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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. L'enorme melassa del radicalismo violento

Aggiornamento: 12 feb 2023

di Germana Tappero Merlo


C’è radicalizzazione nell’intenzione suicida di Alfredo Cospito, quella di un anarchico insurrezionalista pronto a morire in uno sciopero della fame ad oltranza nella sua battaglia contro il carcere duro. È la stessa letale determinazione dei radicalizzati nell’Islam, votati al sacrificio estremo e soprattutto a morire-uccidendo per valori e visioni di una vita ideale all’insegna di quei loro precetti religiosi distorti; ed è la stessa di quegli altri radicalizzati, quei singoli soggetti che si rifanno ad un’estrema destra violenta, decisi ad uccidere e a sacrificare l’intera loro vita in un carcere come testimonianza di quella loro causa. Tutti costoro, nessuno escluso, agiscono per attestazione di una fede estrema, in cui ambiscono a diventare, appunto, martiri per il presente e testimoni per le generazioni future. Perché è anche questo che l’intera vicenda Cospito, se giunge agli estremi, e comunque la si voglia interpretare, rischia di trasformarlo, ossia un martire per i suoi.


Similitudini (antiche) tra opposti estremismi

Sacrificio e martirio, quindi, e seppur appaia paradossale, sono elementi comuni e condivisi da qualsiasi forma di estremismo ideologico violento presente oggi nel mondo non solo jihadista, in cui quello dell’antagonismo insurrezionalista anarchico, piuttosto attivo negli ultimi anni nell’ Europa mediterranea (Italia, Grecia e Spagna), con attacchi sempre più numerosi (414 dal 2006 al 2020), ma fortunatamente dalle conseguenze più in termini materiali ad alto costo finanziario (sabotaggio, vandalismo e guerriglia urbana) che fisiche, è salito ora agli onori della cronaca. Ma non sono le uniche affinità.

Che si tratti di jihadisti di un sedicente Stato Islamico (IS), oppure soggetti di un generico far-right violent extremism, FRVE, che colpiscono in nome di una supremazia della razza bianca e per un etno-nazionalismo oppure, appunto, per quel “caos che poi è ordine senza potere” di un Proudhon, padre dell’anarchismo, tutti costoro ambiscono ad una sola cosa, ossia al collasso violento del sistema-Stato, quello vigente, per sostituirlo con uno modellato secondo i loro principi. E sono recenti, seppur rari, gli studi che mostrano il chiaro riferimento al pensiero anarchico anche nella distorsione dell’Islam già per l’elaborazione dottrinale di un’al-Qaeda di Osama bin Laden[1].

Nel caso anarchico, quello violento[2], fra sacrificio e martirio, si va quindi verso la “guerra di classe e lotta antitecnologica” per la vittoria dell’individuo liberato dall’autorità[3]. La scelta degli obiettivi è indirizzata per lo più da campagne di propaganda del momento che, partendo da tante minime azioni mirate sul territorio, dalla violenza selettiva sino ad atti potenzialmente letali - da cui la coesistenza di forme legittime di protesta e manifestazioni appunto violente – tendono ad arrivare al grande obiettivo, ossia il collasso del sistema, sovente senza specificare quel che ne dovrebbe venire dopo.

È quell’anti-tutto, dall’autoritarismo (di cui il sistema carcerario è la sua perversa e sadica espressione), al capitalismo, imperialismo, militarismo, clericalismo, ambientalismo sino anche al marxismo (“cancro marxista, che schiaccia la possibilità di una società libera e sostituisce un dominio sull’altro”)[4], che enfatizza “la corrispondenza fra teoria e prassi”[5], e fa della logica del “noi contro loro”, propria degli ambienti politici più polarizzati, l’unica prospettiva di giudizio valida. Inoltre, l’anarco-insurrezionalista preme per intensificare le tensioni sociali e politiche, al fine di accelerare il collasso sistemico, come auspicato d’altronde anche da quella dottrina c.d. accelerazionista, propria però di molti ambienti del FRVE soprattutto anglosassone, che invoca appunto un misto di azioni, violente e non, nella convinzione che sia necessario alimentare la discordia sociale, sfruttando la decrescita economica, la disoccupazione e tutto ciò che crea disagio sociale, come le crisi finanziarie sino ai lockdown da pandemia, al fine di far collassare i governi legittimi. L’anarchismo insurrezionalista, quell’estrema destra e il jihadismo, quindi, non condividono solo il ricorso alla violenza e sono molto più affini di quanto quegli stessi militanti possano affermare o anche solo immaginare.

