Verso la Giornata della Memoria Primo Levi e i luoghi di Torino
Aggiornamento: 24 gen
di Mattia Cravero

Su gentile concessione de Torino Storia, e ringraziamo il suo direttore Alberto Riccadonna, presentiamo una sintesi dell'articolo di Mattia Cravero dal titolo "Torino (dopo il Lager) con gli occhi di Primo Levi" apparso sul numero di gennaio in edicola dal 15 del mese. Il testo richiama i vissuti dell'autore di "Se questo è un uomo" al rientro nella sua città, dopo la liberazione di Auschwitz: la casa natìa in corso Re Umberto, le case editrici, le fabbriche.
Il 27 gennaio del 1945, l’Armata Rossa apriva le porte di Auschwitz e vi trovava, piagati da un’indicibile prigionia, abbandonati dalle SS in fuga che avevano portato con sé nelle terribili marce della morte i prigionieri ancora abili, gli internati infermi, condannati a morire di inedia e malattie. Tra loro il torinese Primo Levi, che da quel giorno, ultima data riportata in Se questo è un uomo – inizia la sua odissea per il ritorno a casa, che si completerà solo nell’ottobre di quell’anno.

A casa. «Il ritorno fu di mattino. Il treno ci sbarcò a Porta Nuova. Con me c’era un amico. Dal treno l’amico vide un palazzo di corso Sommeiller dove abitavano dei suoi parenti. Era intatto. Mi disse che, male male, un alloggio per la notte l’avremmo rimediato lì». Così Primo Levi descriveva in un’intervista il suo ritorno in città, la mattina del 19 ottobre 1945; dai binari del treno Levi prese nuovamente contatto con la Torino bombardata dagli aerei inglesi, anch’essa abbandonata mesi prima dall’occupante nazista, riconoscendo immediatamente i palazzi ai lati dei binari.
«Abito da sempre (con involontarie interruzioni) nella casa in cui sono nato […] dopo sessantasei anni di corso Re Umberto [al numero 75], mi riesce difficile immaginarmi che cosa comporti abitare non dico in un altro paese o in un’altra città, ma addirittura in un altro quartiere di Torino», avrebbe scritto Levi nell’articolo La mia casa, nel 1985.
Tracce urbane. Scrittore poliedrico e curioso, Levi accenna spesso, con precisione, alla sua città nelle poesie, nei romanzi, negli articoli o nelle interviste, descrivendone gli edifici e gli angoli, i suoi abitanti, gli alberi e gli animali, i tram e addirittura le strade.
Rileggendo la sua opera alla ricerca dei tanti riferimenti a Torino, si scopre che questi sono spesso retrospettivi, memorialistici, a volte misti a finzione letteraria o rivelatori. [...]La prima volta che Levi rivide Torino dopo il Lager, si trovò ad osservare una città «gravemente danneggiata dai bombardamenti e dall’insurrezione». Come un rabdomante che è anche un po’ un archeologo urbano, della sua storia Levi sapeva leggere le tracce sui marciapiedi: come nell’articolo Segni sulla pietra (1985), in cui indovina le cicatrici della guerra guardando le crepe lasciate dagli ordigni Alleati durante i bombardamenti («due di queste forature, a pochi metri di distanza l’una dall'altra, si trovano ad esempio davanti al numero 9 bis di corso Re Umberto»).

I segni delle bombe. Nel 1945, d’altronde, non serviva la rabdomanzia per vedere i segni del conflitto mondiale, che a Torino erano ben evidenti. [...] durante e dopo la guerra molti torinesi dovettero tenersi lontani dai pericolanti muri delle vie del centro, o schivare i detriti degli edifici crollati. Anche e soprattutto nella centralissima via Po, fortemente deturpata dalle bombe, nei cui angoli erano incastonati i ricordi della parentela ebraica di Levi: nella casa della nonna paterna al n. 24, o allo storico caffè Fiorio al n. 8/c (Argon, Il sistema periodico, 1975)...
Tra macerie e speranze. [...] La casa, la famiglia, gli amici, i luoghi di una vita riavuta indietro: della città che conosceva Levi ritrovò molto, prima tra tutti la stazione di Porta Nuova in corso Vittorio Emanuele 53, suo punto di apertura verso il resto del paese prima dell’automobile. Lì, al suo ritorno, c’erano ancora gli storni che «hanno scelto come dormitori invernali alcuni grandi alberi, in piazza Carlo Felice, in corso Turati e altrove, i cui rami, quando d’inverno sono spogli, a sera sembrano sovraccarichi di strani frutti nerastri» (Le più liete creature del mondo, 1985). Sui treni di Porta Nuova Levi avrebbe vissuto il suo reinserimento nella società del dopoguerra, trovando un lavoro e ridiventando uomo: poco alla volta, ogni sera quando, terminata la giornata del suo primo incarico da chimico, «uno dei fuligginosi e gelidi treni merci di allora mi trascinava verso Torino» (Cromo, Il sistema periodico, 1975) da Avigliana...

L’Einaudi. La prima edizione di Se questo è un uomo apparve presso De Silva nel 1947: si potrebbe quasi immaginare Levi che, dalla Crocetta, raggiunge Franco Antonicelli in via Bertola 4/c, presso gli uffici della casa editrice, per consegnare le bozze del suo primo libro. Lo stesso che, nel ’58, Einaudi avrebbe ripubblicato in un’edizione rivista, dopo averlo rifiutato dieci anni prima: dalla seconda versione di Se questo è un uomo fino agli anni Ottanta, Levi frequentò spesso lo stabile di via Biancamano 2... Sempre in questo periodo iniziò la collaborazione con un’altra realtà torinese di rilevanza nazionale, che si infittirà tra gli anni Settanta e Ottanta: La Stampa, con la sua sede presso la Galleria San Federico n. 7, riaperta nel ’45 e poi trasferita in via Marenco 32 nel ’68, tra Ponte Balbis e Ponte Isabella...
Antologia dei cortili. A Torino Levi ritrova – e spesso immagina – anche i fossili di un passato ormai in dissolvenza, come ad esempio i cortili: «Certe volte, camminando a caso mi ci infilo di soppiatto e vi leggo brani di vita di storia, di costume. Sono un’antologia, i cortili di Torino: conservano brandelli di una città che ormai non è più, con reperti fondamentali, da un punto di vista antropologico», rivelò in un’intervista. Non per caso avrebbe situato proprio in un interno di via Lagrange la casa delle zie di Faussone de La chiave a stella («Ad otto metri dalla via congestionata e pretenziosa, si respirava in quel cortile un vago odore claustrale, insieme col fascino dimesso delle cose un tempo utili, e poi lungamente abbandonate», 1978); sempre nello stesso romanzo, avrebbe ricordato anche «la Diatto e la Prinetti, nella boita di via Gasometro...
Nell’opera di Primo Levi, gli scorci di Torino sono simbolo del cambiamento, raccontano il fluire del tempo storico, l’avanzamento tecnologico, l’evoluzione della società e dei costumi, la ripresa e lo sviluppo di una delle principali città italiane dal secondo dopoguerra fino ai tardi anni Ottanta. Ma, al contempo, Torino è la culla dei legami con il passato, dell’appartenenza all’ebraismo, dell’educazione da liceale con un’educazione umanistica poi studente di chimica, dell’adesione alla Resistenza, insieme a una e mille ispirazioni per lo scrittore che si fa custode della memoria collettiva. Torino è una città sfaccettata [e] per Levi, come per tanti altri torinesi e non, è la città delle «nostre radici, non poderose ma profonde, estese e fantasticamente intrecciate» (Potassio, Il sistema periodico, 1975).
Comments