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Difesa Europea, quale modello?


di Michele Corrado


L’appassionante dibattito sulla Difesa europea sta conquistando sempre più l’attenzione dei media. Ma, proprio l'esasperazione attenzione su un argomento specialistico causa stravaganti interpretazioni e, aspetto ancor più preoccupante, fantasiose proposte. Dopo essersi appiattiti sul concetto di difesa “Nato”, noto a tutti, ma da pochi conosciuto nella sostanza, si pensa che attualmente quel modello sia superato. Premesso che la Nato oggi è come cinque o dieci anni addietro, la sua organizzazione non è cambiata e il suo “Concetto strategico” (il documento che definisce cosa l’Alleanza deve fare), è sempre il medesimo. Si cerca invece di costituire uno strumento militare dell’UE che dovrebbe garantirci la sicurezza comune futura. L’Unione Europea è una organizzazione fondamentalmente economica che ha dato vita ad una moneta comune e come output, in un momento di crisi, ha espresso un risultato non politico o militare, ma economico: uno stanziamento comune di un certo numero di centinaia di miliardi di euro che produrrebbe un sistema di difesa che ci metterebbe al riparo da qualsiasi minaccia esterna.

Le organizzazioni militari hanno sicuramente bisogno di considerevoli basi economiche, ma non è la disponibilità a definire lo strumento da edificare, ma la minaccia dalla quale bisogna proteggersi e la conseguente Dottrina che definisce nel dettaglio i vari livelli (Strategico Operativo e Tattico), che consentono di realizzare e condurre le varie tipologie di operazioni militari. Questa premessa non sembra sia stata ancora approcciata dai vari livelli dei decisori, mentre si disquisisce fra due proposte di Difesa quali un modello basato su Forze Armate uniche sovranazionali, oppure una federazione unità messe a disposizione dai vari Paesi, simile alla Nato. I due modelli sono completamente diversi per due aspetti fondamentali, poiché nel primo i Paesi europei non avrebbero più Forze Armate proprie, mentre nel secondo i costi per mantenere le rispettive Forze nazionali più le strutture per il coordinamento e la gestione degli assetti forniti dai vari Paesi sarebbero decuplicati. Ora, nessun Paese pare voglia privarsi delle proprie Forze Armate, è quindi plausibile che si andrà verso un modello simil Nato. Tale modello si traduce in un triplicarsi dei costi, dovendo finanziare la partecipazione alla Nato, il mantenimento a livello del sistema Difesa dei singoli Paesi e la quota per la formazione dello Strumento difensivo europeo. Per fare un esempio, ci sarà bisogno di uno Stato Maggiore della Difesa per ogni Nazione, di uno Stato Maggiore della Difesa della UE e del mantenimento del Supremo Comando Nato (Shape, Supreme Headquartrers Allied Powers Europe), di Mons.

Nel particolare, ogni Paese dovrà dotarsi di assetti nazionali, europei e Nato. Ovviamente questa è la teoria. Nella pratica si potrebbe verificare uno scenario non facilmente districabile nella gestione e configurazione dei poteri. Ad esempio, una portaerei italiana, in forza alla Marina Militare, potrebbe essere data disponibile per la Difesa Europea, ma nello stesso tempo rappresenterà una contribuzione alla Nato che ne potrà disporre d'autorità in caso di mobilitazione. Ora la portaerei è sempre la stessa, ma i Comandi che la gestirebbero sono tre, costituiti da migliaia di persone ognuno, ed è bene ricordare che il personale è la componente più onerosa; si pagherebbe tre per avere uno. L'esempio è utile per far comprendere che il percorso che si sta intraprendendo è ancora solo agli inizi e cosparso di problemi che a volte nulla hanno a che fare con la disponibilità finanziaria. Ben vengano i dibattiti, ma è sempre opportuno ricordare che processi di questo tipo hanno bisogno di decenni, indifferentemente dalla disponibilità di delle risorse economiche in quanto, concettualmente, una portaerei vale quanto un soldato.

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