Anarchia senza leader, né gerarchie

A differenza dei terroristi dalle robuste ideologie e dalle granitiche organizzazioni degli anni ’70 e ’80, l’anarchismo antagonista sedizioso più recente fonda la sua lotta eversiva sul solo individuo, che è “militante solo quando prepara ed agisce”, e configura una resistenza senza leader (leaderless resistance), informale, senza organismi e gerarchie interne, in modo da prevenire la creazione di meccanismi autoritari e burocratizzanti. In pratica, quindi, “un’organizzazione senza nucleo centrale, caotica e orizzontale”, riflesso della società ideale per la quale l’anarco-antagonista violento ambisce e lotta. Tuttavia, e di fatto, questi sono anche i caratteri propri del jihadismo insurrezionalista, quello di un IS di ultima generazione che opera in contesti non islamici, come l’Europa ad esempio; e lo sono anche di tutto l’ambiente violento del FRVE in ogni dove del mondo occidentale. Per tutti costoro, il riferimento dominante è una struttura orizzontale, con relazioni interne stabili ma estremamente flessibili.

Infatti, l’accusa a Cospito di essere “capo organizzatore di associazione con finalità di terrorismo”, nella fattispecie la Federazione Anarchica Informale-Fronte Rivoluzionario Internazionale (FAI-FRI), già ossimoro per un anarchico se non riferita al rischio di connessioni con il mondo criminale organizzato, di fatto si scontra con una impostazione ideologica estrema, violenta e molto fluida ma che si affida all’intraprendenza operativa di piccole cellule autonome e clandestine (5-20 persone), di cui si compongono i “gruppi di affinità” a volte anche solo temporanei, che poi convergono in questa “federazione”. Una struttura basica, quindi, senza gerarchia e, appunto, senza la dipendenza da ordini dall’alto. La resistenza senza leader è, di fatto, per l’anarco-insurrezionalista, come per il FRVE e il jihadismo extra-Islam, anche una scelta organizzativa imposta dall’accentuarsi delle misure di contrasto all’eversione violenta e al terrorismo: senza un vertice e un organigramma definiti è più difficile individuare capi e manovalanza, ma soprattutto è più problematico introdurre infiltrati e informatori in una organizzazione che, di fatto, non c’è. Ed ecco anche perché, per tutti costoro, è pressoché impossibile operare prevenzione, che sia dell’atto violento come dei rispettivi processi di radicalizzazione.

Questa resistenza senza leader, inoltre, funziona sempre, e per due ragioni molto semplici. Per tutti, anarchici, jihadisti dell’ultima ora e ambienti FRVE, non importa la persona, un capo, un leader di riferimento, quanto invece il progetto, la sua realizzazione, anche se dai tempi lunghi, a fianco di quella che è la propaganda col fatto, non a caso teorizzata da un Carlo Pisacane di impronta proudhoniana[6].

Ispirazione ed emulazione

È la fase nuova di un’eversione contemporanea, di qualsiasi seme ideologico, che ambisce a maggior efficienza. Si definiscono così dinamiche rivoluzionarie post-organizzative, dove a dominare e definire le linee guida è proprio l’esempio dato dall’atto violento in sé, da cui l’ispirazione ed emulazione per chi volesse intraprendere quel percorso e realizzare quel progetto, con tutto ciò che ne consegue. Il singolo jihadista che colpisce in qualsiasi luogo in Europa, infatti, non insegue l’IS, non ambisce o è cosciente di non poterne fare parte strutturalmente: ma ne condivide in toto il progetto e agendo, anche in azioni suicide da martire-testimone, in una sorta di macabra divulgazione propagandistica, si sente parte costruttiva di un ideale universalistico che, nella fattispecie, è spianare la via verso la realizzazione del Califfato.

