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Elezioni Usa. Vittoria di Trump, ai democratici non sono "bastate" le guerre

  • Vice
  • 6 nov 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 6 nov 2024

di Vice


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Il settantottenne Donald Trump è il 47° presidente degli Stati Uniti. Il tycoon ha annunciato ai suoi sostenitori la sua vittoria da Palm Beach. Il ritorno del candidato repubblicano alla Casa Bianca è stato accompagnato da numeri inequivocabili, che non autorizzano a ipotizzare ricorsi e contestazioni da parte del candidato democratico Kamala Harris.

"Abbiamo fatto la storia, e il motivo è semplicemente che abbiamo superato ostacoli che nessuno pensava possibili, ed è ora chiaro che abbiamo realizzato la cosa politica più incredibile", ha detto Trump con il suo abituale tono perentorio, ma non meno vene di arroganza. Poi, con pari sicurezza ha promesso di spalancare le porte di una nuova "età dell'oro" agli Usa e ridare agli americani quel benessere che stava diventando memoria nostalgica.

Ma, soprattutto, il nuovo presidente americano ha rovesciato con una sola frase l'intera politica estera di Joe Biden, miele per l'udito dei suoi connazionali, stanchi di muoversi sempre e unicamente nel solco delle prove di forza muscolari: "Non inizierò guerre, ma le fermerò". Il sigillo a quanto ripetutamente affermato nel corso della campagna elettorale, mentre l'amministrazione Biden continuava a staccare assegni all'Ucraina e al suo presidente Zelensky, e l'esausto Segretario di Stato Blinken girava inutilmente come una trottola il Medio Oriente alla ricerca di soluzioni per Gaza cui nessuno più crede per la caduta di credibilità della Casa Bianca.

Tuttavia sarebbe errato, e viziato anche da schematismo prevenuto, affermare che i democratici e Kamala Harris siano scivolati rovinosamente unicamente sulle guerre, perché, semmai, la loro prima responsabilità è quella di aver rinunciato cinicamente alla pace, a cominciare dall'abbandono dell'Afghanistan, di cui sono colpevoli in toto Joe Biden e il suo entourage, e di aver fatto sparire dagli schermi radar la diplomazia americana per sostituirla con i centri di intelligence e con i vertici della Nato, plenipotenziari dell'onnipotente apparato militare industriale.

Così, se Donald Trump scontò quattro anni fa anche il suo rifiuto a misurarsi seriamente con gli effetti della pandemia da Covid, giocando sulla degli americani con i suoi atteggiamenti da guitto e le sue orribili e stupide battute sui vaccini, oggi i democratici pagano un prezzo oneroso all'assenza di una proposta un'alternativa alla guerra, pre-condizione per dare al mondo occidentale una visione costruttiva e concreta, e non idealizzata con principi e valori astratti e fumosi a contatto della realtà.

Il premier israeliano Netanyahu sarà il prossimo a cadere sulla guerra se non sarà rapido nell'adeguarsi al nuovo corso di Washington. Ma l'esautoramento del ministro della Difesa Gallant, per fare spazio al "falco" Katz, non è il miglior biglietto da visita e potrebbe rivelarsi il suo canto del cigno. La piazza è già insorta. E l'analisi spietata del quotidiano israeliano Haaretz lascia in panchina qualunque commento: "Netanyahu è un pericolo chiaro e presente per Israele. [...] Tredici mesi dopo l'attacco mortale di Hamas, che ha visto Israele in una posizione di debolezza interna senza precedenti a causa del tentativo di colpo di stato del governo, Netanyahu sta ancora una volta ponendo una minaccia diretta alla democrazia – e licenziare Gallant non sarà la sua mossa finale".

Conta "Bibi" comunque sull'appoggio della Casa Bianca? Stavolta potrebbe avere sbagliato i suoi calcoli. Il nuovo presidente americano avrà bisogno di uomini al potere che sappiano raffreddare le tensioni internazionali, pompieri non per nascita o vocazione, sia chiaro, ma per opportunità politica, non incendiari della prima o ultima ora.

Del resto, l'America nella visione trumpiana avrà bisogno di più amici e meno nemici ad ogni latitudine per entrare nell'età dell'oro, senza sofferenze. Ne approfitti l'Europa per diventare Stati Uniti d'Europa.



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