine; un equivoco rapporto con la stampa (basato sul do ut des informativo), un cattivo uso dei pentiti (per processare qualche personaggio illustre, perché più questo è illustre, più se ne parla sui mass media) ed un organo di autogoverno, il Csm, incapace anche solo di una blanda riforma, ma capacissimo di imitare il peggio della politica, rischia di provocare un vulnus istituzionale con conseguente indebolimento del nostro sistema democratico.

Se è vero che questa è la preoccupazione del numero uno del palazzo di via Arenula, occorre chiedersi se gli strumenti che propone siano adeguati. La separazione delle carriere, per esempio, rende meno equivoci i rapporti perché identifica un organismo che rappresenta l’accusa separandolo dall’organo giudicante; c’è solo da augurarsi che non sopravvenga un governo, poco rispettoso delle regole democratiche, che trasferisca sotto di sé l’ufficio del pubblico ministero perché ne conseguirebbe la scomparsa dell’indipendenza del magistrato e dei reati connessi alla corruzione politica.

Mi auguro invece che la riforma delle intercettazione telefoniche si limiti a bloccare la diffusione dei testi, sanzionando in modo significativo chi viola o aggira il divieto per la quale c’è già una legge, ma poco severa soprattutto in punto sanzioni. Il recente scandalo in sede UE ha confermato come le intercettazioni costituiscano un’attività essenziale nell’accertare possibili reati, ma ha anche dimostrato, come d’altronde intende Nordio, che si tratta di un’attività che non costituisce prova del reato, ma mero indizio per una successiva attività di analisi e ricerca delle prove.

L’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale è un atto imposto dalle circostanze; mancano alla pianta organica circa 1.200 magistrati perché i relativi concorsi (350m posti/anno) non sono stati banditi per quattro anni dal governo Berlusconi o per volontà politica (così pensano i maligni) o per incapacità. Il risultato è sempre lo stesso: non è possibile gestire la macchina della giustizia per mancanza di personale ed allora depenalizzare alcuni comportamenti (anche questa misura fa parte del pacchetto Nordio) ed eliminare per i PM l’obbligo di aprire un fascicolo ogni volta che perviene una qualunque notizia di reato, porterebbe ad un recupero, anche solo parziale, in termini di efficienza.

E’ anche vero che l’attuale ceto politico, ed in particolare quello di destra oggi al governo, non ama la magistratura e potrebbe accadere che nel piano di riforma Nordio siano innestati forme di autotutela con effetti stile Orban, il presidente dell'Ungheria. C’è quindi da augurarsi che anche la sinistra partecipi in termini collaborativi perché ha sempre difeso i valori di indipendenza della magistratura, ma è lecito qualche dubbio perché ultimamente lavora molto sulle parole e non sui valori.


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