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Finché c'è guerra, si guadagna... La grande "sbronza" delle armi

di Andrea Ciattaglia



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Più 450 per cento. È la crescita azionaria fatta registrare da Leonardo, azienda dell’aerospazio, difesa e sicurezza, negli ultimi due anni. Come gli altri grandi produttori di armamenti europei e statunitensi, l’ex Finmeccanica vola in borsa. Una corsa al rialzo che procede di pari passo con l’apertura di nuovi fronti della «guerra mondiale a pezzi» e le politiche di riarmo della Commissione europea e della Nato, che ha fissato al 5% in rapporto al Pil l’obiettivo della spesa per la cosiddetta Difesa.

La traduzione concreta di quei programmi sarà questione complessa e controversa, intanto, però, le armi incassano credito ancor prima di essere effettivamente prodotte. All’estero, tra l’altro, come ha confermato il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, ricordando che l’Italia per rafforzare la Difesa è destinata ad acquistare per l’80% dei prodotti dagli Stati Uniti.

La redditività delle «azioni armate» ha origine dal crescente flusso di risorse finanziarie verso i grandi produttori di armamenti. Si tratta di una migrazione che avviene in misura residuale attraverso l’acquisto di singole azioni e sempre più attraverso strumenti di investimento gestiti da pochi grandi intermediari finanziari mondiali (BlackRock, Vanguard, J. P. Morgan, State Street, Amundi…). Ne sono un esempio gli Etf (Exchange traded fund, fondi scambiati in borsa) che contengono al loro interno pacchetti di decine, a volte centinaia di azioni, diversificate con l’obiettivo di massimizzare i profitti, obiettivo che in questa fase le azioni di industrie armate garantiscono.

Negli ultimi tempi ne sono stati persino creati «a tema» Difesa, con una collezione di partecipazioni in produttori bellici e prospettive di grande redditività. A che prezzo? Per i risparmiatori che hanno intenzione di valutarlo, si pone un tema etico di ricognizione sul risparmio investito.


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