Esplosivi e cannoni bloccati dai "camalli" nel porto di Genova
- Gianni Alioti
- 8 ago
- Tempo di lettura: 6 min
Erano destinati ai teatri di guerra in Medio Oriente
di Gianni Alioti

La USB, la confederazione sindacale alla quale aderiscono gli attivisti del collettivo autonomo lavoratori portuali (CALP) di Genova, aveva appena finito di festeggiare una vittoria per la decisione della compagnia cinese Cosco di riportare indietro a Singapore i cinque container carichi di materiali di armamento destinati a Israele[1], che ha dovuto subito fare i conti con un altro trasferimento di armamenti ed esplosivi verso il Medio-Oriente… E, non solo.
Nelle banchine del terminal GMT giaceva in bella vista, come da notizia segnalata dall'osservatorio The Weapon Watch il 6 agosto, e ripresa in un precedente articolo su La Porta di Vetro[2], uno dei due cannoni navali super-rapidi da 76mm. prodotti da Leonardo nel vecchio stabilimento ex-OTO Melara di Spezia, per essere imbarcati sulla nave cargo “Bhari Yambu” battente bandiera saudita attraccata la mattina del 7 agosto nel porto di Genova.
La mobilitazione dei “camalli” non si è fatta attendere. E questa volta non ha riguardato solo i portuali della USB, ma anche quelli organizzati nelle federazioni dei trasporti di CGIL, CISL e UIL. La mattina del 7 agosto, la USB ha organizzato un presidio davanti a Palazzo San Giorgio sede della Autorità di Sistema Portuale Mar Ligure Occidentale, mentre i confederali hanno organizzato un presidio presso il terminal GMT e chiesto un incontro urgente in Prefettura.
Sia nell’incontro della USB con il presidente dell’Autorità portuale, sia in quello di CGIL, CISL e UIL con il prefetto di Genova, è stato comunicato che i cannoni navali di Leonardo sono destinati al cantiere ADSB, con sede negli Emirati Arabi Uniti, specializzato nella costruzione, riparazione e manutenzione navale. Il cantiere navale fa parte di EDGE uno dei gruppi leader a livello mondiale nel settore militare, che ha costituito una joint-venture con Fincantieri (denominata Maestral) con base ad Abu Dhabi, per realizzare un “progetto di partnership strategica per l’intera flotta della Marina militare degli Emirati Arabi Uniti. Secondo le istituzioni l’autorizzazione all’esportazione di questi cannoni navali sarebbe, pertanto, avvenuta nel rispetto delle normative vigenti.

La denuncia alla magistratura
Ma queste rassicurazioni non hanno convinto i lavoratori portuali, soprattutto, dopo aver riscontrato l’enorme carico di veicoli corazzati da combattimento, mezzi anfibi statunitensi e container di munizioni classificati con codice 1-E1.1 come altamente esplosivi trasportato dalla “Bhari Yambu” proveniente dal porto americano di Dundalk, chiaramente destinato a scenari di guerra e di emergenze umanitarie in Medio-Oriente. Materiali d’armamento, peraltro, “privi della documentazione necessaria per il transito e lo stazionamento in porto in violazione delle norme vigenti e dei protocolli di sicurezza”.
Alla luce di ciò la USB Porti di Genova ha presentato un esposto alla magistratura per violazione della Legge 185/90, la norma che regola l’esportazione e il transito di armamenti dal territorio italiano. Il fascicolo è stato affidato al procuratore aggiunto Federico Manotti, che ha delegato le indagini alla Digos e alla Capitaneria di Porto. USB e CALP hanno promosso la mattina dell’8 agosto un altro presidio e manifestazione al varco portuale di Ponte Etiopia, la FILT e la CGIL di Genova (sindacato maggioritario tra i portuali dello scalo genovese) ha confermato il blocco di qualsiasi carico di armi dal porto di Genova, mentre le federazioni dei trasporti di CISL e UIL di Genova hanno dichiarato di tutelare tutti i lavoratori che, per ragioni di coscienza, decidano di non partecipare alle operazioni d’imbarco del materiale bellico in questione.
Un primo importante risultato dell’azione diretta dei portuali di Genova, che pur “marciando divisi, hanno colpito uniti” (parafrasando uno slogan degli anni ’50 del fondatore della CISL, Giulio Pastore) è che i cannoni navali di Leonardo resteranno a terra e non saranno imbarcati sulla “Bhari Yambu”.
La notizia l’ha comunicata la FILT CGIL: “[…] abbiamo incontrato l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale esprimendo quanto esposto nell’incontro svoltosi ieri in Prefettura e ribadendo la nostra posizione. Successivamente a questo incontro abbiamo ricevuto informazione da parte del Terminal GMT che l’Agenzia Marittima avrebbe dato comunicazione che non imbarcherà il materiale bellico interessato. Continueremo a monitorare che quanto detto venga rispettato”. “La nave non imbarcherà quegli armamenti – ha confermato Marco Pietrasanta, coordinatore FILT CGIL della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie CULMV "Paride Batini” -. Ce lo ha detto la stessa Agenzia Marittima: la CGIL, in caso contrario, sarebbe stata pronta a bloccare tutte le attività del terminal. Quel materiale non si tocca, resterà a terra”. E, in effetti, in serata è stato portato fuori dal porto di Genova.