Così come non c’è neppure bisogno di un altro Hitler, per i giovani di alcune frange del FRVE: l’esaltazione-propaganda dell’azione di un singolo soggetto ha finito, infatti, per sostituire la magnificazione di personalità simbolo, quei miti identificati in un’unica persona, come lo è stato appunto il Führer. Si pensi, nel caso, al destino riservato alla figura di violenti dell’estrema destra, come il norvegese Anders Breivik (Utøya, 2011), il neozelandese Brenton Tarrant (Christchurch, 2019), e persino il nostro Luca Traini (Macerata, 2018): si esaltano le loro gesta ma non la loro persona, e i loro nomi impressi sui calchi dei fucili di loro emuli nel mondo sono più un rimando agli obiettivi finali e ai metodi aggressivi delle loro azioni che al pensiero e al vissuto di questi artefici di storiche stragi. E tutti quelli agivano al di fuori di una qualsiasi forma organizzata. Ciò vale ancor più per il moderno anarchico insurrezionalista, già per sua stessa indole non strutturabile.

La ragione del perché una resistenza senza leader può funzionare come un fenomeno collettivo violento, non sempre riconosciuto come terroristico, è dato anche dalle più moderne forme di contatto intrapersonale, ossia il mondo internet. Lo si è visto in questi mesi, con le azioni di altri soggetti anarchici e non solo europei a favore appunto di Alfredo Cospito, perché la rete è strumento utile per la chiamata globale, anche solo temporanea e ad hoc, per dimostrazioni di “solidarietà rivoluzionaria internazionale con arrestati o ricercati”. Anche se il mondo anarco-insurrezionalista, e non solo nostrano, predilige i rapporti personali (per diffidenza verso gli estranei o perché, per quella lotta, a loro avviso, non c’è bisogno di un grande numero di persone), quando la prospettiva di protesta diventa di tipo internazionale, ecco che il ricorso a internet, come per tutti i circoli ideologici estremi e violenti, è imperativo: permette infatti contatti personali (chat criptate), propaganda e proselitismo (solo più gli anarchici, e raramente, utilizzando testi e volantini stampati), e addirittura addestramento (da azioni di guerriglia urbana alla preparazione di dispostivi incendiari, vie di fuga, etc). L’ambiente è sempre lo stesso, quello del deep e del dark web, ossia l’internet più nascosto ma non così inaccessibile, soprattutto alle giovani generazioni di internauti.

Internauti reclutati per l'haktivism

Senza arrivare agli estremi di una “controrivoluzione digitale senza leader”[7], più prossima al più avanzato e giovanissimo FRVE, tuttavia vi è un avvicinamento degli ambienti anarco-insurrezionalisti a internet, anche se con la consapevolezza di una maggiore vulnerabilità, perché è lì che si concentra la prevenzione e il contrasto degli organismi istituzionali preposti. Però internet garantisce immediatezza e anonimato dell’atto. Non è un caso, infatti, che proprio gli ambienti anarchico-antagonisti ricerchino giovani abili nella navigazione in rete, per quel fenomeno di haktivism che sfrutta abilità informatiche e l’anonimia della navigazione anche per sferrare attacchi DoS a siti e reti di provider, in sostituzione – così almeno sostengono - della violenza fisica.

Ma le similitudini non finiscono qui. Non è raro, infatti, che si manifesti l’effetto di estremismo cumulativo[8], per cui azioni violente, che siano di estrema sinistra, anarco-insurrezionalista, FRVE e dello stesso jihadismo, si risolvono ad essere reciprocamente condizionanti, tanto da spingere l’altra parte verso una maggiore radicalizzazione ideologica, in un circolo vizioso difficile da fermare. Inoltre, per taluni dei più recenti argomenti divisivi (vaccini, 5G, nazionalismo), è avvenuta una sorta di “ibridazione nella lotta” tra anarchici-insurrezionalisti e FRVE, a cui è subentrato, anche qui, una vicendevole radicalizzazione, con scenari di mutua contaminazione anche internazionale, tanto da ritrovarli a combattere uniti, ad esempio, a favore dei curdi in Siria, o a fianco del Battaglione Azov contro Putin in Ucraina [9] o a manifestare insieme per il panslavismo nella Repubblica ceca.


