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Elezioni regionali: vince sempre il maggioritario "patologico"

Domani, domenica 5 ottobre, e lunedì prossimi urne aperte in Calabria per l'elezione dei membri del Consiglio regionale e del presidente della Regione. Sarà un testa a testa tra il presidente uscente Roberto Occhiuto, vice segretario di Forza Italia, sostenuto da una coalizione di centro destra che comprende, oltre al suo partito, Fratelli d’Italia, Lega e Noi Moderati, l’Unione di Centro, Sud Chiama Nord e due liste civiche (“Forza Azzurri” e “Occhiuto Presidente”). Occhiuto si è dimesso il 31 luglio scorso (il mandato scadeva nell'autunno del 2026) dopo il suo coinvolgimento in inchiesta per corruzione avviata dalla Procura di Catanzaro.

Occhiuto si misurerà con Pasquale Tridico, ex presidente dell’INPS, parlamentare europeo del Movimento Cinquestelle, candidato del centro sinistra, sostenuto dal Partito Democratico, da Alleanza Verdi-Sinistra, da Italia Viva e da due liste civiche (“Democratici e Progressisti” e “Tridico Presidente”). L’unico partito di opposizione a non appoggiare Tridico è Azione. Alla competizione partecipa anche Francesco Toscano, presidente di Democrazia Sovrana Popolare, partito fondato insieme a Marco Rizzo.

In attesa del risultato calabrese, cui seguiranno le consultazioni in Toscana (domenica 12 e lunedì 13 ottobre), Campania, Puglia e Veneto (domenica 23 e lunedì 24 novembre), il commento sul risultato che si è registrato con il voto nelle Marche di domenica e lunedì scorso. (PdV)


di Giancarlo Rapetti


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“Disse il Ranocchio alla Principessa: se una Principessa mi bacerà, la trasformazione avverrà. La Principessa lo baciò, e in Ranocchia si trasformò”. Questa in sintesi la lezione delle elezioni regionali nelle Marche per la Segretaria del (ex?) Partito Democratico. Elly Schlein ha sacrificato tutto sull’altare “testardamente unitario”: ha pensato alle regionali solo come affermazione dello schema campo largo (a tre punte), ha accettato l’intero programma del MoVimento Cinque Stelle, ha bruciato pure Matteo Ricci, che ha dissolto in poche settimane il suo degno curriculum da Sindaco di Pesaro. Che cosa ha ottenuto? Niente. Il campo largo non funziona neanche come numeri elettorali. E, detto francamente, non è una cattiva notizia.

Cambierà linea la Segretaria che nessuno aveva visto arrivare? Lo dirà lei, ma è improbabile. Ogni giorno che passa si evidenzia che la sottomissione all’agenda Cinque Stelle non è solo una necessità tattica, ma una convinzione condivisa. Il Partito Democratico è stato definitamente snaturato, e questa sì che è una cattiva notizia.

Il PD esprime la maggior parte degli amministratori locali di qualità in questo paese, ed annovera alcune tra le migliori teste pensanti della politica italiana. Tutti ridotti al silenzio. Salvatore Merlo, vicedirettore del Foglio, ha spiegato piuttosto brutalmente che, siccome il segretario nazionale del Partito decide le candidature, chi si esponga a criticare o dissentire può essere estromesso dalle liste. Sostanzialmente è vero. Non essendoci una legge sui partiti, gli stessi non hanno personalità giuridica e hanno libertà statutaria. Nel caso del PD, lo statuto, oltre ad attribuire al segretario la titolarità del simbolo, prevede anche che il regolamento per le candidature sia deciso di volta in volta dalla Direzione Nazionale, dove il segretario è ovviamente in maggioranza precostituita.

Dalle elezioni marchigiane, inoltre, si possono trarre ulteriori indicazioni. Eligendo, il portale delle elezioni del ministero dell'Interno, non pubblica i valori assoluti degli elettori (aventi diritto al voto) e nemmeno i voti non validi, ma solo i valori assoluti dei voti validi, senza totali. Ci dobbiamo fidare della percentuale dei votanti, il 50,01. È presumibile, tenuto conto di schede bianche e nulle, che la percentuale dei voti validi sia ancora meno. Ma anche se, per assurdo, tutti i voti espressi fossero validi, il Presidente regionale eletto, Francesco Acquaroli, espressione di una coalizione conforme alla maggioranza nazionale, avrebbe ottenuto il 26 per cento dei voti potenziali. Un governo assoluto espresso da una minoranza. È meraviglioso che nessuno inorridisca per un simile plateale ossimoro. Che resterebbe tale, sia chiaro, se a vincere fosse stato Matteo Ricci o chiunque degli altri candidati. E che si ripete puntualmente, con numeri anche più ristretti, ad ogni elezione regionale. Poste queste premesse, la larga astensione si spiega anche con la evidente crisi della rappresentanza: non solo la legge elettorale toglie libertà all’elettore, costretto a scegliere tra chi ha sulla carta più chance, ma basta un voto di differenza (tra i pochi espressi) a decidere chi prende e chi perde tutto.

Naturalmente, non tutte le astensioni sono attive, cioè dovute alla mancanza di una offerta politica adeguata. Ci sono le astensioni fisiologiche, dovute a problemi sanitari, difficoltà logistiche, circostanze impreviste. Ci sono le astensioni patologiche, dovute a motivazioni prepolitiche di chi non si riconosce comunque nel contratto sociale (la cosiddetta seconda società teorizzata anni fa da Alberto Asor Rosa). Resta comunque un numero non irrilevante di potenziali elettori che vivono il turbamento di non poter scegliere liberamente i propri rappresentanti. Parlando in generale, in tutti i sistemi proporzionali la percentuale dei votanti è superiore che nei maggioritari. Per di più, nelle leggi elettorali regionali in Italia non siamo al maggioritario semplice, siamo al maggioritario patologico.

La questione è complessa, investe il funzionamento delle società democratiche mature. Ma c’è un lato positivo. Almeno come primo rimedio, non c’è bisogno di chiamare in causa la psicoanalisi o la sociologia: basta cambiare la legge elettorale.  


1 commento


Forse la legge elettorale maggioritaria non basta, ci vuole anche una legge per organizzare democraticamente i partiti, considerando che non hanno sostenuto la raccolta di firme per il referendum Besostri.

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