Il "giallo" dei sistemi d'arma
Sui cannoni navali OTO Melara 76/62, ci sono almeno due precedenti recenti denunciati da The Weapon Watch e da Rete italiana Pace e Disarmo che non giocano affatto a favore della trasparenza e del rispetto dello stesso codice etico adottato volontariamente dal gruppo Leonardo. Il primo riguarda l’utilizzo di questi sistemi d’arma installati nelle corvette della classe “Sa’ar 6”, realizzate dalla società tedesca ThyssenKrupp Marine Systems e in dotazione al “Corpo Navale Israeliano”, per bombardare la Striscia di Gaza dal mare[3]. Notizia che Leonardo non ha potuto smentire, ma sulla quale non ha mai chiarito chi continua a garantire agli israeliani i pezzi di ricambio e le manutenzioni di questi sistemi. Il secondo si riferisce al fatto che i cannoni navali OTO Melara 76/62 siano finiti anche sulle corvette e fregate della Marina militare del feroce regime al potere in Myanmar, su cui esiste un embargo internazionale sostenuto con maggiore rigore dai paesi occidentali, Stati Uniti e Paesi europei in testa[4]. In questo caso Leonardo ha smentito categoricamente qualsiasi fornitura diretta o indiretta (tramite terzi) al Myanmar di questi sistemi d’arma, minacciando querele. Ma non si è mai seriamente preoccupata di capire come sia potuto succedere. E ciò rende meno affidabile, è opinione diffusa, da parte di Leonardo sia la gestione delle esportazioni di materiali d’armamento (e dei relativi “certificati di uso finale”), sia il trasferimento di tecnologie ad altri paesi.
Alla base di questi precedenti anche la destinazione dei cannoni navali di Leonardo agli Emirati Arabi Uniti pone diversi interrogativi, sia sull’uso finale dei sistemi d’arma venduti, sia sul profilo del paese in riferimento ad alcuni criteri stringenti con i quali la Legge 185/90 vieta l’esportazione di materiale d’armamento. Nei giorni scorsi The Weapon Watch, a supporto dell’azione dei portuali, ha scritto che[5]: […] gli Emirati hanno partecipato alla guerra contro lo Yemen, con migliaia di vittime civili dal 2014 a oggi, guerra che non si è conclusa e anzi minaccia di riesplodere dopo l’attacco israeliano all’Iran; e stanno sostenendo le Forze di intervento rapido, milizia operante nel Sud Sudan e protagonista della sanguinosa guerra civile in corso[6]. Gli Emirati Arabi Uniti nel 2025 sono al 119° posto (su 167 paesi) del Democracy Index della rivista «the Economist», inseriti tra i paesi autoritari privi di sistema elettorale e con scarsissime libertà civili. […]
Per questi motivi, la lotta dei portuali genovesi è stata sacrosanta e ha ricevuto anche la solidarietà e il sostegno della federazione europea dei lavoratori dei trasporti, la ETF - European Transport Workers' Federation.

Il passo indietro dei colossi della logistica
Il successo si aggiunge, a distanza di pochi giorni, alla vittoria ottenuta nei confronti della Cosco. Dopo la segnalazione arrivata dal porto del Pireo e l’annuncio da parte della USB Porti di uno sciopero al terminal PSA di Genova Pra’, la compagnia di stato cinese ha deciso di riportare il carico a Singapore, porto di partenza. José Nivoi, sindacalista USB Mari e Porti e attivista del Collettivo autonomo lavoratori portuali ha dichiarato al Fatto Quotidiano: “Non era mai successo: è bastato annunciare lo sciopero e la compagnia ha rinunciato allo scarico. Una vittoria impensabile. […] Non è la prima volta che indiciamo uno sciopero contro il transito d’armi verso teatri di guerra, ma questa volta il clima è stato diverso”.
Durante l’assemblea dei delegati PSA con i lavoratori è emersa un’adesione larghissima. Lo sciopero annunciato si preannunciava compatto e determinato, capace di rallentare le operazioni con effetti economici e d’immagine significativi per Cosco. “Eravamo pronti a bloccare tutto, ma non pensavamo sarebbe bastato l’annuncio”, aggiungono dal Calp. “È un segnale forte. L’indignazione non si limita più ai soliti circuiti di attivisti e militanti: oggi ha prodotto scelte inedite anche in colossi economici e giganti della logistica come Cosco, Evergreen e lo stesso terminal PSA”.[7]
Note
[1] The Weapon Watch aveva ricostruito il percorso dei cinque container segnalati (tre di Evergreen, uno di Triton e uno di una compagnia sino-panamense). Partiti a fine giugno dal porto di Mumbai, India, per Singapore, sono stati qui caricati sulla «Cosco Shipping Pisces», grande porta container da 20.000 TEU che opera sulla rotta Asia-Mediterraneo. Dal Pireo, dove grazie ai portuali greci i container non erano stati scaricati, la «Pisces» ha toccato - secondo programma - i porti di La Spezia, Genova, Marsiglia-Fos e Valencia, prima di ripartire per il Far East.
[2] https://www.laportadivetro.com/post/l-inazione-politica-su-gaza-e-palestina-%C3%A8-negligenza-criminale
[5] https://www.weaponwatch.net/2025/08/07/la-bahri-yanbu-e-nel-porto-di-genova-con-il-suo-carico-di-morte/
[6]https://www.africarivista.it/escalation-diplomatica-tra-sudan-ed-emirati-accuse-di-mercenari-e-blocchi-aerei/275397/
[7] Foto su gentile concessione di Weapon Watch













































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