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  • Menandro

Pace in Ucraina, non è mai troppo tardi

Aggiornamento: 7 apr 2023

di Menandro


Paradossalmente, ma non troppo, la visita a sorpresa di Biden a Kiev e l'abbraccio del presidente Usa al suo omologo ucraino Zelensky, da punto più alto del sostegno occidentale all'Ucraina ha fatto precipitare l'adesione dell'opinione pubblica ai progetti di guerra a oltranza. Una conferma si trova nei commenti di osservatori che hanno maturato e reso esplicita la convinzione che il conflitto tra Ucraina e Russia dovrà trovare un punto di compromesso. Doloroso, ma necessario, se non si vuole creare la condizione per qualcosa di inimmaginabile e irreparabile che stravolgerebbe l'umanità. E il punto di compromesso deve necessariamente partire dalla repulsione delle parole e degli atteggiamenti che fin qui hanno caratterizzato lo scontro dal primo giorno dell'operazione speciale voluta da Putin, aggressione cui l'Occidente ha dato una risposta con il sostegno illimitato o quasi all'Ucraina, in cui è sempre stata privilegiata però la forza delle armi, mai seguita dalla ragione della diplomazia. Un ordine di intervento - solitamente la diplomazia precede la guerra - al quale è seguito un progressivo restringimento del diritto di critica che ha messo di giorno in giorno all'indice chiunque ha cercato di smarcarsi dal pensiero dominante o unico con l'intenzione di disboscare almeno il lessico bellicistico per favorire quella parola che ci ha permesso all'Europa di costruire il proprio futuro dalla fine della Seconda guerra mondiale: pace.

Una parola armoniosa che ha sempre rappresentato l'antidoto unitario per chiudere, anche in extremis, la porta alla possibilità di confronto nucleare, riportando i capi di Stato a sedersi attorno a un tavolo per negoziare e ridare centralità al passato, al presente e al futuro dell'umanità, cioè a riguardare la storia come un prisma dalle mille luci e ombre e non come un grigio monolite in cui le parole e gli atteggiamenti sono gli stessi che da un anno ammorbano le nostre menti. Al punto, che molti, troppi, si sono sentiti "liberi" di sostenere - in un mondo che conta quasi 10 mila testate nucleari (Federazione Russa e Usa ne totalizzano insieme oltre 8 mila) - che è inevitabile pagare dei prezzi per rendere il mondo meno vulnerabile dalle aggressioni, con una visione manichea in cui da una parte ci sono i "buoni" e dall'altro i "cattivi", mentre quel mondo che si vuole "salvare", si è sviluppato da decenni nel segno della multilateralità - la globalizzazione non è nata per caso - che impone dialogo e non scontro pregiudiziale in nome di valori che storicamente hanno mostrato anche il rovescio della medaglia e un lato inconfessabile di ingiustizie, squilibri e diseguaglianze.

La ricerca della sicurezza per gli Stati democratici per avere un senso deve andare nei due sensi, altrimenti si trasforma in prevaricazione, sopruso, umiliazione, legge del più forte, in cui per rispondere al "bullo" di turno ci si cala nei panni di altrettanti "bulli". Sarà riduttivo per spiegare la complessità del mondo, ma le relazioni tra gli Stati non possono diventare una eterna sfida all'OK Corral, una banda contro l'altra, perché prima o poi anche le sparatorie sfuggono di mano e diventano altro.


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