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Il coraggio di Papa Francesco in difesa di Gaza e la reazione fuori dalla realtà di Israele

di Luca Rolandi

 

Ritorna Papa Francesco sul tema della guerra e della violenza è le sue parole rimbalzano come un vortice di commenti, aspre critiche e motivi di disagio e distacchi. Tutto nasce dal volume La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, a cura di Hernán Reyes Alcaide (Edizioni Piemme), in uscita in questi giorni in Italia, Spagna e America Latina, e poi in vari altri Paesi. Papa Bergoglio riflette su famiglia, educazione, situazione sociopolitica ed economica del pianeta, migrazioni, crisi climatica, nuove tecnologie e pace.

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Tutto scorre liscio senza polemiche, ma in realtà dovrebbe toccare le coscienze delle donne e degli uomini contemporanei, il discorso di Francesco. Le denunce sono pesantissime e riguardano un mondo che dimentica il dialogo, la diplomazia, il colloquio, la fraternità e invece ritorna al conflitto perenne, sdogana la guerra e alimenta il commercio delle armi, convive tra indifferenza e sofferenze, lo stato belligerante permanente in Ucraina, come in Palestina ed Israele, nello Yemen e in Congo e in altri decine di territori e luoghi del mondo.

Ma ciò che ha fatto deflagrare la tensione è la parola genocidio.  In sintesi, il Pontefice si chiede se sia necessario “Indagare se a Gaza è in atto un genocidio”, in un quadro che definisce senza mezzi termini disumano. Papa Francesco non usa eufemismi e chiede alla comunità internazionale di appurare se le accuse contro la condotta di Israele nel conflitto formulate da giuristi e organismi internazionali siano fondate. La reazione di Tel Aviv è sdegnata e l’ambasciata ha replicato con fermezza: “Chiamare l’autodifesa con altri nomi significa isolare lo Stato ebraico”. Il caso è scoppiato e la politica aggressiva di Netanyahu sta incrinando anche i rapporti fra Chiesa e mondo ebraico. Queste riflessioni di Francesco allontanano e seminano la diffidenza tra mondo ebraico e mondo cattolico.

L’affermazione di Francesco si inserisce però in un quadro complesso e articolato. In oltre tredici mesi di guerra, lo spettro del genocidio è aleggiato più volte sullo Stato d'Israele. Non sono solo i palestinesi a scagliarlo con forza sull’altra parte. L’accusa è stata mossa da più parti. Alcune, di certo, interessate. Ma è altrettanto innegabile che vari esperti internazionali sostengano la legittimità dell’impiego di tale categoria sulla quale il Sudafrica ha avviato una causa, tuttora in corso, alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. E i pareri favorevoli sono diventati più numerosi dall’ennesima operazione sul nord della Striscia. A supportarli, in modo indiretto, le affermazioni dei vertici militari – da ultimo ribadite dall’ormai ex ministro della Difesa, Yoav Gallant – secondo cui ormai gli obiettivi sono stati raggiunti: è, dunque, inutile proseguire i combattimenti. Nonché il sospetto che il governo di Benjamin Netanyahu stia applicando a nord del corridoio di Netzarim il cosiddetto “piano dei generali” che prevede di affamare i civili per costringerli a sfollare, lasciando l’area libera per la creazione di una sorta di cuscinetto. 

Il Papa non ha preso posizione netta poiché non è il suo compito, ma ha suggerito la necessità di un’inchiesta approfondita. Solo quest’ultima può stabilire la verità giuridica, fugando dubbi e evitando manipolazioni politiche. Eppure, Israele ha respinto con veemenza l’idea. Quella di Tel Aviv è autodifesa di fronte al «massacro genocida» del 7 ottobre, ha scritto l’ambasciata presso la Santa Sede. In fondo, come ha scritto un autorevole commentatore come Francesco Cundari con crudo realismo “più il tempo passa, più Israele continua la sua offensiva, più sale il numero delle vittime, comunque le si conteggi. Di conseguenza, anche le accuse che un anno fa potevano apparire più esagerate, si fanno giorno dopo giorno più credibili, mentre la posizione del governo Netanyahu si fa sempre meno difendibile e l’isolamento di Israele più completo e soffocante. Le parole del Papa andrebbero considerate soprattutto come il dito che indica la luna, cioè questa pericolosissima spirale, che gli amici di Israele per primi dovrebbero osservare con preoccupazione”.

 


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