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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. La Chiesa torinese protagonista del futuro di Torino e Piemonte

di Luca Rolandi


Martedì 16 gennaio monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino, ha invitato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e il Sindaco della città di Torino Stefano Lo Russo ad un dialogo sulla città e i territori che amministrano. L’incontro era stato preannunciato dal presule lo scorso 21 dicembre, nel tradizionale incontro di fine anno con la stampa.

 «Viviamo in contesti in cui c’è gente che perde il lavoro, fabbriche che chiudono…», aveva detto l’Arcivescovo, «e questo nella vita concreta e reale delle persone ha un impatto drammatico», ma non sempre è avvertito come un problema di tutta la comunità. Per il futuro del territorio, aveva proseguito, occorre un atteggiamento costruttivo, frutto degli sforzi congiunti di tutte le realtà istituzionali e associative e capace di vedere i tanti «germogli di generosità» già presenti.


Nel solco di una tradizione secolare

Non si tratta di una novità: il ruolo anche pubblico della Chiesa torinese, prima tra le istituzioni religiose e per tradizione attiva da sempre nel contesto sociale, ha sempre accompagnato, dialogato e affrontato le tante sfide che la comunità piemontese in tempi diversi ha vissuto. Nel solco di una tradizione profonda, soprattutto nel XIX e XX secolo, i vescovi come i religiosi sono stati fondamentali per orientare le amministrazioni pubbliche ad una visione che mettesse al centro la persona e le sue esigenze, le sue speranze, le sue aspirazioni. Non è qui il momento di fare la storia che parte dai santi sociali e giunge fino alla “Camminare insieme” del cardinale Michele Pellegrino, del sostegno e accompagnamento dei più recenti pastori della Chiesa torinese, dal cardinale Severino Poletto a monsignor Cesare Nosiglia, con quest'ultimo che per alcuni anni raccolse nell’agora del sociale le forze politiche, produttive, datoriali e sindacali di Torino, ma è indiscutibile che l'iniziativa della curia torinese segna un nuovo inizio.

Monsignor Repole è un teologo, un pastore in una Chiesa diversa dal passato, in grande trasformazione, conscio del fatto che oggi la società vive una mutazione profonda, che i cristiani sono una parte del tutto, che i contesti religiosi sono plurimi e che domini nel sottofondo una cultura individualista molto prepotente con la quale tutti devono fare i conti.


Costruire una prospettiva di lungo periodo

Ciò che presumibilmente chiederà l'arcivescovo di Torino al primo cittadino della città e al numero uno della Regione, nel rispetto totale dei piani e delle scelte tra fede e politica, è di operare nella direzione del bene comune, di studiare e approfondire costantemente le problematiche che una realtà complessa e difficile da dipanare si presenta oggi. Dunque, sforzarsi di porre una prospettiva di lungo periodo per un territorio che più di altri nel nostro Paese, negli ultimi vent’anni, ha subito una profonda modifica dei rapporti e delle relazioni sociali, economici, culturali e politici ancora in corso.

«Non basta lamentarsi, ma che invece occorre soprattutto pensare e lavorare per costruire il futuro di Torino e della Regione attraverso una visione prospettica delle questioni riguardanti il mondo del lavoro, coinvolgendo tutte le istituzioni» è un passaggio del messaggio di invito di monsignor Repole che delinea uno stile e una bussola per chi avrà il coraggio di raccoglierla.

Fragilità sociali, giovani, lavoro priorità di una città in mutazione, ma anche un nuovo welfare nel quale si tenga conto di una comunità che invecchia e che si sente preda della solitudine. Inclusione sociale, pluralismo culturale e religioso, differenze che sono una ricchezza di umanità e pensiero: un invito ispirato a quella indicativa affermazione di Pio XI «tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio», poi ripresa e ancora più profondamente espressa da un suo successore Paolo VI, che tanta parte ebbe nella formazione della classe dirigente cattolica che ricostruì l’Italia dopo la tragedia della guerra sulle macerie delle dittature totalitarie rappresentate nel nostro paese dalla vergogna del ventennio fascista.

 


 



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