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Il valore che non è negoziabile: Guerra di liberazione passaggio decisivo per l'Italia democratica

Aggiornamento: 24 apr

di Giancarlo Rapetti


@Archivio Pci Torino
@Archivio Pci Torino

Sono anni, ormai, che le manifestazioni per il 25 Aprile hanno perso significato. Non la ricorrenza in sé, sempre attuale, ma le manifestazioni che si svolgono nell’occasione. Non ci si riferisce ai rituali un po’ stanchi degli eventi ufficiali, ma alle piazze. In particolare Milano è stata teatro abituale di episodi di violenza e sopraffazione che tradiscono proprio lo spirito della Festa della Liberazione. Lo schema è quello degli antifa americani: dei soggetti si auto dichiarano antifascisti e per ciò stesso si sentono autorizzati ad aggredire tutti quelli che ritengono i loro avversari, usando proprio il metodo usato a suo tempo dal fascismo per conquistare il potere. Non vale notare che sono pochi, culturalmente identificabili, senza appoggi nelle istituzioni. Vero, ma se così pochi e isolati sono in grado di tenere in scacco le piazze e di dettarne di fatto l’agenda, significa che le istituzioni democratiche sono deboli. Per una società appagata, anziana e anche un po’ stanca, che teme la violenza sopra ogni cosa, è un segnale di allarme rosso.

Per paradosso, il curioso invito alla “sobrietà” da parte del Governo (a-fascista?, non-antifascista?, non-fascista?), nel contesto del lutto nazionale proclamato per la morte di Papa Francesco, avrebbe potuto avere un effetto benefico; ma temo non sarà così.


25 Aprile: ricorrenza fondativa del nostro Paese

Il 25 Aprile meriterebbe di essere celebrato in modo coerente con se stesso. E’ la vera ricorrenza fondativa di questo strano paese chiamato Italia. Senza la Liberazione dal fascismo e dal nazismo non ci sarebbero stati la Repubblica, l’Assemblea Costituente, la Costituzione, lo sviluppo economico, sociale e civile, la stabilità politica e la collocazione nell’Occidente europeo e atlantico.

Cercando di navigare sopra le contingenze della cronaca, ci possiamo porre alcune domande. La prima potrebbe suonare così: il 25 Aprile è la festa di tutti? La risposta è sì. Stabilita con legge dello Stato, collocata nel calendario civile, è obbligatoria per tutti, senza eccezioni. Ognuno è libero di pensare quello che vuole, ma la deve rispettare, come ogni norma dell’ordinamento giuridico. Il bello dello stato di diritto è che prevede diritti e doveri: e come si ha diritto ai diritti, così non si può mancare ai doveri.

La seconda domanda, tuttavia, sembra in contraddizione con la prima: è una festa di parte? Anche in questo caso la risposta è sì. Certo che è la festa di una parte. E’ la festa di tutti coloro che hanno combattuto e sconfitto il fascismo, o di coloro che si identificano in quella parte. Su questo punto si fa spesso confusione: si parla di buona fede da entrambe le parti, che i morti sono tutti uguali, e via dicendo. I morti sono tutti uguali, e sarebbe ingeneroso mettere in discussione la buona fede di alcuni o molti combattenti di Salò. Ma il rispetto dei morti non può cancellare la realtà: il 25 Aprile segna la sconfitta di un regime criminale che la nostra Costituzione afferma non si deve più ripetere.

Quando si dice criminale, si fa una affermazione non politica ma tecnica: il fascismo ha conquistato il potere con la violenza sistematica e organizzata a cominciare dal 1921 e almeno fino al 1926, quando il nuovo ordinamento si stabilizzò. Il momento più emblematico ma, ahimè, non unico, fu l’omicidio di Giacomo Matteotti, il 10 giugno 1924. Si tratta di crimini in senso tecnico perché le violenze fasciste violavano le leggi ancora vigenti. Per chiarire meglio il concetto, le successive condanne del Tribunale Speciale, tra cui quelle di Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Sandro Pertini, furono una aberrazione politica, ma dal punto di vista giuridico erano “legali”.


L'amnistia Togliatti fu la vera pacificazione

Il nostro attuale ordinamento vieta di compiere atti che portino a restaurare o instaurare la Repubblica Sociale Italiana o il Terzo Reich, ma consente di pensare liberamente che sarebbe stato meglio vivere sotto quei regimi. E’ ovvio che chi la pensasse così non può riconoscersi nel 25 Aprile, che gli ricorderebbe una sconfitta o una catastrofe. Sono altrettanto impropri i ragionamenti secondo cui, dopo ottanta anni, sarebbe giusto arrivare ad una memoria condivisa e alla pacificazione. La pacificazione c’è già stata, con la (lungimirante) amnistia Togliatti nel 1946. La condivisione è un valore solo se non prescinde dai fatti e non pretende di modificarli: nel 1945 gli Italiani sconfissero un regime nato criminale e finito con la catastrofe della guerra. Ad ulteriore illustrazione del concetto, si può citare quanto detto anni fa da Vittorio Foa al parlamentare del MSI (Movimento Sociale Italiano) Giorgio Pisanò (in passato volontario della X MAS e ufficiale delle Brigate Nere), che già allora disquisiva appunto di “pacificazione” e “condivisione”: “siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore; se aveste vinto voi, io sarei morto o in prigione”. Come disse un parlamentare francese, a proposito di tutt’altro argomento, “vive la différence”. Sarebbe ora che questa semplice e lineare lettura dei fatti fosse effettivamente condivisa.

La terza domanda è rivolta all’attualità: come vivere oggi il 25 Aprile, in relazione ai contesti attuali? Cioè, come attualizzare quei valori, prendendo posizione sui problemi dell’oggi, in Italia, in Europa, nel mondo? Il minimo sindacale sarebbe impedire l’appropriazione indebita delle piazze e dei cortei da parte degli antifascisti di nome e fascisti di fatto. La risposta complessiva è articolata e spetta alla politica. Resta il punto fermo della storia, non modificabile: il 25 Aprile, Festa della Liberazione dalla tirannide, è l’inizio dell’Italia democratica, costituzionale, repubblicana.


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