Il regime iraniano "prolunga" lo stato di guerra per reprimere la resistenza interna
- Yoosef Lesani
- 6 lug
- Tempo di lettura: 3 min
di Yoosef Lesani

Dopo l'intervento militare di Israele e Stati Uniti contro i siti nucleari, Ali Khamenei ha intensificato nella regione mediorientale del Paese l’ondata di esecuzioni e di repressione poliziesca nel tentativo di ostacolare ulteriori rivolte popolari a fianco delle unità della Resistenza iraniana, che sono fondamentali per rovesciare il regime clericale. Una repressione che è in linea con oltre quarant'anni di dittatura religiosa. Un'autorità teocratica fondata sulla violazione del diritto alla vita del popolo iraniano e che fin dal primo giorno si è distinta per l'oppressione illimitata considerata uno dei pilastri fondamentali per la sua sopravvivenza al potere; da qui le esecuzioni di massa che costituiscono lo strumento privilegiato di questa ferocia. Che non ha distinguo particolari rispetto ai ruoli di vertice, a dispetto di quanto si è portati a credere, attingendo dalle veline del regime.
Infatti, dall’insediamento del nuovo presidente della Repubblica iraniana, Masoud Pezeshkian (2 agosto 2024), descritto come un "riformista", sono state eseguite circa 1.370 esecuzioni, tra cui donne e minorenni. Nel solo periodo compreso tra il 20 maggio e il 20 giugno scorso, si sono registrate circa 140 impiccagioni.
Ora, dopo 12 giorni di guerra tra Iran e Israele con attacchi intensificati e rivendicazioni contrastanti, gli ayatollah tentano di mantenere un clima bellico per imporre una stretta politica sempre più intensa sulla società, alimentata da una rabbia vulcanica e incontrollabile, frutto del radicalismo delle rivolte passate. In questo modo, cercano di impedire nuove sollevazioni e proteste su scala nazionale che potrebbero determinare il crollo di ciò che si può apertamente considerare fascismo religioso. Non a caso, in questi giorni si è di fronte a un'ondata di arresti arbitrari (700 persone con l'accusa di spionaggio) e di esecuzioni.
I recenti sviluppi in Iran hanno dimostrato per l'ennesima volta che la principale e legittima lotta in corso da quarantaquattro anni in Iran (precisamente dal 20 giugno 1981) è quella del popolo iraniano (il Fronte Popolare), insieme al suo movimento di Resistenza democratica (Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana – Cnri) contro la feroce dittatura teocratica degli ayatollah, andata avanti senza sosta.
Per oltre due decenni, il Cnri sostiene la Terza Via per il futuro dell’Iran democratico, come proposto per la prima volta nel 2004 al Parlamento europeo dalla signora Maryam Rajavi, Presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri).
La guerra non ha mai portato la democrazia da nessuna parte
Una politica di accondiscendenza con la dittatura teocratica, che non dimentichiamolo ha favorito il terrorismo in Medio Oriente e ha dato fiato al fondamentalismo islamico, non potrebbe che incoraggiare il regime clericale a proseguire un’ingiustificata e disumana repressione interna. Inoltre, alimenta nuovi focolai di tensione e instabilità nella regione per poi accelerare una radicalizzazione ideologica contro l'Occidente, con le conseguenze nefaste che conosciamo da decenni. Questo scenario, peraltro, accelera anche il processo di arricchimento dell’uranio per realizzare la bomba atomica (un progetto costato almeno duemila miliardi di dollari e pagato con un abbassamento del tenore di vita dal popolo iraniano) diventato garanzia vitale per la sopravvivenza del regime e per imporre la propria egemonia regionale.
La Terza Via indica il cambio di regime attraverso il popolo e la sua Resistenza organizzata, considerata un diritto sovrano che porterà alla democrazia e prosperità per l’Iran e alla pace nel mondo intero. Questa legittima proposta è stata ribadita ancora una volta in una conferenza tenutasi mercoledì 18 giugno al Parlamento europeo di Strasburgo, con la partecipazione di signora Maryam Rajavi, Presidente del CNRI, e di europarlamentari.













































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