"Contro ogni equidistanza tra Israele e terrorismo di Hamas"
Aggiornamento: 22 nov 2023
di Giancarlo Rapetti*

Conosciamo da tempo la ferocia del terrorismo che ha colpito molte parti del mondo e dell’Europa. Ma l’attacco di Hamas ad Israele ha rappresentato un ulteriore salto verso il male: “una tattica di guerra con strumenti terroristici, utilizzando tutti i principi della guerra asimmetrica” secondo la definizione di Marco Minniti. E’ cresciuta la scala, è cresciuta la ferocia.
Per rendersi conto della “scala”, basteranno due semplici dati: dagli accordi di Oslo al 6 ottobre 2023 sono stati uccisi in attentati terroristici poco più di duemila cittadini israeliani. Nella sola giornata del 7 ottobre, le vittime israeliane sono state circa mille (il numero esatto non è ancora noto).
L’asimmetria, poi, non sta solo nelle modalità: da una parte uno stato democratico che rispetta rigorosamente regole di comportamento, dall’altro una organizzazione del terrore che fa del mancato rispetto di quelle regole il suo punto di forza. Sta anche negli obiettivi: Israele vuole esistere, accanto ai suoi vicini, entro confini sicuri; Hamas, e i gruppi ad essa collegati, i loro alleati e mandanti, hanno l’obiettivo di distruggere lo stato di Israele, sottomettere gli ebrei, oppure cacciarli, oppure sterminarli. La soluzione “due popoli due stati” (per quanto complessa e problematica) è stata indebolita dalla controparte araba, che vuole un solo stato arabo “from the river to the sea”, dal Giordano al Mediterraneo e considera ogni accordo come una tappa tattica verso l’obiettivo.
E’ cresciuta dunque la scala, è cresciuta la ferocia. A tal punto che la condanna di Hamas nel mondo occidentale è stata pronta e diffusa; anche le istituzioni europee, solitamente ambigue, non hanno esitato.
Eppure, restano due grossi interrogativi. Il primo, evidenziato da Mieli, è quanto durerà questa solidarietà a Israele; e, aggiungo, quanto si manifesterà in concreto.
Il secondo è più “filosofico”: la solidarietà a Israele e la condanna di Hamas sono diffusi, ma non unanimi. Nella politica, nella cultura, e nell’universo indistinto dei social media, accanto al sostegno ad Israele senza se e senza ma, ci sono non poche voci diverse, che vanno dall’equidistanza all’esplicita presa di posizione a favore di Hamas.
Come si spiegano queste posizioni che confliggono così vistosamente con la realtà dei fatti e anche con gli interessi del mondo libero in cui viviamo?
Bisogna ammettere che in molte cose le scelte umane non sono razionali o basate sui fatti, ma sono, emotive, istintive, “a prescindere”, come diceva Totò, o “a priori”, come diceva Kant. Ogni ragionamento successivo parte da assiomi non dimostrabili, che solo in alcuni casi sono universalmente condivisi.
Ognuno si affeziona ai propri schemi, e “se l’ideologia non va d’accordo con la realtà, tanto peggio per la realtà”.
Nel caso specifico di Israele, e degli ebrei (ricordiamo sempre che antisemitismo e antisionismo sono la stessa cosa) è difficile capire quanto nella narrazione distorta degli “odiatori” di Israele ci sia dolo, e quanto colpa. Certamente, specie tra i più giovani, c’è un problema serio di mancata conoscenza e di cattivi maestri. In alcuni casi, però, quando si tratta di personalità di grande spessore politico o culturale, è difficile pensare che non conoscano i fatti: semplicemente li nascondono o li mistificano, al servizio dell’ideologia che hanno scelto di professare.
Ora, però, è più rilevante la domanda di Mieli: quanto durerà la solidarietà a Israele. Israele che in questo caso ha più che mai bisogno non solo di conforto verbale, ma anche di aiuto concreto, politico e militare. Hamas, oltre a controllare la striscia di Gaza, ha assunto un peso rilevante in Cisgiordania, e al nord c’è la minaccia di Hezbollah, che ha già dimostrato di essere una spaventosa macchina di guerra e di terrore. Più ancora che nella guerra dello Yom Kippur di cinquanta anni fa, Israele rischia la distruzione. L’Occidente non può permettere che accada, non solo perché gli ebrei, come disse Golda Meir, “non hanno un altro posto dove andare”, ma perché sarebbe l’inizio emblematico della distruzione del nostro mondo, della democrazia e delle libertà che generazioni diverse hanno costruito nei secoli.
*Componente dell’Assemblea Nazionale di Azione
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