Il grande "collante" del cospirazionismo

Inoltre, anche per l’occorrenza della pandemia e dei lockdown, sono sorte teorie cospirazioniste e là, dove già presenti, hanno preso ulteriore vigore, andando a rafforzare tesi e influenza degli anarco-insurrezionalisti, al pari di quelle dei circoli FRVE, in vari ambienti della popolazione più giovane, e non solo italiana, con buona dose di odio cospiratorio verso il potere e le sue istituzioni. Di fondo, e ben oltre la semplice sfiducia e diffidenza verso chi governa, vi è una visione che è poi elemento costante dell’anarchia, ora condivisa trasversalmente, dell’autorità vigente come nemico da abbattere. Il cospirazionismo è così assurto a fenomeno deviante e globale, coinvolgente tutti gli ambienti estremisti, sia anarco-insurrezionalisti che FRVE, e non solo nostrani[10].

Il ricorso alla violenza è da intendersi, per tutti, nessuno escluso, al pari di una “forza sociale” che, di fatto, si sta attivando sempre più frequentemente durante periodi di profonde crisi economiche e ora, soprattutto, politiche, etiche e valoriali. È quindi sempre il risultato di una generale sregolazione, a più livelli, dovuta a quell’incertezza che, e da tempi immemorabili, accresce l’aggressività nel corpo sociale[11]. Al di là quindi delle intenzioni del radicalizzato Cospito, del suo destino carcerario e di tutti gli anarco-insurrezionalisti internazionali che rappresenta nel suo specifico – perché, ed è bene ricordarlo, la radicalizzazione del singolo avviene solo dopo quella dell’intero gruppo ideologico, anche se non strutturato[12] - è indispensabile prendere coscienza che il ricorso alla violenza politica, che sia fisica o verbale, nelle piazze reali o virtuali, trae ispirazione da una crescente sfiducia e un generale smarrimento verso lo Stato e le sue istituzioni; un male che, oggi, pare non risparmiare genti e società perché trasversale a numerose realtà geografiche e ambientali, e che si alimenta di disillusione per un incerto domani così come percepito dalle giovani generazioni, anche se non più oggi, come lo è stato invece per lungo tempo, solo ed esclusivamente da costoro.


Note

[1] F. Shaukat Munir, M. Hamza, Anarchism: A Legacy of Postmodernism, Global Political Review, VI (IV), 2021, pp. 14-20. [2] La Federazione Anarchica Italiana (FAI), quella storica, ha abbandonato da tempo il ricorso alla violenza. [3] G. Ragona, Anarchismo. Le idee e il movimento, Bari-Roma, 2019. [4] F. Marone, A Profile of the Informal Anarchist Federation in Italy, “CTC Sentinel”, vol. 7, March 2014, p. 22. [5] A. M. Bonanno, Verso la generalizzazione dello scontro armato, “Anarchismo”, n.18, 1977, p. 322-327. [6] C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, Milano, 1956. [7] A. Nagle, Contro la vostra realtà, Come l’estremismo del web è diventato mainstream, Roma, 2022. [8] R. Eatwell, Community Cohesion and Cumulative Extremism in Contemporary Britain, “The Political Quarterly”, vol. 77, 2006, pp.204-216. [9] https://irpimedia.irpi.eu/anarchici-ucraina-e-guerra-russia/ [10] G. Tappero Merlo, Dalla paura all’odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo, Trento 2022. [11] F. Antonelli, S. Musolino, V. Rosato, Drivers of Far-Left Extremism: a Systematic Review on Current International Scientific Literature, “Democrazia e Sicurezza”, n.2, 2021, pp. 193-221. [12] J.M. Berger, Extremism, Cambridge (MA), 2018, p. 117-121.





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